Graziano Motta, nell'articolo "Israele: "Primo passo importante", molto corretto e informato, riseve sui ministri dell'era Arafat", molto su AVVENIRE del 25 febbraio 2005, descrive le reazioni israeliane alla nomina del nuovo governo palestinese.
Improntate a un cauto ottimismo, queste non escludono alcune importanti riserve e preoccupazioni.
In particolare Motta scrive: "Quanto a Nasser al-Qidwa, nipote di Yasser Arafat, in Israele si ricorda che come rappresentante dell'Olp alle Nazioni Unite egli ha orchestrato e guidato numerose campagne contro Israele, l'ultima contro la erezione della barriera nei Territori palestinesi, con l'amara condanna della Corte internazionale dell'Aja. sono parecchi gli esponenti governativi e politici che si chiedono come egli possa interpretare sulla scena diplomatica la politica di pace che il quartetto per il Medio Oriente (Stati Uniti, Russia, Unione Europea e Onu) intende promuovere."
Di queste ben fondate preoccupazioni, e dello stesso inquietante profilo politico di al-Qidwa, in prima fila nella campagna di delegittimazione di Israele lanciata dall'Anp di Arafat, non c'è traccia nei due articoli dedicati al nuovo governo palestinese da LA REPUBBLICA e L'UNITA' di venerdì 25 febbraio.
Di seguito, pubblichiamo l'articolo di Daniele Mastrogiacomo a pagina 23 della REPUBBLICA, "Nuovo governo a Ramallah. Abu Ala apre ai "quarantenni" "RAMALLAH - «E´ fatta, è fatta, abbiamo il governo». Nabil Shaath, figura storica tra i palestinesi, esce nel piazzale che si affaccia davanti al Parlamento è annuncia alla folla di giornalisti e diplomatici il voto tanto atteso. Agita un foglio che stringe tra le mani. Precisa. «I voti a favore sono stati 54, 10 contrari e 4 astenuti. E´ stato un successo. Per la Palestina, per il nostro popolo, per il nostro futuro». Giornata davvero storica quella di ieri per un Paese che ricomincia da zero.
Tre giorni di lunghe e difficili trattative partoriscono un Esecutivo nuovo di zecca, con 4 uomini della vecchia guardia e venti giovani leve quasi del tutto sconosciute. Lo hanno definito un governo dei tecnici. Ma se si esclude il fatto che si tratta di professionisti esperti nei loro campi, medici, ingeneri, avvocati, docenti, è soprattutto un governo di uomini e donne rimasti sempre esclusi dai vertici di potere. Trionfa la linea di Abu Mazen. Un taglio netto con il passato, con la corruzione, con i privilegi, i nepotismi. Ma con la presenza di alcuni politici esperti che garantiranno rappresentatività ed equilibrio al nuovo corso palestinese. Nabil Shaath assume l´incarico di vicepremier e ministro dell´Informazione. Salam Fayad, per il suo rigore dimostrato negli ultimi anni, resta alla guida delle Finanze.
Nasser Yusef, vecchio generale dell´Olp, siederà sulla poltrona di ministro degli Interni. A lui spetterà il compito cruciale di mettere ordine tra tutti gli apparati della sicurezza. Nasser al Qidwa, nipote di Arafat e per anni rappresentante palestinese all´Onu, sarà ministro degli Esteri. Mohammed Dahlan, l´ambizioso uomo forte di Gaza, curerà come ministro degli Affari civili i rapporti pratici tra palestinesi e israeliani. Il resto sono figure poco note sulla scena internazionale, ma giudicati capaci di svolgere il lavoro per cui sono stati nominati. Esce di scena un nome noto: Saeb Erekat, capo della delegazione per le trattative con Israele. Si è fatto da parte lui stesso mercoledì notte aderendo alla richiesta della maggioranza dei deputati: «Chi siede in Parlamento non può far parte del governo».
Non era una formalità. Era una questione di sostanza. Svolgere la doppia funzione di controllore e controllato era un giochetto che aveva ingessato l´indipendenza del potere legislativo. Su questo hanno insistito i parlamentari e su questo si è basata la nuova lista proposta dal premier Abu Ala. Il quale resta in carica, ma fortemente ridimensionato. I deputati hanno avuto la forza e il coraggio di imporre una linea diversa. E lo hanno fatto soprattutto quelli di Al Fatah, la corrente più forte dell´Autorità nazionale, a cui aderiscono sia Abu Ala sia Abu Mazen. Si sono messi in discussione, hanno trattato giorno e notte, hanno alla fine rotto quella tradizione di partito che obbediva a logiche interne più che agli interessi del Paese. Al Fatah si misurerà anche con un suo congresso, fissato per il prossimo agosto. Sarà una delle tappe che scandiranno la vita politica palestinese dei mesi futuri. C´è il vertice di Londra della prossima settimana, le elezioni comunali di marzo, poi quelle legislative di luglio, infine il disimpegno israeliano da Gaza. «Si tratta di un passo importante e positivo», commenta il ministro degli Esteri isreliano Sylvan Shalom. «Ma soltanto di un primo passo». «E´ un salto qualitativo enorme», replica la deputata Hanan Ashrawi. «La Palestina ora è proiettata verso il futuro».
E quello dell'UNITA', a pagina 10, "Ramallah, nasce il governo dei «volti nuovi»"Una notte di frenetiche consultazioni, di nominativi prima inseriti e poi depennati. Una notte che ha portato finalmente alla luce la «lista dei 24» e che ha permesso ieri mattina il varo del «Abu Ala 2». Con 54 voti a favore, 10 contrari e quattro astenuti, il Consiglio legislativo palestinese (Clp) ha accordato la fiducia al nuovo governo del premier Abu Ala e chiuso la crisi politica che per giorni ha travagliato i vertici dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). Il primo ministro ha superato lo scoglio più insidioso dopo aver rischiato una umiliante uscita di scena ma ha anche visto declinare il suo prestigio e ridotta la sua autonomia politica, a tutto vantaggio del presidente Mahmud Abbas (Abu Mazen).
Tutto si era risolto l’altra notte, quando Abu Mazen, dopo aver ottenuto da Abu Ala il rinnovamento radicale della lista dei ministri, ha chiesto (o ordinato, secondo alcuni) ai deputati del suo partito, Al Fatah, che occupano i due terzi dell’assemblea parlamentare di accordare la fiducia al nuovo esecutivo. Un esecutivo «targato» Abu Mazen. Scorrendo la lista dei 24 ministri, 17 dei quali nuovi, appare evidente che il presidente ha ottenuto la squadra di governo che cercava per presentarsi nelle migliori condizioni al vertice della prossima settimana a Londra, che affronterà proprio il tema delle riforme nell’Anp. Oltre ai suoi due principali alleati - il ministro dell’interno, generale Nasser Yusef, e quello per gli affari civili, Mohammed Dahlan - Abu Mazen può ora contare sulla presenza nel governo di un nutrito gruppo di riformisti, come il ministro dei lavori pubblici (Mohammed Shtayyeh (che ha curato la sua campagna) e quello per i prigionieri Sufian Abu Zaideh. Dalla sua parte ha peraltro anche il ministro delle finanze Salam Fayad, artefice della riforma amministrativa di un anno fa che tolse allo scomparso presidente Yasser Arafat il controllo di molte voci di spesa nel bilancio dell’Anp.
Yusef e Dahlan sono tuttavia i perni sui quali si appoggia il presidente per portare avanti la sua strategia di fine dell’Intifada e di ripresa delle trattative con Israele. Il primo è un militare molto stimato, dal polso fermo, in grado di riorganizzare e riportare l’ordine nei servizi di sicurezza. Il secondo, considerato l’«uomo forte» di Gaza, gode forse di minore prestigio e ha molti nemici ma sa destreggiarsi bene nelle situazioni difficili ed è rispettato e considerato dagli israeliani. Tra i fondatori di Al Fatah e in origine legato ad Arafat, Nasser Yusef (vero nome Mustafa Bishtawi) è nato nel 1943 a Jisr Majameh, un villaggio oggi nel nord di Israele. Diplomato in economia, Yusef si è formato militarmente in Unione Sovietica e in Cina e ha rivestito incarichi importanti a capo delle forze armate dell’Olp. Poco più di un anno fa ruppe con Arafat che voleva relegarlo ad una posizione «ornamentale» nel primo governo di Abu Ala.
Mohammed Dahlan, 43 anni, è nato a Khan Yunis. nel sud della Striscia di Gaza. Ex ministro della sicurezza nel governo di Abu Mazen è considerato un pragmatico. Critico della vecchia generazione di Al Fatah e dell’Olp, negli ultimi due anni si è segnalato come il principale oppositore di Arafat. Stimato da Usa e Israele, Dahlan è stato nelle ultime settimane il principale interlocutore dello Stato ebraico nei negoziati sulle prime misure di fiducia e in vista della storica proclamazione della fine della violenza al vertice di Sharm el Sheikh, l’8 febbraio. A Nasser Qidwa, un parente stretto del raìs scomparso, per molti anni rappresentante dell’Anp al Palazzo di Vetro, la leadership palestinese si affida per rilanciare i suoi rapporti diplomatici con l’Occidente e il mondo arabo. Escono dall’esecutivo personaggi, come l’ex ministro per i negoziati Saeb Erekat, che hanno segnato la storia palestinese negli ultimi dieci anni: del gruppo legato agli accordi di Oslo è stato riconfermato, in qualità di vicepremier e ministro dell’informazione, solo Nabil Shaath. Il premier Abu Ala che nelle scorse settimane aveva lasciato intendere di voler svolgere una funzione altrettanto importante di quella di Abu Mazen nelle vicende interne palestinesi e nei negoziati con Israele, si ritrova ora in uno stato di precarietà politica costretto a ricoprire nel governo lo scomodo ruolo di simbolo della vecchia guardia. Lo scontro avuto con la nuova generazione di Al Fatah, molto influente nel Clp, ha frenato forse definitivamente la sua corsa al potere. Il suo appare un incarico di breve durata. Nessuno crede che Abu Mazen lo riconfermerà a capo del governo dopo le elezioni legislative di luglio. Più che un premier «dimezzato», Abu Ala appare un primo ministro transitorio.
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