Le ragioni dell'Anp, senza quelle di Israele
il Medio Oriente cambia, la parzialità resta
Testata:
Data: 01/03/2005
Pagina: 8
Autore: Donald Macintyre - Umberto de Giovannangeli
Titolo: Abu Mazen: non sprechiamo l'occasione della pace - Conferenza sull'Anp, un test per Abu Mazen
L'UNITA' di martedì 1 marzo 2005 pubblica un'intervista di Donald Macintyre di THE INDIPENDENT ad Abu Mazen.
Il leader palestinese si concentra sulle richieste che il suo governo rivolge agli israeliani, sebbene dichiario di voler impedire atti terroristiciperchè contrari agli interessi dei palestinesi, non fa cenno allo smantellamento delle infrastrutture del terrorismo chiesta da Israele.
Nè l'intervistatore gli pone il problema. Un omissione rilevante dato che questa è la principale richiesta di Israele ai palestinesi, che l'attentato a Tel Aviv ha mostrato i limiti della strategia di contenimanto "politico" del terrorismo scelta da Abu Mazen e che tutta l'intervista si concentra sulle presunte "inadempienze" israeliane.

Ecco l'articolo:

Cosa ne è della hudna (il cessate il fuoco), alla luce dell'attentato di venerdì scorso?
«Mettere fine alla violenza e all'insicurezza è prima di tutto nell'interesse del popolo palestinese. Non possiamo gettare le fondamenta di uno Stato -nostro obiettivo primario, dopotutto- senza legalità e ordine pubblico. Abbiamo già annunciato la cessazione della violenza durante il vertice di Sharm el-Sheikh. Stiamo facendo il 100% degli sforzi e i risultati finora sono stati buoni. Per quanto concerne l'attentato suicida di venerdì scorso, posso dire che non tollereremo tali azioni perché vanno contro gli interessi palestinesi. Le varie componenti palestinesi si sono impegnate per la hudna, ma ci sono altre entità che potrebbero aver interesse a destabilizzare la situazione.
Ritiene che la sua elezione lo scorso gennaio abbia costituito un esempio per il resto del mondo arabo?
«Il popolo palestinese ha sempre seguito una tradizione democratica che cercheremo di mantenere e consolidare. Oltre alle elezioni presidenziali, quest'anno avremo elezioni municipali e legislative, nonché le elezioni nel movimento di Al-Fatah. Promuoveremo le elezioni nei diversi partiti politici e nelle istituzioni della società civile. Crediamo che la democrazia sia la massima garanzia di stabilità e il modo più trasparente per svecchiare il nostro sistema politico e ricreare una coscienza di partecipazione alla vita pubblica. Le elezioni sono nel supremo interesse del popolo palestinese».
La Road map prevedeva una tabella di marcia ben definita, anche per quanto riguarda l'ultimo passaggio, quello dello status finale. Considerato che molto tempo è stato sprecato, quale è a suo avviso una tabella di marcia realistica per la nascita di uno stato palestinese?
«Per prima cosa, consentitemi di riaffermare il nostro impegno sulla Road map. Riteniamo che la Road map rimanga l'unico percorso condiviso per porre fine al conflitto israelo-palestinese, e noi abbiamo iniziato ad attuarla. Adesso è Israele che deve iniziare ad attuare la sua parte di impegni. Ciò che non dobbiamo mai perdere di vista è che la costituzione di uno stato palestinese -e con questo intendo uno stato indipendente dotato di effettiva continuità territoriale lungo i confini del 1967, e non uno stato monco o transitorio- è nell'interesse sia nostro sia di Israele. La nascita di un simile stato rappresenterà un passaggio fondamentale nella risoluzione del conflitto israelo-palestinese. Prima realizzeremo tale stato, prima noi e gli israeliani potremo cominciare ad assolvere il compito di dare sviluppo sostenibile, stabilità e prosperità ai nostri popoli».
Crede sia veramente possibile arrivare a un'intesa definitiva con Ariel Sharon?
«Come il governo israeliano non può scegliere i suoi interlocutori in campo palestinese, così noi non possiamo scegliere gli interlocutori dalla parte israeliana. Siamo fiduciosi che il popolo israeliano preferirà una vera e duratura cessazione del conflitto alla prosecuzione dell'occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele. Crediamo che ora la pace sia possibile e siamo pronti a negoziare con Israele per raggiungere una pace vera e duratura basata sulla giustizia e sulla legittimità internazionale».
Come conta di convincere Sharon a ritirare l'esercito israeliano sulle posizioni che occupava prima del settembre del 2000?
«Il ritiro sulle posizioni del settembre 2000 è uno degli obblighi assunti da Israele in seno alla road map, che fu accettata dal governo israeliano. Noi stiamo attuando i nostri impegni e ci aspettiamo che Israele attui i suoi. La road map è stata concepita come un insieme di misure di sostegno reciproco che devono essere attuate in parallelo. Selezionare e scegliere, o imporre condizioni, determinerà seri ritardi nel processo di pace. Se il rigetto degli impegni assunti - come ad esempio il ritiro sulle posizioni del 2000 - può essere politicamente conveniente per Israele nell'immediato, i risultati a lungo termine - vale a dire il fallimento del processo di pace - saranno disastrosi per entrambi i popoli. In quest'ottica la comunità internazionale ha un ruolo importante da svolgere. La road map assegna alla comunità internazionale un compito di monitoraggio e verifica. Il mondo, in primo luogo il Quartetto (gli USA, l'ONU, la Ue e la Russia) deve fare la sua parte per aiutarci ad attuare la road map. Abbiamo un'opportunità davanti a noi, e saremmo tutti irresponsabili - noi, gli israeliani, la comunità internazionale - se ce la lasciassimo sfuggire».
George Bush ha detto che lei sarà il benvenuto alla Casa Bianca. Ci andrà?
«Sì, ci andrò. Il ruolo degli Stati Uniti è indispensabile nel processo di pace mediorientale. Il presidente Bush ha manifestato un chiaro impegno per la promozione della pace in Medio Oriente e sarebbe da irresponsabili non cogliere quest'opportunità. Nutro profondo rispetto per il presidente Bush e mi auguro di poter riavviare presto la cooperazione avviata quand'ero primo ministro. Discuteremo dell'attuazione della road map e della ripresa del processo di pace».
Cosa si aspetta dall'incontro di Londra? Quale ruolo può avere Tony Blair nel facilitare il processo di pace?
«Prima di tutto consentitemi di esprimere il mio apprezzamento al premier Blair per i suoi sforzi e il suo impegno per la pace in Medio Oriente e per il suo sostegno all'Autorità nazionale palestinese nella costruzione delle nostre istituzioni.
L'incontro di Londra è un'importante riunione internazionale che ha l'obiettivo di raccogliere concreto sostegno ai nostri sforzi nell'attuazione degli impegni della road map e nella costruzione delle nostre istituzioni. Ci aspettiamo che da essa partirà un chiaro segnale circa il sostegno internazionale che abbiamo già conquistato.
Cosa pensa del piano di disimpegno da Gaza e dalla Cisgiordania settentrionale voluto da Sharon?
«Il piano di disimpegno approvato dal governo israeliano e dalla Knesset riguarda il ritiro dei soldati israeliani, lo smantellamento di alcuni insediamenti, l'espansione di altri insediamenti e la costruzione del muro. Tutto ciò eseguito da Israele in modo unilaterale. Se salutiamo con favore il ritiro dell'esercito e dei coloni israeliani dal territorio palestinese, respingiamo nel modo più assoluto il protrarsi, anzi l'accrescersi dell'occupazione dimostrata dall'espansione degli insediamenti in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est. Respingiamo la costruzione del muro. Il muro passa all'interno dei territori palestinesi, non in Israele né lungo i confini. Separa i palestinesi da altri palestinesi, dalle loro terre e dai loro mezzi di sostentamento.
A Sharm el-Sheikh ho affermato che siamo disponibili a coordinarci con Israele per l'evacuazione e il ritiro. Questo coordinamento non deve però essere inteso come un processo in cui si discute la mera implementazione di una decisione unilaterale israeliana, bensì come un processo bilaterale che rifletta gli interessi sia dei palestinesi sia degli israeliani. Dobbiamo dimostrare concretamente al popolo palestinese che un processo bilaterale è migliore di decisioni unilaterali. Questo restituirà alla gente fiducia nei negoziati. E questo avverrà, ne sono sicuro, quando il processo bilaterale sancirà un ritiro complessivo dalla striscia di Gaza e rafforzerà la continuità territoriale della Cisgiordania e della striscia di Gaza. Il disimpegno poi deve essere parte integrante di un processo politico che assicuri che il "Prima Gaza" non si trasformi in un "Solo Gaza" e in un "Gaza a spese della Cisgiordania"».
Umberto De Giovannangeli inviato a Londra, del resto, presenta con dovizia di particolari le ragioni addotte dai palestinesi per dare alla conferenza che si svolge in quella città il carattere di un negoziato politico, ma non quelle israeliane per rifiutare.
Tra le quali deve annoverarsi il fatto che la condizione preliminare, prevista dalla Road Map, per la ripresa del dialogo politico, ovvero la lotta al terrorismo non viene attuauo dall'Anp nell'unico modo efficace, ovvero lo smantellamanto delle sue infrastrutture e il disarmo delle organizzazioni che lo praticano.
Del terrorismo poi, sarebbe stato opportuno descrivere gli effetti. A fianco dei passaggi dedicati alle sofferenze della popolazione palestinese. Causate, in ultima analisi, proprio dal terrorismo e dalla conseguente necessità, per Israele, di difendersi, anche chiudendosi, per garantire la sicurezza, ai rapporti economici con in territori, su quali i territori in gran parte vivevano.

Ecco l'articolo:

DALL'INVIATO LONDRA Tony Blair punta a rinverdire l'immagine, alquanto sbiadita, di «uomo di pace». Condoleezza Rice punta su Londra per dimostrare all'opinione pubblica mondiale che la seconda presidenza Bush sarà segnata da un «fruttuoso» rilancio della partnership Usa-Europa. Per Abu Mazen è una occasione da non perdere per capitalizzare, innanzitutto sul piano economico, l'apertura di credito che il mondo ha offerto alla nuova leadership palestinese. Ma sulla Conferenza internazionale per gli aiuti all'Anp che si apre oggi a Londra si proietta l'ombra inquietante della sfida terrorista.
Da Gerusalemme, il premier israeliano Ariel Sharon invia ai partecipanti alle assise londinesi un messaggio chiaro: «Non vi potrà mai essere alcuno sviluppo nell'attuazione della Road Map (il tracciato di pace messo a punto dal Quartetto Usa, Ue, Onu, Russia, ndr) se prima l'Autorità nazionale palestinese non dimostrerà con i fatti la propria volontà a contrastare la violenza e a sradicare le infrastrutture terroristiche». La sicurezza, innanzitutto. È un tasto su cui il premier britannico e il segretario di Stato Usa insisteranno con forza nella due giorni londinese. La debolezza dei servizi di sicurezza palestinesi e la necessità di una loro seria riorganizzazione è una delle questioni che più angustiano i dirigenti del Quartetto, in particolare Condoleezza Rice, specie dopo l'attacco terroristico di venerdì scorso a Tel Aviv (cinque i civili israeliani uccisi) rivendicato dalla Jihad islamica. Ma la Conferenza non potrà risolversi solo nella definizione di impegni da parte dell'Anp su questo terreno. Le aspettative della dirigenza di Ramallah sono ben altre. «Questa Conferenza -sottolinea a l'Unità il ministro per la pianificazione palestinese Ghassan al-Khatib- ci offre l'occasione di spiegare che è giunto il momento che la Comunità internazionale obblighi Israele a mettere fine alla sua politica, che genera solo instabilità nella Regione e ne impedisce lo sviluppo». Il ministro dell'Anp rivela poi che dietro le quinte la dichiarazione finale dei lavori è stata elaborata in modo tale da rispecchiare maggiormente le posizioni dei palestinesi: «Si tratta di un documento molto significativo -anticipa al-Khatib- che è condiviso dal Quartetto, dal Giappone e da numerosi Paesi arabi e che metterà l'accento sulla legalità internazionale e sulla necessità di applicare il Tracciato di pace».
La Conferenza di Londra -25 i Paesi coinvolti- segna anche il debutto sullo scenario internazionale di uno dei «volti nuovi» più accreditati del governo «Abu Ala 2»: Mazen Sonnoqrot, neoministro per l'economia nazionale. «Occorre compiere uno sforzo considerevole per garantire che i ministeri palestinesi possano continuare ad agire», rileva il ministro.«Inoltre -aggiunge- bisogna sviluppare le infrastrutture nei Territori per creare nuove opportunità di lavoro e combattere la povertà». Perché è proprio la sfida della povertà uno dei più difficili, e immediati, banchi di prova per la nuova leadership palestinese. In quattro anni di Intifada il numero dei palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza che si trovano sotto la linea di povertà (1,65 euro al giorno è più che raddoppiato, passando dal 20 al 48% della popolazione. Circa un terzo di questi, cioè 600mila palestinesi -ci dice in un breve colloquio Mazen Sonnoqrot- si trovano sotto la «linea della sussistenza» (1,10 euro al giorno) e non hanno accesso a beni primari, come cibo, vestiti, alloggi. Fanno professione di ottimismo i dirigenti palestinesi al seguito di Abu Mazen, sulla dimensione degli aiuti finanziari e sul testo politico conclusivo della Conferenza, ma attorno al documento finale c'è già «tensione», rivela il quotidiano «The Guardian», in particolare sul tono del testo: secondo il giornale londinese il braccio di ferro sarebbe proprio tra Londra e Gerusalemme, che vuole una conclusione in tono minore e nessun riferimento alla Road Map.
Israele, il convitato di pietra della Conferenza, non vorrebbe in particolare l'affermazione per la quale, a fronte delle riforme palestinesi, «Israele conduca azioni reciproche a proposito dei propri impegni». Ciò collegherebbe la Conferenza alla Road Map, un passaggio voluto dall'Anp che però era stato escluso a priori da Blair e Sharon nel loro incontro di dicembre, ha ricordato nei giorni scorsi Dov Weisglass, consigliere del premier Ariel Sharon, in un burrascoso faccia a faccia a Londra con Nigel Sheinwald, inviato del premier britannico in Medio Oriente. È l'esatto opposto di quanto si attende Abu Mazen che alla due giorni londinese chiede un impulso per aprire rapidamente una trattativa politica con Israele su un possibile compromesso globale che ponga fine a decenni di violenza.
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