Assassinio di Hariri: le ragioni delle accuse alla Siria
che provengono da Stati Uniti, Francia, dall'opposoizione libanese e dal mondo arabo
Testata:
Data: 16/02/2005
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Autore: Magdi Allam - un giornalista - la redazione
Titolo: Così Assad segue le orme di Saddam - Chi ha ucciso Hariri - Libano: Generale Aoun:in attentato chiara responsabilità della Siria. Damasco spera in una nuova fase di caos
Dalla prima pagina del CORRIERE DELLA SERA di mercoledì 16 febbraio 2005 l'articolo di Magdi Allam "Così Assad segue le orme di Saddam".
« A nome della comunità internazionale vi chiediamo di non compiere alcun attentato sanguinario. Se Walid Jumblatt o Rafik Hariri subiranno qualsiasi tentativo di assassinarli, ciò rappresenterà il punto di rottura definitivo tra la Siria e la comunità internazionale » . Queste le parole, secondo il quotidiano Al Hayat , del segretario generale dell'Onu Kofi Annan trasmesse il 7 febbraio scorso dal suo inviato a Damasco Terje Roed- Larsen al ministro degli Esteri siriano Faruq al- Sharaa. Parole riferite il giorno stesso alle due vittime designate: « Larsen dieci giorni fa mi raccomandò di fare attenzione — ha affermato ieri Jumblatt alla televisione Al Arabiya — , Larsen parlò anche con Hariri che poi mi disse: " Hanno deciso di sconvolgere tutto, colpiranno uno di noi due". E hanno cominciato da lui. Il regime terrorista libanese sostenuto dai servizi segreti siriani ci ha condannato a morte quali agenti di Israele, dell'America e della Francia » .
Era un attentato preannunciato. Si conosceva l'esistenza di un piano terroristico. Si conoscevano i nomi delle vittime designate. Si sapeva che l'attentato non si sarebbe potuto realizzare senza il benestare dei servizi segreti siriani. Si sapeva che la destabilizzazione del Libano era la risposta della Siria all'ultimatum dell'Onu, codificato nella risoluzione 1559, che ingiunge il ritiro definitivo dell'esercito siriano dal territorio libanese e lo smantellamento della milizia s c i i t a dell'Hezbollah. Resta da chiarire chi sia stato l'esecutore materiale dell'attentato a Hariri: direttamente i servizi segreti siriani, come appare probabile, oppure un'autobomba con o senza kamikaze dell'Hezbollah o di un estremista palestinese al soldo di Damasco. Al riguardo è interessante il fatto che solo 24 ore prima dell'attentato a Hariri, il viceministro degli Esteri siriano Walid al- Muallam, a cui è stata affidata la gestione del dossier sull'opposizione libanese, aveva ricevuto a Damasco il capo di Al Fatah in Libano, Sultan Abul Ainan, nonostante su quest'ultimo penda una condanna a morte inflitta da un tribunale militare libanese per la costituzione di un gruppo armato nel campo profughi di Al Rashidiya. Secondo il quotidiano Asharq al Awsat Abul Ainan ha condannato la risoluzione 1559 dell'Onu definendola « una risoluzione americana che vuole indebolire la Siria e pertanto noi siamo schierati al fianco dei nostri fratelli siriani » .
L'obiettivo evidente dell' assassinio di Hariri è riportare indietro di trent'anni le lancette dell'orologio in Libano, riesumando il clima di guerra civile che favorì nel 1976 l'arrivo delle forze siriane. Damasco ritiene improponibile la fine della sua tutela sul Libano da sempre considerato parte integrante della « Grande Siria » . Quanti sanno che a tutt'oggi non c'è un'ambasciata siriana a Beirut e un' ambasciata libanese a Damasco? Semplicemente perché la Siria disconosce di fatto l'indipendenza e la sovranità del Libano, così come rifiuta di allacciare normali relazioni diplomatiche.
« Il Libano dopo l'assassinio di Hariri rassomiglia al Kuwait dopo l'invasione irachena » , ha affermato il direttore del quotidiano kuwaitiano Al Siyassa . E ineffetti la realtà di Bashar al Assad oggi non è dissimile da quella di Saddam Hussein a partire dal 2 agosto 1990. Entrambi hanno avuto la reazione estrema di chi si sente con l'acqua alla gola a casa propria e assediato da ogni lato. Entrambi hanno optato per una valvola di sfogo esterna colpendo molto in alto, destabilizzando dalle fondamenta lo status quo. Immaginando che far esplodere un' emergenza internazionale al di fuori dei propri confini possa quantomeno allontanare il rischio dell'implosione interna al proprio regime. Al pari di Saddam, Assad ha di fatto dichiarato guerra non solo all'opposizione libanese che esige il ritiro delle forze siriane, ma anche a Stati Uniti, Francia e all'insieme dell'Onu che hanno avallato questa rivendicazione con la risoluzione 1559.
Per la prima volta in Libano è emerso un ampio e autorevole fronte di opposizione al regime, al potere e alla Siria, in cui confluiscono esponenti di tutte le etnie e confessioni. Al riguardo va chiarito che in realtà Hariri non era né il leader del fronte dell'opposizione e neppure un suo esponente ufficiale. Condivideva la richiesta di ritiro delle forze siriane ma non voleva rompere i ponti con Damasco. Si comportava con lo stesso spirito improntato al compromesso e al buon senso che lo aveva fatto emergere come il vero artefice dell'accordo di pace di Taif del 1989 che pose fine a 15 anni di guerra civile. Hariri faceva paura a Damasco proprio perché era un vero leader nazionalista, mai sottomesso o manipolabile, non il rappresentante di una fazione.
La Siria ha una lunga tradizione di assassinii di esponenti politici libanesi, di cui i nomi più illustri sono Kamal Jumblatt ( 1977) e Bashir Gemayel ( 1982).
Ma la riesumazione del terrorismo di Stato siriano avviene in un contesto regionale e internazionale nuovo, dove Francia e Stati Uniti si ritrovano alleati, dopo lo strappo sull'Iraq, per sostenere un nuovo corso libero e democratico in Libano.
Così come esiste un ampio consenso a combattere il terrorismo a livello mondiale. Il Libano e il contesto politico sono diversi da quelli di trent'anni fa. Probabilmente Assad ha fatto male i suoi calcoli. L'assassinio di Hariri potrebbe segnare l'inizio della fine del suo regime dittatoriale e sanguinario.
IL FOGLIO in prima pagina pubblica l'articolo "Chi ha ucciso Hariri?", che riportiamo:
Via l’ambasciatore americano dalla Siria. Gli Stati Uniti, dopo l’uccisione dell’ex premier libanese Rafiq Hariri, intendono richiamare il diplomatico, Margaret Scobey, per consultazioni a Washington, e mettono in relazione la decisione e le tensioni sorte con il regime di Bashar el Assad per l’attentato di Beirut. Perché a Foggy Bottom e alla Cia, la nuova Cia che, a differenza della precedente di George Tenet, non ne vuole sapere di Damasco, non si hanno dubbi sui mandanti dell’assassinio. Secondo notizie giunte a Foggy Bottom dal Libano, ora anche il leader druso Walid Jumblatt potrebbe temere per la sua vita, vista la sua opposizione alla Siria. A Foggy Bottom, in queste ore, non si parla d’altro: "We’re going turn up the heat on Syria, that’s for sure", ha fatto sapere Condoleezza Rice. Detto, fatto. E non si escludono nuove misure contro Damasco. Prima di lasciare Foggy Bottom, l’ex segretario di Stato, Colin Powell, preparò sulla scrivania del suo ufficio un pacco di dossier per il suo successore. Si tratttava degli "hot files", le carte che riguardavano alcuni paesi canaglia come Siria e Iran. Nel dossier Siria, compilato da un esperto di quel paese come l’ex vicesegretario di Stato, Richard Armitage, c’era scritto che prima o poi Damasco, nel suo protettorato libanese, avrebbe usato la mano dura contro "i politici nemici", contrari alla presenza dei siriani a Beirut e dintorni. Quando lunedì all’alba (ora di Washington) "Condi" Rice ha saputo dell’attentato a Hariri avrà forse pensato al dossier di Armitage. Hariri, uomo d’affari, ricchissimo, amico da 30 anni di re Fahd, in ottimi rapporti col presidente francese Jacques Chirac, socio d’affari per lungo tempo di Sheik Yamani, amico dei Bush, padre (soprattutto) e figlio, si era dimesso in ottobre
dalla carica di primo ministro per protestare contro la decisione siriana di far estendere il mandato di Emile Lahoud, presidente legato a Damasco. Poco dopo Hariri, l’uomo della ricostruzione del Libano dopo la guerra civile, si era unito a quei leader (pochi in verità) decisi a chiedere il ritiro dei siriani dal Libano. Un tradimento agli occhi di Damasco. Hariri ebbe subito minacce, ma continuò. Confidandosi due mesi fa con il principe Sultan, ministro della Difesa saudita, Hariri gli disse di aver raddoppiato le sue guardie del corpo, di aver deciso di alternare periodi a Beirut con settimane all’estero, soprattutto a Parigi. Hariri non era solo sotto il tiro dei servizi segreti siriani, ma anche di quelli iraniani, che a Beirut hanno al loro servizio gli hezbollah e la loro intelligence, nel quale opera il superterrorista Mughnye, il più tecnologico costruttore di ordigni di tutto il medio oriente. Una bomba azionata da un terrorista suicida – la pista più battuta nelle ultime ore – o comandata a distanza ha distrutto il corteo di Hariri e ha ucciso l’ex premier. I servizi americani e francesi sono stati i primi a occuparsi dell’attentato. E hanno tratto alcune conclusioni. Il proclama lanciato da un gruppo islamista e da un misterioso attentatore su al Jazeera è falso. L’ordigno, visto il disastro, non era di 400 chili, come è stato ipotizzato, ma di almeno 1.000. La dinamica dell’attentato fa pensare a una tecnica molto usata in passato, a Beirut e altrove, dai servizi siriani. Un colpo di tal genere non poteva essere organizzato a Beirut all’insaputa dei siriani. I servizi segreti libanesi hanno fatto cilecca, per colpa o per dolo, come si dice in Libano pensando male. I palestinesi di Beirut, in genere bene informati, hanno fatto sapere ai loro referenti nei servizi d’intelligence occidentali di non aver dubbi sull’origine siriana del colpo contro Hariri. Nel 1983 i siriani attentarono alla vita di Bashir Gemayel, per impedirgli di essere il leader del Libano indipendente. Lo stesso intendimento forse avevano nel colpire Hariri, pronto, dopo le elezioni di maggio, a rientrare in scena a spese della Siria.
Infine, un lancio ADNKRONOS sulle dichiarazioni di Michel Aoun, capo dell'esercito libanese negli anni Ottanta che fu chiamato il 23 ottobre 1988 a formare un governo militare, ora in esilio in Francia.
Nell'intervista ad AVVENIRE, non disponibile sul web, Aoun dichiara anche: "In ogni caso non vedo l'interesse di Israele di assassinare Hariri o un altro primo ministro del Libano"
Ecco il testo:

Roma, 16 feb. (Adnkronos) - ''Viviamo sotto il regime siriano da
30 anni'' e ''la Siria e' responsabile della sicurezza in Libano''. In
esilio in Francia, il generale Michel Aoun -capo dell'esercito
libanese negli anni Ottanta che fu chiamato il 23 ottobre 1988 a
formare un governo militare- lo sottolinea in un'intervista a
'Avvenire'. Aoun si dice cosi' convinto della responsabilita' di
Damasco nell'attentato a Beirut, lunedi' 14 febbraio, che ha ucciso
l'ex premier libanese Rafik Hairiri e altre 14 persone.
Il generale Aoun, uno dei principali esponenti dell'opposizione,
dice poi che ''vi sono almeno un centinaio di uomini politici libanesi
che sono stati uccisi perche' si opponevano alla Siria e nessuno di
questi casi e' stato chiarito; mentre gli autori di altri crimini
commessi sul suolo siriano sono stati inquisiti, gli autori sono stati
giudicati e dei verdetti sono stati proferiti''.Per Aoun si tratta di un attentato contro la ricostruzione sociale ed economica del paese, e la prospettiva di una nuova fase di caos in Libano e' ''cio' che sperano i siriani'', dice nell'intervista a 'Avvenire'. ''Si possono ancora ascoltare gli ufficiali siriani, nei loro saloni in Libano -spiega- dire che
lasceranno il Paese solo se diventera' terra bruciata, convinti che
nessuno osera' espellerli oltre le frontiere''. Ricordando che Hariri aveva un sofisticato sistema di allarme contro le autobombe, Aoun afferma che neutralizzarlo non e' stato ''banale. Un piccolo organismo non puo' fare cio -dice- Occorre avere le capacita' di uno Stato per neutralizzare simili sistemi''.
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