L'infelice destino di Arafat e dei terroristi condannati in Israele
ricordato al mondo, che spera troppo nella pace, da Alberto Stabile
Testata: La Repubblica
Data: 08/02/2005
Pagina: 6
Autore: Alberto Stabile
Titolo: Bush convoca un vertice di pace
LA REPUBBLICA di martedì 8 febbraio 2005 pubblica una cronaca di Alberto Stabile, "Bush convoca un vertice di pace".
Stabile ostenta scetticismo sui risultati del vertice di Sharm el Sheik, fino a sconfinare, nelle ultime righe, in un disfattismo difficile da giustificare.
Se non con la convinzione che Israele sia sempre e comunque contro la pace e che gli Stati Uniti non sappiano esercitare nessuna influenza moderatrice.
In effetti l'articolo è costellato di luoghi comuni cari alla propaganda antisraeliana e da commenti malevoli presentati come oggettivi.
Gaza è ovviamente una "prigione a cielo aperto", (oltre che senza celle e muri di cinta), la legge "degli assenti", invocata dal governo israeliano per giustificare legalmente gli espropri di arabi da molti anni non più residenti , a Gerusalemme, è "iniqua".
Condoloeezza Rice ha definito il ritiro da Gaza una decisione "storica" e "fondamentale" perché, commenta Stabile, "quando per trent´anni si va su e giù senza costrutto e poi si decide per la prima volta di restituire la terra, questo è un passo veramente importante"
Avere la "mani macchiate di sangue", cioè essere degli assassini giudicati e condannati dai tribunali di uno Stato che garantisce a tutti il diritto di difesa, è "una definizione che è già una condanna a vita".
Il fatto che il "corteo" di Condoleeza Rice non abbia sostato alla tomba di Arafat, poi, ispira a Stabile questo dolente commento: "Infelice destino di un leader bollato, da vivo, col marchio dell’ «irrilevanza»".
Qualcuno non vuole ancora rinunciare al mito del raìs terrorista, anche quando è divenuto chiaro quanto fosse di ostacolo alla pace, che è ridivenuta possibile immediatamente dopo la sua morte.

( a cura della redazione di Informazione Corretta)

Ecco l'articolo:

«Security first». La sicurezza prima di tutto, dice Condoleezza Rice al suo battesimo del fuoco nel pandemonio mediorientale. Ed ecco, allora, il nuovo segretario di Stato americano annunciare l´ingresso sulla scena di questa Guerra dei Cent´anni tra isrealiani e palestinesi di un militare di razza, il generale Wiliam G. Ward, missioni difficili ai quattro angoli del mondo, ex comandante delle truppe Nato in Bosnia. Sarà lui a recitare la parte del «security coordinator», un ruolo relativamente nuovo, di mediazione, di liason, di spinta alle due a portare a compimento ciò che si sono impegnati a fare, ma senza una supervisione sull´intero processo di pace, come ebbero in passato personalità dal chiaro profilo diplomatico come Martin Yndick o Denis Ross.
Perché oggi, spiega la Rice dopo aver speso un giorno e mezzo tra Gerusalemme e Ramallah, è tempo di speranze, ma «la sicurezza deve ancora essere ristabilita ed è questo, in fin dei conti, che ci aiuterà ad andare avanti».
Non soltanto la sicurezza, si potrebbe tuttavia aggiungere, è in cima ai pensieri dell´Amministrazione americana. Bisogna, infatti, dar conto di altre due mosse annunciate da Condoleezza Rice. La prima: l´invito da lei stessa recapitato al premier israeliano, Sharon e al presidente dell´Autorità palestinese, Abu Mazen, a nome del presidente Bush, di andare in visita, separatamente, alla Casa bianca entro la prossima primavera. Entrambi hanno accettato. Ed è evidente che, se per Sharon l´invito non rappresenta alcuna sorpresa, lo stesso non può dirsi per Abu Mazen. Il suo ingresso nel cuore della Superpotenza rappresenta la fine dell´emarginazione decretata nei confronti della leadership palestinese regnando Arafat. E affinché i Territori possano riacquistare una parvenza di normalità sarà elargito un aiuto complessivo di 350 milioni di dollari, 40 dei quali saranno pagati entro poche settimane.
Se la missione della Rice in terra israeliana è stata all´insegna del calore amichevole, la puntata a Ramallah è stata più, come si dice, business like. Il lungo corteo del Segretario di Stato americano è entrato ed uscito velocemente dalla Muqata, fingendo d´ignorare che quel padiglione chiuso da un larga vetrata posto proprio davanti all´ingresso e sommerso di fuori appassiti era, è la tomba di Arafat. Infelice destino di un leader bollato, da vivo, col marchio dell´«irrilevanza».
Il messaggio della Rice è chiaro. «Nessun dubiti dell´impegno americano a trovare una soluzione al conflitto». Le parti adempiano agli obblighi che hanno sottoscritto accettando la Road Map. Bravo Abu Mazen «per essere stato fedele all´impegno di ristabilire la calma». Ma adesso bisogna combattere sul serio le organizzazioni terroristiche, riformare i servizi di sicurezza, raccogliere e sequestrare le armi che circolano copiose nei territori palestinesi.
Israele, di contro, «si astenga dal compiere atti unilaterali che possono pregiudicare l´esito di future trattative», allusione all´esproprio di terreni, attivando una legge iniqua e superata come quella «degli assenti». Ma anche un richiamo al dovere, inadempiuto, di smantellare gli avamposti e di congelare gli insediamenti. Quanto al ritiro da Gaza, però, Condoleezza Rice, non esita a definirla una decisione «storica», «fondamentale» perché, quando per trent´anni si va su e giù senza costrutto e poi si decide per la prima volta di restituire la terra, questo è un passo veramente importante.
Un monito il nuovo Segretario di Stato ha voluto indirizzare agli alleati israeliani, usando parole e toni di umanità nei confronti di Abu Mazen. «La non violenza - dice, riferendosi alla linea adottata dal successore di Arafat - merita fiducia e va premiata. Non indebolitelo». Un consiglio ad essere generosi, mentre vengono definiti i termini e i contenuti del vertice che oggi, vedrà il premier israeliano e il leader palestinese incontrarsi a Sharm el Sheik per annunciare un cessate il fuoco generale, la fine di quattro anni d´ostilità.
Condoleezza Rice non ci sarà a certificare la tregua, figlia della «calma che da due settimane domina il terreno. Dice che ha fiducia nella capacità delle parti di andare avanti da sole. Infatti, a prima vista, tutto sembra già pronto per l´atteso incontro. Le cosiddette misure per ristabilire la fiducia sono state in parte concordate. Un certo numero di prigionieri sarà rilasciato anche se non quelli che, secondo le autorità israeliane «hanno le mani macchiate di sangue», una definizione che è già una condanna a vita. Un certo numero di città verranno restituite all´Autorità palestinese, anche se resteranno, per ora, i posti di blocco all´esterno. Un certo numero di misure allenteranno i cancelli di quella prigione a cielo aperto chiamata Gaza. Ma c´è qualcosa che non quadra. Tutto questo è già successo altre volte in passato.
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