Finchè esiste, Israele è colpevole
sempre più chiaro che è questa la linea del quotidiano comunista
Testata: Il Manifesto
Data: 21/02/2005
Pagina: 9
Autore: Michele Giorgio
Titolo: Il governo israeliano approva muro e ritiro
In prima pagina IL MANIFESTO pubblica l'articolo "Israele: sì a Sharon, coloni trasferiti a Gaza", che riportiamo:
Con il voto favorevole di 17 ministri e quello contrario di cinque, il governo israeliano ha detto «sì» al piano di evacuazione che prevede lo sgombero di 21 insediamenti ebraici nella Striscia di Gaza e di altri quattro nel nord della Cisgiordania. Il primo ministro Ariel Sharon ha ottenuto quanto aveva chiesto nonostante l'opposizione della destra estrema e di una fetta del suo partito, il Likud. A votare contro il piano sono stati ministri importanti - Benyamin Netanyahu, Israel Katz, Nathan Sharansky, Dani Naveh e Tzahi Hanegbi - ma non hanno potuto fare molto contro i ministri laburisti e religiosi schierati dalla parte di Sharon.

Il premier, che rimane profondamente di destra, si compiace di svolgere la funzione di ago della bilancia tra le varie forze politiche. Ciò allo scopo di ottenere la realizzazione del suo progetto che, in cambio di un limitato ritiro di coloni e soldati da Gaza - evacuazione da effettuare entro il settembre 2005 - consente a Israele di annettersi ampie porzioni di Cisgiordania, di costruire il muro di separazione, di conservare il controllo di tutta Gerusalemme e di rinviare a tempo indeterminato la soluzione del problema dei profughi palestinesi. Tutto questo con la benedizione del presidente statunitense George W. Bush e dei governi europei.
Si tratta di un richiamo dell'articolo di Michele Giorgio pubblicato a pagina 9, "Il governo israeliano approva muro e ritiro", nel quale ancora una volta viene ribadito che, qualsiasi cosa faccia, finché esiste Israele è nel torto.
Infatti, come si evince dall'elenco dei presunti scopi reconditi, e, per lui, malvagi, che Giorgio imputa a Sharon, per avere l'approvazione del giornalista un governo israeliano dovrebbe almeno: 1) ritirarsi da tutti i territori contesi, compresa Gerusalemme, senza contropartita 2)cessare la costruzione della barriera difensiva e aspettare senza far nulla (infatti Giorgio ha sempre condannato anche tutte le altre misure difensive israeliane) il prossimo terrorista suicida 3)riconoscere il diritto al ritorno dei profughi del 48, e dei loro discendenti, e così suicidarsi per via demografica.

Qualsiasi pace diversa da questa, per il quotidiano comunista è una truffa.
L'articolo a pagina 9 è infatti illustrato da una fotografia di Sharon e Peres, con la seguente didascalia: "Il gatto e la volpe".

Ecco l'articolo:

Con il voto favorevole di 17 ministri e quello contrario di cinque, il governo israeliano ha ieri dato il suo assenso al piano di evacuazione che prevede lo sgombero di 21 insediamenti ebraici nella striscia di Gaza e di altri quattro nel nord della Cisgiordania. Il primo ministro Sharon ha ottenuto quanto aveva chiesto nonostante l'opposizione della destra estrema e di una fetta del suo partito, il Likud. A votare contro il piano sono stati ministri importanti - Benyamin Netanyahu, Israel Katz, Nathan Sharansky, Dani Naveh e Tzahi Hanegbi - ma non hanno potuto fare molto contro i ministri laburisti e religiosi schierati dalla parte di Sharon. Il premier, che rimane profondamente di destra, si compiace di svolgere la funzione di ago della bilancia tra le varie forze politiche. Ciò allo scopo di ottenere la realizzazione del suo progetto che, in cambio di un limitato ritiro di coloni e soldati da Gaza, consente a Israele di annettersi ampie porzioni di Cisgiordania, di costruire il muro di separazione, di conservare il controllo di tutta Gerusalemme e di rinviare a tempo indeterminato la soluzione del problema dei profughi palestinesi. Tutto questo con la benedizione di George Bush e dei governi europei.

Ieri Sharon ha del resto incassato un altro importante successo politico e diplomatico. A Tel Aviv, dove la rappresentanza diplomatica di Amman mancava da quattro anni, è arrivato il nuovo ambasciatore giordano Maarug Bakhit. La Giordania e l'Egitto avevano richiamato il loro ambasciatore in Israele nel novembre 2000, per protestare contro la repressione dell'Intifada palestinese.

Sharon ha sottolineato la «drammaticità» e l'importanza delle sue decisioni. «Questo non è un giorno facile e non è un giorno lieto», ha detto ieri aprendo la seduta di governo. «Lo sgombero degli insediamenti a Gaza e della Samaria (nord della Cisgiordania) - ha continuato - è un processo molto difficile per gli abitanti, difficile per la popolazione di Israele, difficile per me». «Ma questo processo - ha proseguito - è essenziale per il futuro dello stato». La decisione presa ieri stabilisce che il ritiro comincerà tra cinque mesi e sarà attuato per gruppi di colonie in quattro fasi, per ciascuna delle quali il governo dovrà dare la sua approvazione.

Il consiglio dei ministri ieri era chiamato anche ad approvare il nuovo tracciato del muro che Israele sta costruendo in Cisgiordania e che è ora più vicino alla «linea verde», il vecchio confine armistiziale tra Israele e gli attuali Territori occupati palestinesi, antecedente il conflitto del 1967. Nonostante i ritocchi abbiano lievemente ridotto l'area che si troverà sul lato israeliano del muro, il nuovo tracciato ingloberà circa il 7% della Cisgiordania e oltre 10mila palestinesi. Questi ultimi, che si sono impegnati a rispettare un cessate il fuoco, per ora si accontentano di qualche cerotto che non basta a chiudere le ferite profonde lasciate da quattro anni di incursioni israeliane nelle loro città.

Ieri 16 abitanti della Cisgiordania, che Israele aveva confinato a Gaza nel 2003, sono stati autorizzati a tornare alle loro case. La revoca del confino fa parte dei «gesti di buona volontà» che Sharon ha promesso di compiere nel recente vertice di Sharm el-Sheikh. Il presidente Abu Mazen da parte sua rimane fiducioso e in un'intervista rilasciata al settimanale tedesco Der Spiegel ha affermato che Israele deve smantellare tutti gli insediamenti e interrompere la costruzione del muro. In realtà Abu Mazen sa bene che in futuro verranno smantellate ben poche delle rimanenti 150 colonie ebraiche nei Territori occupati, anzi l'intento di Sharon è proprio quello di evacuare solo gli insediamenti di Gaza. Un suo ministro, Saeb Erekat, da parte sua ha constatato che il governo israeliano «sta dettando l'esito dei negoziati prima ancora che comincino».

Si attende nel frattempo la nascita del nuovo governo palestinese. La composizione doveva essere decisa ieri sera all'interno dell'Olp e di al-Fatah ma Abu Mazen e il premier Abu Ala non sembravano ancora d'accordo sulla lista dei ministri. I contrasti tra i due sono esplosi nei giorni scorsi sul ruolo nel nuovo esecutivo di Mohammed Dahlan, il discusso ex ministro della sicurezza e «boss» di Gaza. Abu Mazen lo vorrebbe al suo fianco, con un incarico nelle relazioni con gli israeliani che Abu Ala invece ritiene una violazione delle competenze del ministro per i negoziati.
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