Furio Colombo, un uomo per tutte le stagioni
una riflessione di Federico Steinhaus sul rapporto tra la sinistra e Israele, a partire dal caso del'ex direttore dell'Unità e dall'aggressione a Ehud Gol
Testata:
Data: 24/02/2005
Pagina: 1
Autore: Federico Steinhaus
Titolo: Furio Colombo, un uomo per tutte le stagioni
Senza che per questo lo si possa confrontare con Tommaso Moro, anche Furio Colombo potrebbe essere definito un uomo per tutte le stagioni. Esplicitamente e sinceramente amico di Israele all’epoca del suo mandato di direttore dell’ Istituto Culturale di New York, amico di Israele ai tempi del suo mandato parlamentare, Colombo ha poi diretto per alcuni anni uno degli organi di stampa di più marcata ed incandescente avversione nei confronti di Israele che rispecchia e modella l’ opinione di larga parte del partito del quale esso è portavoce ufficiale; ed ora, in coincidenza con la sua sostituzione alla guida di quel giornale, Colombo ha scoperto che negli anni della sua direzione quel quotidiano e quel partito sono stati ingiusti ed ottusi nel giudicare il governo Sharon, che sta conducendo Israele verso una difficile pace con il recalcitrante vicino palestinese. Bentornato fra gli amici di un tempo, Furio Colombo!
Tutto ciò potrebbe rimanere poco interessante per noi osservatori esterni se non innescasse una nostra riflessione sull’insieme di cui questa vicenda è parte e sintomo.
Popper ci aiuta in questo tentativo di comprensione, quando sintetizza la differenza fra estremisti e riformisti nel loro diverso approccio alla realtà: i primi la vogliono cambiare tutta e subito, ma soprattutto vogliono il tutto o il nulla, mentre i secondi seguono la via faticosa e tortuosa dei cambiamenti graduali del mondo, al termine dei quali si intravede quel cambiamento globale e radicale che somiglia a quanto avrebbero voluto gli estremisti, incapaci invece di avvicinarvisi.
Così è la sinistra di casa nostra: eternamente divisa sui metodi, idealista ma incapace di trasformare i suoi nobili voli pindarici in pragmatiche iniziative sociali o politiche; e la sua versione estremista tende a prevalere, non certo numericamente ma nella funzione di indirizzo ideologico, contaminando con una certa sua congenita incapacità di capire e gestire la realtà (Popper) anche le altre componenti.
Applichiamo questa analisi alla visione che di Israele, dei suoi governi, della sua linea politica, dei suoi problemi ha la sinistra in generale. Vedremo che gli amici di Israele, quanti a sinistra ne comprendono il dramma e ne condividono almeno nella sostanza le scelte, ci sono e sono anche molti: ma sono intimiditi, messi a tacere, emarginati nel dibattito interno e poco visibili dall’esterno. Chi urla più forte, chi di fatto determina il tono della discussione, è la sinistra radicale, un conglomerato di individui, gruppi, partiti, movimenti che nell’essere contro il sanguinario Israele, contro il demone Sharon, contro una pace di compromesso trovano il loro coagulante.
Cerchiamo nella cronaca più recente una dimostrazione di questo assunto. A Firenze un gruppo di sciagurati studenti di Scienze Politiche - chi scrive si è laureato in Scienze Politiche nel glorioso Istituto Cesare Alfieri che ora sperabilmente arrossisce di vergogna – impedisce all’ambasciatore di Israele, invitato, di prendere la parola, come già era successo non molto tempo fa a Pisa. Ma poi qualcuno ritiene di poter affermare che quella contestazione è fascista e non può essere definita di sinistra: come se anche a sinistra non esistesse, ed in forma particolarmente evidente proprio quando si tratta di Israele, quella profonda voragine culturale e nemica delle libertà (al plurale: di pensiero, di parola, di scelta) che oramai abbiamo accettato di definire semplicisticamente come fascista, ma che più correttamente dovrebbe essere etichettata come oscurantista.
La sinistra nobile, quella con radicate tradizioni di libertà, quella che è sicuramente maggioritaria, deve subire in un sofferto silenzio: si avvicinano elezioni, bisogna battere l’ avversario, ogni voto è utile – anche a costo di perdere in dignità.
Ma torniamo ad Israele. Da questo atteggiamento ostinatamente negativo, accecato dall’ideologia ed incapace di una analisi critica, scaturisce talvolta l’antisemitismo, che è cosa ben diversa dalla critica per quanto aspra; più volte lo abbiamo denunciato come un male oscuro di una certa sinistra, ma fortunatamente non di tutta la sinistra. Abbiamo letto che è in corso un dibattito autocritico in quella parte della sinistra che, facendo capo al PCI ed ai sindacati ad esso legati, tollerò per incapacità di comprendere e di agire il terrorismo brigatista che covava nei suoi anfratti. Le Brigate Rosse hanno ucciso molte persone innocenti, ma hanno perso. L’ antisemitismo non ha ucciso, anche se non è meno doloroso e devastante, e perderà anch’ esso: ma non per merito della sinistra, che ne scopre gli orrori, e scopre di averne consentito l’espandersi, quando è troppo tardi.

Furio Colombo, un uomo per tutte le stagioni