Interviste sul vertice di Sharm el Sheik: la scelta degli interlocutori è sbilanciata
in modo sfavorevole a Israele
Testata: Avvenire
Data: 09/02/2005
Pagina: 4
Autore: Francesca Fraccaroli
Titolo: Indicata la via. Ma il cammino è tutto da fare
AVVENIRE di mercoledì 9 febbraio 2005 pubblica numerosi articoli sulla svolta diplomatica di Sharm el Sheik.
Accanto alle corrette cronache di Graziano Motta e Luca Geronco troviamo due interviste di Francesca Fraccaroli, riunite sotto l'unico titolo: "Indicata la via. Ma il cammino è tutto da fare".
Gli interlocutori della giornalista sono Danny Rubinstein, editorialista del quotidiano di sinistra israeliano Haaretz e il politologo palestinese Saud Abu Ramadan. La scelta non è equilibrata, dato che entrambi assegnano a Israele i maggiori obblighi in vista dell'avanzamento dei negoziati di pace.
In Israele, naturalmente, vi sono commentatori che tendono a sottolineare, al contrario di Rubinstein, la necessità che l'Anp combatta efficacemente il terrorismo e sospenda l'incitamento contro Israele (venerdì la televisione palestinese ha nuovamente trasmesso un sermone in cui si invocava la distruzione di Israele, vedi il sito Palestinian Media Watch").
La Fraccaroli avrebbe dovuto correttamante accostare l'opinione di uno di costoro a quelle di Rubinstein e Ramadan.
Meglio ancora sarebbe stato sentire anche l'opinione di un arabo più vicino alle posizioni israeliane, come Nonie Darwish, Walid Shoebatt o l'arabo-israeliano Khaled Abu Toameh .

Ecco l'articolo:

qui Gerusalemme
«I coloni, spina nel fianco del governo israeliano»

Le relazioni israelo-palestinesi hanno vissuto ieri a Sharm el-Sheik una pagina nuova. Il premier Sharon e il presidente Abu Mazen dovranno tuttavia affrontare sfide di grande impegno nelle prossime settimane. In particolare il leader israeliano ha davanti a sé le resistenze dei coloni che si oppongono al suo piano di ritiro da Gaza e la necessità di muovere passi più spediti verso il negoziato con i palestinesi. A chiederglierlo sono anche gli Stati Uniti. Per Sharon sarà un periodo difficile, prospetta l'editorialista del quotidiano Haaretz, Danny Rubenstein che da oltre trent'anni segue il conflitto mediorientale.
Ieri c'è stato un incontro al vertice che fino a qualche mese fa era ritenuto impossibile. Ritiene che nel Sinai Sharon e Abu Mazen abbiano compiuto progressi davvero così importanti?
Dal punto di vista dei rapporti personali e delle relazioni tra il governo israeliano e l'Anp direi proprio di si. È un bene che dopo tanto spargimento di sangue, le due parti abbiano concordato una tregua. Ma ciò è solo un primo tassello nel complesso mosaico del processo di pace.
Quali sono gli ostacoli per il premier israeliano.
Mi aspetto l'intensificarsi delle proteste dei coloni ebrei, che sono la vera spina nel fianco del governo. Saranno in grado di condizionare le concessioni che Sharon è chiamato a fare per rispettare i suoi impegni con i palestinesi e l'opinione pubblica internazionale. I coloni sanno bene che il dialogo appena ricominciato è fragile, quindi faranno il possibile per minare le intese di Sharm el-Sheik e quelle future.
In queste circostanze come si svilupperà il rapporto tra Israele e Stati Uniti, come si muoverà l'Amministrazione Bush su questo terreno minato?
La sostanza delle relazioni tra il nostro Paese e gli Usa non cambierà. Tuttavia questo secondo mandato di Bush si annuncia diverso dal primo. Il presi dente americano ha la necessità di soddisfare, almeno in parte, le aspirazioni arabe alla luce anche della crisi irachena. Quindi chiederà a Sharon di offrire di più ai palestinesi. Questo cambiamento si è già visto durante la visita del Segretario di stato Condoleezza Rice che ha sollecitato il nostro primo ministro a mettere in cantiere scelte dolorose per Israele, in nome della pace nella regione. Il nodo da sciogliere è come Sharon riuscirà a trovare un punto di equilibrio politico tra le pressioni americane da una parte e il forte dissenso cresciuto a destra, persino all'interno del suo partito, dall'altra.



qui Gaza
«I palestinesi vogliono concessioni concrete»

da Gerusalemme
A Sharm el-Sheik, il premier Ariel Sharon e il presidente Abu Mazen, hanno cominciato a scrivere un capitolo diverso con l’intento di arrivare ad un accordo definitivo. In queste ore speranze e dubbi si alternano nell’animo dei due popoli. Il desiderio di pace è comune, ma le difficoltà sul terreno rischiano di minare l’intesa siglata dal vertice nel Sinai. Ne abbiamo parlato con Saud Abu Ramadan, analista politico di Gaza e commentatore dell’agenzia di stampa americana Upi.
A Sharm si è creato, almeno in apparenza, un clima diverso tra i leader israeliani e palestinesi. Come è stato visto nei Territori il summit tra Sharon e Abu Mazen?
I palestinesi hanno seguito con attenzione l’incontro tra Sharon e il presidente Abu Mazen e condividono l’atmosfera favorevole alla fine delle violenze. Tuttavia la diffidenza verso l’altra parte è sempre alta e ci vorrà tempo per ricreare un clima di vera fiducia reciproca. È evidente che i palestinesi si attendono ora da Israele concessioni concrete e non solo dichiarazioni di principio.
Il premier israeliano Sharon ha affermato che il suo piano di disimpegno unilaterale dai palestinesi rappresenta un passo in avanti verso l’applicazione della Road map.
L’uomo della strada in Cisgiordania e Gaza si attende risultato tangibili a b reve, si aspetta che dopo il monologo di Sharon durato mesi, sia ora arrivato il momento per ricominciare a camminare insieme. Il ritiro da Gaza va bene, ma deve esser attuato dalle due parti. Ciò significa che non basta l’evacuazione delle colonie ebraiche poiché, di fatto, lascia comunque in mano all’esercito israeliano il controllo dei confini della nostra terra e la gestione dei movimenti della popolazione. Abu Mazen a Sharm el-Sheik si attendeva da Sharon una maggiore disponibilità ad affrontare temi politici, come la liberazione dei prigionieri, e soluzioni per la vita quotidiana di chi vive sotto occupazione militare. Il presidente sa che questo è il percorso per convincere i palestinesi della credibilità di un negoziato con Israele.
Cosa dobbiamo attenderci nelle prossime settimane; terrà il cessate il fuoco?
Molto dipenderà da Israele. Hamas lo sta già attuando anche se ha dichiarato di non sentirsi vincolato dalla tregua annunciata a Sharm el-Sheik. Il comportamento di Sharon sarà determinante. Il punto non sta soltanto nella interruzione delle esecuzioni mirate di attivisti dell’Intifada ma anche nella fine di attività che i palestinesi ritengono provocatorie, come la costruzione del muro in Cisgiordania e la mancata rimozione dei posti di blocco che limitano la libertà di movimento dei civili e danneggiano l’economia.
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