Gvaot, la città che non c'è
che serve però al quotidiano comunista per fare propaganda contro Israele
Testata: Il Manifesto
Data: 16/02/2005
Pagina: 11
Autore: Michelangelo Cocco
Titolo: Nuova colonia in Cisgiordania per i settler di Gaza
"Nuova colonia in Cisgiordania per i settler di Gaza" titola il MANIFESTO di mercoledì 16 febbraio 2005.
Ecco il testo:

«Abbiamo già cominciato a coordinarci con i palestinesi per portare avanti assieme il ritiro da Gaza», ha dichiarato ieri il premier israeliano Ariel Sharon. Se a questo annuncio seguisse una reale coordinamento sul terreno delle iniziative necessarie a evacuare dalla Striscia gli 8.000 coloni che la abitano, significherebbe che quello che con Arafat ancora saldamente al timone era stato concepito come un piano di ritiro unilaterale si è trasformato, dopo la morte del raìs, in una mossa accettata e apprezzata dalla nuova leadership palestinese. Una nuova sulta (governo) di cui proprio oggi il presidente Abu Mazen dovrebbe annunciare la composizione. Fonti palestinesi hanno anticipato che l'esecutivo sarà formato da 23 ministri oltre al primo ministro. Nove i ministri nuovi. Incarichi importanti sono annunciati per Mohammed Dalan (ministro della sicurezza probabilmente) e Nasser al Qidwa (capo della diplomazia?). Nel corso della conferenza durante la quale ha incontrato la stampa estera, il premier israeliano ha spiegato il motivo del coordinamento con la nuova leadership post-Arafat: «Per noi è molto importante che Gaza non finisca nelle mani di Hamas e del Jihad islami, ma al contrario che ne assuma il controllo l'Autorità palestinese».

Alla fine della chiacchierata con i giornalisti il primo ministro - che in questi giorni ha ricevuto minacce di morte dall'estrema destra - ha ribadito lo scopo del piano: solidificare la presa sulla Cisgiordania in modo che i blocchi di colonie «siano parte dello Stato ebraico in futuro».
Sharon ha parlato di alcuni blocchi di colonie, non di tutti.
Che conservarli sotto la sovranità israeliana sia lo "scopo" del piano di ritiro da Gaza è invece una libera interpretazione di Cocco.

Ieri la Knesset (il parlamento israeliano) ha iniziato la discussione della legge che detterà modalità del ritiro e stabilirà gli indennizzi che spetteranno ai coloni. Il voto finale sul provvedimento, che in aula è sostenuto dai laburisti e da una parte del Likud, mentre è osteggiato da una parte del partito di Sharon e da tutta la destra religiosa, è atteso per oggi. Ma i membri della Knesset contrari all'evacuazione continuano a tentare di percorrere tutte le strade che possano intralciare il provvedimento. Michael Eitan e Uzi Landau (Likud) hanno raccolto le firme di numerosi deputati del loro partito chiedendo l'immeidata riunione del comitato centrale, per pronunciarsi sull'opportunità d'indire un referendum sul ritiro. Quello del ritiro da Gaza sarà comunque un percorso lungo e accidentato, perché dopo l'approvazione della legge ogni tappa successiva sarà soggetta ad approvazione parlamentare, con Yesha council - il movimento dei coloni - intenzionato a dare battaglia in parlamento e nelle piazze, come hanno dimostrato gli scontri di Gerusalemme dell'altroieri. Ma Sharon è determinatissimo ad andare avanti come un carrarmato. Uscire da Gaza per rubare - grazie al muro e alle colonie - quanta più terra possibile ai palestinesi, questo è l'imperativo dettato dall'uomo che il settimanale the Economist ha recentemente definito «l'improbabile colomba».

E per organizzare il «grande furto» cioè spostare più ad est quel confine del 1967 dal quale le risoluzioni delle Nazioni Unite impongono ad Israele di ritirarsi,
La risoluzione, nell'originale versione in inglese, impone il ritiro "da" e non "dai" territori.
sono già pronti gli strumenti. Ieri l'agenzia britannica Reuters ha scoperto il piano della costruzione di un nuovo insediamento - nei pressi del blocco colonie di Gush Etzion, una ventina di chilometri da Gerusalemme - che dovrebbe accogliere parte dei coloni evacuati da Gaza. A confermare il progetto è stato il ministro dell'edilizia, Isaac Erzog.
In realtà Herzog ha detto a Reuters che rappresentanti dei coloni gli hanno chiesto di un piano vecchio di 10 anni per la costruzione di un insediamento, e che lui ha risposto che avrebbe riesaminato il progetto, avendo bene in mente le implicazioni poltiche della cosa, "riferendosi" commenta l'agenzia di stampa, all'opposizione degli Stati Uniti e dell'Autorità Palestinese all'espansione degli insediamenti.
Alla domanda se Israele intenda iniziare a costruire l'insediamento ora ha risposto, riferisce ancora Reuters: "Naturalmente no".
Non esattamente la stessa notizia...

Parte dei coloni saranno riassorbiti nello Stato ebraico, ha detto Erzog aggiungendo che «non potrò impedire che chi vorrà utilizzare gli indennizzi per comprare una casa Gush Etzion lo faccia».


In realtà Herzog ha anche detto che non esiste nessun piano governativo per reinsediare i coloni in Cisgiordania. Loro, ha aggiunto, possono comprare casa dove vogliono; ma non si tratta di un piano del governo.
Ancora una volta una notizia un po' diversa da quella data ai suoi lettori dal MANIFESTO.
Va anche ricordato che Herzog è membro del partito labourista israeliano, caso mai qualcuno pensasse che il ministro dell'Edilizia israeliano sia un fanatico di destra...

( sui veda per tutte queste informazioni: http://www.reuters.com/newsArticle.jhtml?type=topNews&storyID=7636682)

«Ciò rientra completamente nei loro diritti». Gvaot è il nome di questo insediamento (in Cisgiordania ce ne sono 128, con una popolazione di 250mila coloni, a cui vanno aggiunti i 200mila di Gerusalemme) che rappresenta una chiara violazione di quella road map (che, tra le altre cose, obbliga Israele a fermare immediatamente l'attività di colonizzazione) che dovrebbe essere la base per far ripartire il piano di pace. Una road map che però ieri, per l'ennesima volta, Sharon ha detto di non essere disposto a seguire.
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