Il dito puntato contro Israele
che non farebbe abbastanza per la pace
Testata:
Data: 03/03/2005
Pagina: 8
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Dopo Londra il gelo di Sharon: la priorità resta il terrorismo - Ora Israele abbandoni azioni unilaterali, contrarie alla road map
Nella consueta pagina dedicata agli avvenimenti mediorientali di oggi l’Unità non manca di esprimere la propria linea sbilanciata. Commentando gli esiti della conferenza di Londra, a più riprese esageratamente osannata, il quotidiano Ds punta il dito sulla reazione del governo israeliano e sulle sue presunte mancanze nello sforzo per la pace. In particolare, il titolo del primo articolo di u.d.g. " Dopo Londra il gelo di Sharon: la priorità resta il terrorismo" presenta le richieste israeliane come capricci pretestuosi e di scarsa rilevanza; di fronte alla concreta possibilità di pace, secondo l’Unità, Sharon punterebbe i piedi, senza reali motivi.
A completamento dell’ opera di disinformazione viene poi l’ennesima intervista ad un esponente Anp, il cui contenuto è chiaro sin dal titolo "Ora Israele abbandoni azioni unilaterali, contrarie alla road map", dove l’intervistato esprime la propria posizione solo ed esclusivamente biasimando Israele. Da segnalare positivamente il fatto che u.d.g. corregga il suo interlocutore ricordandogli che quelli che lui definisce "militaristi" sono terroristi.
Di seguito gli articoli.

"Dopo Londra il gelo di Sharon: la priorità resta il terrorismo":

DALL'INVIATO LONDRA Quel documento finale «troppo politico e troppo sbilanciato verso i palestinesi» non piace a Israele. Il giorno dopo la chiusura della Conferenza internazionale per il sostegno alle riforme dell'Anp, Gerusalemme mette a punto la propria controffensiva diplomatica. «Senza una chiara scelta strategica da parte della dirigenza palestinese di smantellare le infrastrutture terroristiche, non vi potranno essere passi in avanti in un negoziato di pace», avverte da Budapest il ministro degli Esteri israeliano Silvan Shalom.
La Conferenza di Londra non convince Israele. Troppo politica e, soprattutto, troppo poco attenta a rimarcare quella che per Gerusalemme resta la «priorità assoluta»: la lotta al terrorismo. Il premier Ariel Sharon preferisce tenersi ai margini delle polemiche, soprattutto per non entrare in rotta di collisione con il neosegretario di Stato Usa Condoleezza Rice, ma i suoi più stretti collaboratori non nascondono dubbi e insoddisfazioni: «Sostenere finanziariamente le riforme palestinesi è un fatto positivo, auspicato da Israele, ma un sostegno politico alla dirigenza dell'Anp deve essere legato strettamente ad una verifica sul campo della reale volontà e capacità della leadership di Abu Mazen nel contrastare quei gruppi terroristi che continuano a fare strage di civili israeliani come è accaduto venerdì scorso a Tel Aviv», dice a l'Unità Ranaan Gissin, portavoce del primo ministro. «Israele - aggiunge Gissin - non accetterà mai di negoziare sotto il costante ricatto terroristico».
All'irritazione israeliana fa da contraltare la soddisfazione palestinese. Per il presidente Abu Mazen -, che oggi a Sharm el Sheikh sarà impegnato in vertice tripartito con il presidente egiziano Hosni Mubarak e il ministro degli Esteri saudita Saud Al Faysal - la Conferenza di Londra rappresenta un indubbio successo politico e personale. Dalla capitale inglese, il leader dell'Anp si è spostato ieri a Bruxelles per una fitta serie di incontri, il primo dei quali è stato con l'Alto rappresentante Ue per la politica estera, Javier Solana. Nella conferenza stampa congiunta, Abu Mazen ha auspicato un «maggior ruolo politico» della Unione Europea nel «Quartetto» (Usa, Ue, Onu, Russia) di mediatori internazionali per il processo di pace in Medio Oriente. Il premier palestinese ha ribadito la condanna, espressa l'altro ieri a Londra, dell'attentato di venerdì a Tel Aviv e di «ogni azione che possa ritardare il processo di pace nella regione», sottolineando, d'altra parte, l'importanza dell'assistenza europea in aree quali «la sicurezza, l'amministrazione e altri settori di cui hanno bisogno i palestinesi». Solana non ha nascosto il fermo sostegno europeo al successore di Yasser Arafat: «finora» Abu Mazen ha rispettato «tutto quello» che si era impegnato a fare, rileva l'Alto rappresentante, aggiungendo che «il presidente può essere sicuro degli appoggi dell'Ue affinché i palestinesi possano raggiungere il sogno di un proprio Stato».
La nuova leadership palestinese punta decisamente sull'Europa. E l'Europa dà credito alla svolta di «Mahmoud l'antieroe». È quanto emerge dai colloqui avuti dal raìs palestinese con il presidente della Commissione europea José Barroso, il presidente dell'Parlamento europeo Josep Borrell e con il presidente di turno dell'Unione, il premier lussemburghese Jean-Claude Juncker. Abu Mazen si è detto «onorato» dell'invito rivoltogli da Borrell a prendere la parola davanti all'euroassemblea. Borrell ha anche ipotizzato che «se da qui a novembre si saranno registrati progressi positivi», l'assemblea straordinaria Euromediterranea si possa tenere in Palestina. Ai suoi interlocutori europei, Abu Mazen ha confermato l'impegno dell'Anp a rispettare «tutte le clausole previste dalla Road Map" ed è tornato a sollecitare l'Ue a «svolgere un ruolo soprattutto politico nel processo di pace». Il messaggio finale del proficuo tour europeo del presidente palestinese è, al tempo stesso, la proclamazione di un impegno e la richiesta di un sostegno attivo della Comunità internazionale: «Abbiamo intrapreso il cammino del processo di pace fra numerose difficoltà e malgrado le intenzioni di coloro che vogliono ostacolarlo. Siamo decisi a continuare su questa strada», sottolinea Abu Mazen. Una strada che la Conferenza di Londra ha reso un po' meno impervia.
E "Ora Israele abbandoni azioni unilaterali, contrarie alla road map":
DALL'INVIATOLONDRA «Al di là degli impegni concreti assunti a Londra, il valore politico di quella Conferenza è nell'aver affermato il principio della reciprocità come base di un serio negoziato di pace. E' quanto noi palestinesi sosteniamo da tempo». Ad affermarlo è il ministro per la programmazione palestinese, Ghassan al Khatib.
Come valuta l'andamento e soprattutto le conclusioni a cui è giunta la Conferenza di Londra?
«Nel complesso i risultati confortano le nostre aspettative. E non solo per gli aiuti finanziari decisi, fondamentali per risollevare la nostra economia in ginocchio e per migliorare le condizioni di vita nei Territori, ma anche perché si è ribadito che l'unica soluzione praticabile per porre fine al conflitto israelo-palestinese è quella fondata su due Stati e che lo Stato palestinese debba avere una sua continuità geografica. L'importante adesso ora è che alle dichiarazioni di principio si accompagnino azioni concrete che impediscano a Israele di proseguire nella sua politica dei fatti compiuti».
Ma la Conferenza ha chiesto anche impegni concreti e immediati alla dirigenza palestinese nella lotta al terrorismo.
«La lotta al terrorismo non è una "concessione" fatta alla Comunità internazionale, ma è un impegno prioritario di quanti, in campo palestinese, hanno ben chiaro che la militarizzazione dell'Intifada ha causato solo sofferenze al nostro popolo. Ma questa lotta, ed è un altro punto importante emerso a Londra, sarà tanto più incisiva e vincente se si avvarrà delle "armi" della politica».
Cosa intende con questa affermazione?
«Coordinare il ritiro da Gaza; accelerare l'avvio di un negoziato che affronti tutte le questioni sul tappeto, dai confini allo status di Gerusalemme, a un compromesso condiviso sul diritto al ritorno dei rifugiati: solo così sarà possibile isolare e sconfiggere i militaristi».
Più che di "militaristi" parlerei di terroristi che non si fanno scrupolo di far saltare in aria una discoteca, come è avvenuto venerdì scorso a Tel Aviv.
«La pratica stragista va condannata senza mezzi termini, per ragioni politiche ed etiche. Così è avvenuto per l'attentato di Tel Aviv; una condanna che non si è fermata alle parole: i nostri servizi di sicurezza hanno già arrestato sei persone sospettate di aver avuto un ruolo attivo nell'attentato suicida. Non è sfidando con le armi la potenza militare d'Israele vedremo riconosciuti e attuati i nostri diritti».
Lei ha fatto riferimento in precedenza al principio di "reciprocità" rilanciato dalla Conferenza di Londra. Cosa dovrebbe fare Israele per essere in linea con questo principio?
«Il documento finale della Conferenza lo indica chiaramente: non compiere alcun atto unilaterale che possa inficiare l'attuazione della Road Map. Il che significa, ad esempio, stop alla colonizzazione nei Territori e, aggiungiamo noi palestinesi, blocco della costruzione del "muro" in Cisgiordania».
Ma quella barriera, ribatte Israele, è servita a bloccare l'ondata di attacchi terroristici.
«Non metto in discussione il diritto di Israele a realizzare sul proprio territorio barriere e muri di separazione. Il punto è un altro e riguarda il tracciato del muro, anche nella sua versione ridotta decisa recentemente dal governo israeliano; è il suo incunearsi per decine di chilometri nella Cisgiordania occupata, è spezzare il territorio palestinese, è isolare città e villaggi. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con il diritto alla difesa evocato e praticato da Israele».
Londra può essere l'avvio di un nuovo impegno della Comunità internazionale per la pace in Medio Oriente?
«Lo spero ardentemente. Per questo mi auguro che al più presto possa realizzarsi una "Londra 2". Questa volta, però, con Israele presente».
Quanto fa paura nei palazzi del potere arabi l'esperienza democratica in atto in Palestina?
«Direi molto, perché crea un precedente che può attrarre e fare proseliti, come sta accadendo in Libano».
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