Sergio Romano esalta Sigonella, ma i premi al terrorismo non sono mai giusti, né utili
perché lasciandone impuniti i crimini ne incoraggiano di nuovi
Testata: Corriere della Sera
Data: 12/02/2005
Pagina: 41
Autore: Gianfranco Pasquino - Sergio Romano
Titolo: Craxi a Sigonella: una decisione nell'interesse del Paese
Il CORRIERE DELLA SERA di domenica 13 febbraio 2005 pubblica una lettera di Gianfranco Pasquino, in polemica con la "riabilitazione" del "riformista" Craxi.
Risponde Sergio Romano, preoccupato soprattutto di difendere la decisione di non consegnare agli americani Abu Abbas, architetto del sequestro dell'Achille Lauro.
Le argomentazioni di Romano sono sconcertanti: Abbas "era certamente il regista dell'operazione", ma " l'incendiario, nel corso della vicenda, era diventato pompiere".
Nel corso dell'operazione era avvenuto "l'assassinio di un ebreo americano" (ucciso solo perché ebreo americano) che "riaprì la crisi". Come incendiario Abbas era certamente migliore che come pompiere...
In realtà il terrorismo internazioanle palestinese, come ben spiega Alan Dershowitz nel suo libro "Terrorismo" (Carocci 2003) aveva sempre fatto uso dell'accortezza di accreditare i mandanti dei delitti più efferati come interlocutori indispensabili nelle trattative. Era proprio questo credito politico e questa intoccabilità uno dei vantaggi che i terroristi traevano dalle loro imprese criminali e che li spingeva a ripeterle.
Per questo, spiega Dershowitz, le trattative e l'appeasement con il terrorismo non sono mai stati nell'interesse reale di nessun paese. Il terrore è infatti alimentato dal successo che trattative e appeasement gli garantiscono. Non soltanto il terrorismo dei gruppi che già ne fanno uso, ma anche quello di quei gruppi che stanno valutando se ricorrervi, e constatano che funziona.
Il terrorismo che oggi minaccia tutti noi, ci dice Dershowitz, è anche la logica conseguenza dei premi che alcuni Stati, tra cui l'Italia di Craxi, hanno elargito al terrorismo internazionale palestinese degli anni 70 e 80.

Di seguito, il testo della lettera e la risposta:

Non le sembra che bisognerebbe mettere bene in chiaro a quale titolo i Ds, ma non soltanto loro, « riabilitano » ( che è già un verbo da far rabbrividire) Craxi? Insomma, quale fu davvero il riformismo di Craxi: 1) aprire una trattativa con le Brigate rosse per salvare Moro? 2) Non consegnare il terrorista Abu Abbas agli americani? 3) Continuare a fare i governi con la Democrazia cristiana di Andreotti e Forlani? 4) Pilotare la vendita della Sme? 5) Opporsi alle privatizzazioni? 6) Impedire le riforme elettorali e istituzionali? ( si ricorda del famoso invito ad andare al mare in occasione del referendum elettorale del giugno del 1991) 7) apostrofare Norberto Bobbio « filosofo che ha perso il senno » quando Bobbio criticò come « democrazia dell'applauso » il plebiscito con il quale i delegati al Congresso Psi di Verona si espressero, senza votare, a favore di Craxi? Gianfranco Pasquino Bologna ( ora a Oxford)

Caro Pasquino, anch'io credo che che le qualità di Craxi fossero altre. Il suo maggiore merito fu quello di liberare il partito socialista dal suo velleitario massimalismo e dallo stato di soggezione al Pci in cui era gradualmente scivolato durante la segreteria di Francesco De Martino. Grazie ai suoi rapporti con François Mitterrand, con Felipe Gonzales e con l'Internazionale socialista, riuscì a trasformare il partito in una forza europea riformatrice e modernizzatrice. Ne avemmo la prova quando decise di affrontare, contro la volontà del Pci, il problema della scala mobile. E' vero che cercò di boicottare il referendum del 1991 sui voti di preferenza. Ma in una fase precedente aveva proposto l'elezione diretta del presidente della Repubblica. Avrebbe dovuto perseguire l'obiettivo con maggiore coerenza, ma la proposta dimostrò che si era reso conto di quanto il sistema istituzionale del Paese rallentasse il suo ingresso nella modernità. Fu un errore invece, a mio avviso, cercare di aprire una trattativa con le Brigate rosse per la liberazione di Moro. E fu grave che il « modernizzatore » si opponesse alla smantellamento dello Stato imprenditore. Dove io e lei, caro Pasquino, siamo in disaccordo è sulla vicenda di Sigonella. Come lei ricorda, Craxi, negli anni precedenti, aveva coltivato i rapporti con il movimento palestinese e con Arafat. Quando scoppiò la crisi dell'Achille Lauro, sequestrata da un gruppo di terroristi nelle acque egiziane il 7 ottobre 1985, quei rapporti dettero buoni frutti e il governo a riuscì a ottenere la liberazione della nave. Ma l'assassinio di un ebreo americano riaprì la crisi e la trasformò in un braccio di ferro tra l'Italia e gli Stati Uniti. Gli americani, che già avevano dato segni d'impazienza, decisero di intervenire per impadronirsi dei terroristi. Craxi resistette alle loro pressioni e affrontò spavaldamente nei giorni seguenti la crisi provocata dal partito repubblicano. Abu Abbas, il terrorista che il leader socialista rifiutò di consegnare, era certamente il regista dell'operazione. Ma e occorreva, a mio avviso, trattarlo come tale. Non basta. Se Craxi, in quel momento, avesse ceduto alle pressioni degli americani, avrebbe disperso tutto il patrimonio accumulato per sé e per l'Italia nel mondo arabo. Che la sua scelta fosse giusta per il Paese venne confermato del resto indirettamente dalla rapidità con cui il presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, dimenticò l'incidente. L'episodio rappresentò per Craxi una doppia vittoria. Dimostrò che la sua politica palestinese aveva dato buoni frutti. E dimostrò che l'Italia poteva, quando erano in gioco i suoi interessi, dire no all'America. Quella vicenda fu importante anche per un'altra ragione. Provò che l'America di Ronald Reagan preferiva Craxi a un presidente del Consiglio democristiano. Per i conservatori che guidarono la politica estera degli Stati Uniti negli anni Settanta e Ottanta, Craxi e il suo esplicito anticomunismo rendevano l'Italia più affidabile di quanto non fosse stata quando i governi democristiani corteggiavano Mosca per addomesticare il Pci e dialogavano con i comunisti per dimostrare a Mosca che l'atlantismo dell'Italia era diverso da quello dei suoi alleati.
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