LA STAMPA di venerdì 4 marzo 2005 pubblica a pagina 11 una cronaca dello scontro politico interno al Likud, "Il Likud vota ancora contro la linea Sharon".
Nel complesso corretto, l'articolo di Aldo Baquis definisce però in un passaggio il terrorismo "intifada armata".
Ecco il testo:Subissato da bordate di fischi e da grida che lo esortavano ad andarsene a casa, Ariel Sharon ha confermato ieri al Comitato centrale del Likud di essere più che mai deciso a realizzare in tempi brevi il ritiro da Gaza, che comporta lo sgombero forzato di ottomila coloni. Ma ancora una volta, come nei mesi scorsi, il premier non è riuscito ad imporre la propria linea al partito: a grande maggioranza i membri del Comitato centrale hanno dato istruzione ai deputati del Likud di operare in parlamento affinché il ritiro da Gaza sia vincolato a un referendum nazionale. Hanno cioè cercato di creare un intralcio in più alla politica di disimpegno dai palestinesi enunciata dal loro primo ministro.
Sharon è giunto al Centro dei congressi di Tel Aviv consapevole di andare verso una sconfitta. Colpito inoltre da raucedine, ha fatto chiedere ai tecnici di alzare il volume del microfono durante il suo intervento. Ma il leader israeliano che in altri tempi - quando cioè dava voce alle istanze nazionaliste - era acclamato come «Arik, re di Israele», ieri è stato accolto nel suo stesso partito da grida ostili per la sua determinazione a smantellare decine di colonie nei Territori.
Per l'evento, i servizi di sicurezza (Shin Bet) avevano predisposto misure straordinarie. Secondo lo Shin Bet, la vita del primo ministro è in pericolo non solo per possibili attentati palestinesi, ma anche per una eventuale aggressione da parte di estremisti israeliani di destra pronti anche al suicidio. I membri del Comitato centrale sono stati perquisiti puntigliosamente: uno di essi ha detto di aver impiegato quasi due ore per superare il breve tragitto fra il parcheggio e la sala dei Congressi.
Sharon ha deprecato che nella estrema destra serpeggino «la violenza, la sobillazione, l’incitamento alla diserzione dei soldati». Ha sostenuto che deputati del Likud «sono sottoposti a minacce, a tentativi di intimidazione». E le forze eversive, ha avvertito, non sono solo nelle colonie o nei collegi rabbinici ultranazionalisti ma sono già penetrate nei corridoi del Likud:. «Ci sono tentativi di elementi esterni di impadronirsi del partito». Poi, alzando la voce rimastagli, ha assicurato: «Non permetterò che siano estremisti marginali a stabilire la nostra linea politica».
Di fronte a questi tentativi di sgretolare il partito, il Likud - che pure è la prima formazione alla Knesset con 40 seggi su 120 e che vanta un forte sostegno popolare - rischia di dover andare ad elezioni anticipate. Sharon ha avvertito che già fra due settimane potrebbe essere obbligato a sciogliere la legislatura se davvero una dozzina di deputati del Likud voteranno contro la finanziaria e gli impediranno così di ottenere la necessaria maggioranza. Per niente impressionati da questi scenari, i membri del Comitato centrale hanno appoggiato la iniziativa sul referendum indicata loro fra l'altro anche dai ministri Benyamin Netanyahu (Finanze) e Silvan Shalom (Esteri). Ma alla Knesset la destra nazionalista non ha ancora raggiunto il numero necessari di seggi per garantire la sua approvazione.
Anche sul versante palestinese vi sono acque agitate. La intifada armata è sempre attiva (nella giornata di mercoledì un presunto kamikaze è stato fermato alle porte di Gerusalemme e un'autobomba è esplosa accanto ad una unità militare israeliana a Nablus), mentre si ripetono episodi di anarchia. Fra questi, gli spari a Jenin contro il convoglio del ministro degli Interni Nasser Yussef e gravi tumulti avvenuti alla fine di febbraio nel campus universitario a-Zahar di Gaza, dove il rettore è stato costretto a darsi alla fuga per una accesa dimostrazione studentesca e dove in seguito sono entrati agenti dei servizi di sicurezza.
Anche il trafiletto "Abu Mazen vaglierà cinque condanne capitali" è criticabile.
In esso Baquis non ricorda le molte esecuzioni sommarie di "collaborazionisti".
Ne risulta un quadro della pena di morte nell'Anp decisamente edulcorato.
Ecco l'articolo:TEL AVIV. Ieri il Mufti di Gerusalemme sceicco Ikrama Sabri (la più alta autorità religiosa dei palestinesi) ha reso noto di aver approvato la pena di morte per cinque detenuti palestinesi, in una lista di 15 nominativi inoltratagli tre settimane fa da Abu Mazen. All'inizio dell’intifada, il presidente Yasser Arafat autorizzò due condanne a morte, anche sulla scia di dimostrazioni popolari di collera perché i due si erano macchiati di crimini particolarmente odiosi. Ma le reazioni internazionali furono allora molto negative: in seguito, di fronte a nuove condanne a morte emesse dai tribunali palestinesi, Arafat preferì temporeggiare. Adesso la questione è giunta sul tavolo di Abu Mazen. Fra quanti hanno ricevuto la pena capitale, alcuni sono stati trovati colpevoli di collaborazionismo con Israele, mentre la maggior parte risulta aver compiuto gravi crimini. Adesso che Sabri (un integralista di ferro) ha confermato le peni capitali, l'ultima parola spetta al presidente
Sul conflitto politico all'interno del Likud riportiamo da AVVENIRE le considerazioni di Graziano Motta, più ottimista di Baquis sulla salute politica del governo Sharon e del pieno di ritiro da Gaza ( vedi "Israele, nuova "bocciatura" di Sharon sul ritiro", pagina 16).
Quella di ieri, scrive il giornalista del quotidiano cattolico, sarebbeuna sconfitta solo "simbolica" perché Sharon ha ben presente tre aspetti: primo che alla Knesset non c’è una maggioranza favorevole all’introduzione del referendum, secondo che se pure ci fosse i tempi di approvazione sono lunghi; terzo che se mai un referendum fosse approvato il partito laburista lascerebbe subito il governo e andrebbe a elezioni anticipate. Conclusione: il tentativo dei deputati del Likud è destinato al fallimento; il piano di ritiro da Gaza rimane in piedi, inalterato ne tempi di attuazione, e Sharon politicamente si sente ancora più forte.
Sull'attentato di Nablus Motta fornisce informazioni più precise di quelle di Baquis:un membro dei Tanzim ha fatto esplodere un'autobomba ala passaggio di un gruppo di ebrei ortodossi che sotto scorta militare si recavano in pellegrinaggio alla Tomba di Giuseppe
L'attentatore era dunque un membro dei Tanzim (gruppo di Al Fatah), l'obiettivo erano pellegrini ortodossi e non militari.
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