I pretesti di Hamas convincono u.d.g.
per lui è Israele a mettere a rischio la tregua
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Data: 10/02/2005
Pagina: 7
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Israele spera: l'Intifada è finita
Se ha occasione di mettere in cattiva luce Israele Umberto de Giovannangeli di solito non se la fa scappare; dopo aver accolto con entusiamo nei giorni scorsi la ripresa delle trattative e aver elogiato in primis Abu Mazen e di riflesso Sharon, il giornalista dell’Unità ritorna al linguaggio di sempre e a riferire le notizie in modo tendenzioso. E’ il caso dell’episodio della morte di un palestinese, ucciso da colpi di arma da fuoco provenienti da un insediamento di "coloni ebrei", che,secondo u.d.g, basterebbe a fare saltare la tregua.
Il fatto viene presentato come se gli israeliani avessero dichiarato di essersi sbagliati pensando a un tentativo di infiltrazione. Invece la versione israeliana è che che il tentativo c'è stato. I colpi sparati, poi erano di avvertimento, cosa che u.d.g. non scrive
Inoltre, l'episodio potrebbe essere al massimo un pretesto da parte di Hamas,che tra le altre cose, continua a lanciare missili qassam, per dire che Israele ha rotto la tregua. Stupisce che all’Unità la pensino allo stesso modo.
Di seguito l’articolo:

Ariel Sharon entra nella Muqata. Da uomo di pace e non da conquistatore. Da Sharm el-Sheikh a Ramallah. Dal «vertice della speranza» a quello della concretezza. «Il primo ministro è propenso ad accettare l’invito del presidente Abbas per un incontro a Ramallah», dice a l’Unità Ranaan Gissin, portavoce di Sharon. «Ma ciò che più conta adesso - aggiunge - è che gli impegni assunti nel vertice dal presidente Abbas abbiano una traduzione sul campo».
La verifica sul campo per puntellare la tregua. È il tasto su cui le due parti insistono il giorno dopo il «Nuovo Inizio» a Sharm el-Sheikh. «I risultati del vertice sono positivi, ma ora è la loro attuazione che conta», rileva Abu Mazen, al suo rientro a Ramallah dal summit sul Mar Rosso. Il raìs aggiunge di ritenere che «la proclamazione di un cessate-il-fuoco è una cosa molto importante», ma che l’applicazione sul terreno sarà un test probante. Ieri sera la tregua sembrava già rotta. Un profugo palestinese del campo di Rafah è stato ucciso a Gaza da colpi d’arma da fuoco provenienti da un insediamento di coloni ebrei, dove è presente una guarnigione militare israeliana. Secondo le prime notizie i militari avrebbero sparato dei colpi temendo che alcuni palestinesi volevano infiltrarsi nell’insediamento. Bisogna capire quanto questo incidente peserà.
Abu Mazen precisa intanto che l’annunciato ritiro israeliano da cinque città della Cisgiordania riguarderà anche le zone circostanti: il ritiro avverrà «in cinque zone, ossia cinque città e i loro dintorni», indica. Israele ha già annunciato che si ritirerà nelle prossime settimane da Gerico, Tulkarem, Qalqilya, Betlemme e Ramallah. Il presidente palestinese ha anche affermato che in queste aree i posti di blocco israeliani «saranno tolti e sostituiti dalle forze di sicurezza palestinesi». Il «Nuovo Inizio» è fatto di passi concreti. Ieri mattina Israele, su ordine del ministro della Difesa Shaul Mofaz. ha iniziato i primi passi volti a rafforzare la cooperazione sul terreno. A Gaza, dopo una chiusura di sei mesi, il valico di Erez è stato riaperto e il transito verso Israele è stato concesso a 1000 manovali e 500 commercianti palestinesi. Riaperti pure presso Gaza la zona industriale di Karni (Mintar) e di Orhan (Abu Hoali). «Cerchiamo di alleviare le condizioni di vita della popolazione palestinese», assicura un ufficiale israeliano a Gaza. Al valico di Karni - ancora semidiroccato per un recente attentato di Hamas, costato la vita a sei israeliani - sono entrati ieri medicinali destinati alla gente di Gaza e sono usciti camion con prodotti di esportazione agricola. Mofaz ha inoltre ordinato che siano autorizzate le visite ai palestinesi detenuti in Israele da parte dei loro congiunti provenienti dai Territori.
Anche in questo caso, la normalità riprende al rallentatore. L’altro ieri a Sharm el-Sheikh israeliani e palestinesi hanno concordato di organizzare commissioni congiunte per esaminare la liberazione dei detenuti (Israele accetta di rilasciarne 900 nei prossimi tre mesi, i palestinesi vogliono la liberazione di tutti gli ottomila) e per discutere della cooperazione di sicurezza. Il «Nuovo Inizio» si rispecchia anche nelle prime pagine dei maggiori quotidiani d’Israele. «L’Intifada è finita», titola a tutta pagina Yediot Ahronot, il più diffuso giornale del Paese. Più pacato Maariv, che pure per l’evento rivoluzione la grafica della sua prima pagina ma titola: «Forse questa volta...». Il giornale ritiene che «una nuova speranza è nata in Medio Oriente». «Ma adesso - avverte - le parole devono tradursi in fatti».
Il «Nuovo Inizio» ha il volto di Ariel Sharon. Ed è al primo ministro israeliano che il quotidiano progressista Haaretz dedica un commento entusiasta. «Mai prima d’ora - scrive l’editorialista - c’era stato un leader costretto a realizzare una svolta politica così coraggiosa in condizioni interne talmente difficili». Il giornalista menziona le scritte minacciose contro Sharon apparse l’altro ieri sui muri di Tel Aviv e aggiunge: «Così come nel 1948 Ben Gurion scelse il momento della nascita dello Stato d’Israele contro il parere dei suoi compagni, così Sharon va oggi contro il volere dei suoi compagni ma assieme con la maggioranza del popolo». A impensierire Abu Mazen sono le dichiarazioni di Hamas e della Jihad islamica di non sentirsi vincolate al cessate-il-fuoco. Fonti politiche a Ramallah affermano che Abu Mazen si recherà al più presto a Gaza per conferire con i dirigenti di quelle organizzazioni, per illustrare loro le intese maturate nel vertice con Ariel Sharon e per chiedere loro di continuare a rispettare la calma sul terreno. Per ora Abu Mazen ha provilegiato il dialogo con le fazioni. Ma forse sarà costretto a usare la forza, rischiando però la guerra civile. Dalla sua, «Mahmoud l’antieroe» può contare su quel desiderio di tornare alla normalità diffuso oggi fra i palestinesi della strada. Abu Mazen ritiene che Hamas, un movimento sempre attento a percepire gli umori dell’opinione pubblica palestinese, dovrebbe dunque assecondare (almeno in questa fase) i suoi progetti.
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