Per la sinistra italiana il nemico resta Sharon
il dissenso di Peppino Caldarola
Testata:
Data: 28/02/2005
Pagina: 7
Autore: Peppino Caldarola
Titolo: Sharon si muove, la sinistra è ferma
IL RIFORMISTA di lunedì 28 febbraio 2005 pubblica a pagina 7 un articolo di Peppino Caldarola sull'incomprensione, da parte della sinistra italiana, della situazione mediorientale e della figura politica di Ariel Sharon.
Ecco il testo:

Sharon procede a tappe forzate sulla linea del disimpegno dai territori occupati.Le preoccupazioni su come il fronte interno reagirà sul lungo periodo alle scelte del capo del governo di Gerusalemme restano molto vive,ma finora l’opinione pubblica israeliana è schierata in larghissima parte con il
primo ministro,anche se l’ultimo terribile attentato costituirà una nuova,dura prova per lo Stato ebraico (ma anche per i nuovi leader palestinesi). Il riemergere della minaccia hezbollah dovrebbe rendere chiara alla sinistra la linea divisoria amico/nemico che la nuova situazione internazionale propone, e nella quale le minacce alla pace non vengono dalla coppia Bush/Sharon ma dalla coppia Iran/Siria. Dovrebbe farci condannare la mancata condanna europea del terrorismo hezbollah. Dovrebbe spingere la sinistra ad aprire quella nuova agenda internazionale che ha delineato Mario Pirani su Repubblica, con una svolta che ci auguriamo feconda nel tradizionale senso comune pacifista dei suoi lettori. Anche perché l’intera comunità internazionale sembra colpita dalla velocità e determinazione con cui l’ex falco Sharon conduce la sua marcia verso la pacificazione. Malgrado i ripetuti appelli, ultimo quello di Furio Colombo, colpisce tuttora l’avarizia con cui la sinistra italiana ha reagito al nuovo Sharon.Qualche parola nuova ha pronunciato Bertinotti, ma il tema non è stato messo all’ordine del giorno.Buffo,no? La svolta del leader israeliano introduce novità sostanziali ma ripropone anche antiche convinzioni di una parte della classe dirigente dello Stato ebraico. Lo si vede con chiarezza attorno al tema della partecipazione di Israele alla Conferenza organizzata a Londra da Tony Blair sulle riforme politiche palestinesi.Il premier britannico ha convocato venticinque paesi e l’iniziativa ruoterà attorno alla presenza
di Abu Mazen. L’appuntamento è di quelli che indicano con chiarezza il cambiamento di fase. Il dopo-Arafat vede una parte importante della comunità internazionale,guidata da Tony Blair,schierata a sostegno del tentativo rinnovatore del successore del raiss. Blair avrebbe voluto che lo stesso
Sharon, ovvero un rappresentante del governo israeliano, partecipasse alla conferenza. Dello stesso avviso, a quel che si sa, era il vice-premier israeliano Shimon Peres.Secco invece è stato il no di Sharon, un no assai più significativo perché pronunciato in dissenso con l’alleato principale laburista che, entrando nel governo, ha dato forza e consenso alle scelte pacifiche del premier di Gerusalemme. Sharon ha,tuttavia,con il suo no confermato (ecco l’elemento di continuità nel quadro della svolta impressa alla situazione israelo-palestinese) il rifiuto dell’ipotesi di una conferenza internazionale a cui affidare il compito di risolvere l’antico contenzioso con l’avversario palestinese. Non è lì, a Londra, sembra dire Sharon,che si devono decidere le sorti e la conclusione del conflitto e soprattutto non in un consesso che preveda una internazionalizzazione della crisi israelo-palestinese. Il premier di Gerusalemme, che si dice convinto di avere l’appoggio di Bush, vuole il dialogo diretto con i palestinesi sorretto, come nelle altre occasioni di pace, dalla mediazione di pochi altri paesi.La conferenza di Londra a questo punto assume soprattutto il significato di portare alla luce fino a che punto la nuova dirigenza palestinese è in grado di spingersi per segnare il punto di rottura con la gestione Arafat. L’assenza di Sharon dalla conferenza di Londra sembra godere del consenso degli Stati Uniti. Ma dallo stesso presidente Bush sono venute parole nuove attorno al destino di una trattativa fra Israele e i palestinesi. Parlando a Bruxelles, il presidente americano è stato assai preciso e rivolto a Israele ha detto: «Una democrazia palestinese di successo dovrebbe essere anche l’obiettivo primario di Israele.Israele deve congelare l’attività dei coloni e aiutare i palestinesi a costruire una fiorente economia». Fin qui le frasi di Bush sono sembrate ovvii incoraggiamenti al dialogo costruttivo. Ma il presidente americano si è spinto assai più in là quando ha detto: «…assicurando che il nuovo Stato palestinese sia davvero vitale, con un territorio contiguo in Cisgiordania.Perché uno stato basato su territori spezzettati non funzionerà».L’appoggio a Sharon da parte dell’alleato americano viene condizionato in maniera solenne all’idea dello Stato palestinese. Questi due eventi,la conferenza di Londra e le parole di Bush,sembrano configurare,da parte dei due alleati meno corrivi alle ragioni arabe,uno scenario più spostato a sostenere la svolta di Sharon a condizione che essa unisca al tema del ritiro quello di una nuova configurazione dell’idea dello Stato palestinese. Si tratta di passi in avanti non immaginabili fino a pochi mesi addietro.Per Sharon il percorso si presenta quindi assai più complesso di come si poteva immaginare all’indomani della scelta del ritiro da Gaza. Sharon vuole, con il suo no alla conferenza di Londra e con il silenzio sulle parole di Bush,vedere fino a che punto gli alleati occidentali sono disposti a spingersi per ottenere che la parte palestinese si immetta su un percorso di pace senza ritorno. E’ una partita complessa a cui farebbe bene a partecipare,con idee e perché no con iniziative proprie, anche la sinistra italiana e europea.Se il mondo gira che si fa? Si sta fermi? !
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