Sharon disposto a liberare 920 detenuti palestinesi e a ritirarsi da cinque città, ma per il quotidiano comunista non è successo niente
la realtà cancellata dall'ideologia
Testata: Il Manifesto
Data: 07/02/2005
Pagina: 9
Autore: Michele Giorgio - un giornalista
Titolo: I prigionieri agitano le prove di tregua
Dal MANIFESTO del 4 febbraio 2005: Israele annuncia la liberazione di 920 detenuti palestinesi e il ritiro da 5 città palestinesi.
Irrilevante, dato che contestualmente non toglie i check point e che tra i detenuti ve ne saranno "ben pochi di Hamas" (in realtà la limitazione posta da Israele non riguarda i gruppi di appartenenza, ma l'avere o no le mani sporche di sangue).
Sull'UNITA', leggiamo però la seguente dichiarazione a proposito delle decisioni israeliane, rilasciata da Saeb Erekat, ministro per gli Affari Negoziali dell'Anp, intervistato da Umberto De Giovannangeli:
"Sono decisioni incoraggianti che supportano la nostra speranza che il prossimo vertice di Sharm el-Sheaik possa essere un passaggio cruciale per rilanciare su basi solide il negoziato di pace israelo-palestinese".
Queste dichiarazioni precedevano evidentemente il rifiuto della proposta di scarcerazione, riferito nel sommario dell'articolo, e gettano luce su di essa, intervenuta probabilmente per i riccatti dei terroristi.

IL MANIFESTO lamenta poi che ai palestinesi sarebbe "preclusa la Tomba di Rachele", luogo sacro ebraico.
In realtà, come emerge dalla lettura attenta del testo di Giorgio, il problema riguarda il percorso di una strada che dovrebbe consentire ai pellegrini ebrei di accedere in sicurezza al santuario

Di seguito riportiamo l'articolo e il sommario:

Israele promette: liberi 900 detenuti. Nella lista però non ci sono condannati a lunghe pene né attivisti di Hamas. Inaccettabile per l'Anp che abbandona la riunione. Annunciato il «ritiro» da 5 città della Cisgiordania. Preclusa ai palestinesi la Tomba di Rachele. Ma il summit di martedì potrebbe portare al cessate il fuoco

GERUSALEMME
Con una decisione presa ieri dal Consiglio di gabinetto israeliano, le forze di occupazione usciranno da cinque città della Cisgiordania e 900 dei circa 8.000 prigionieri politici palestinesi dovrebbero fare ritorno a casa. Ma proprio quest'ultimo provvedimento, negoziato dal ministro della difesa Shaul Mofaz e da Mohamed Dahlan, non soddisfa i palestinesi, che in serata hanno lasciato la sede dell'incontro con la controparte sbattendo la porta. La lista dei detenuti da liberare non piace ai palestinesi, che lamentano il fatto che in essa non ci sia alcun condannato a lunghe pene detentive. Ma per il governo israeliano di liberare prigionieri con «le mani sporche di sangue» non se ne parla proprio: il premier Sharon ha annunciato che se ne riparlerà al vertice egiziano di martedì prossimo. In generale queste misure, secondo alcuni, sarebbero destinate ad avere un «impatto positivo» sul vertice di Sharm el-Sheikh che potrebbe concludersi con l'annuncio del cessate il fuoco. In ogni caso dal summit nel Sinai, voluto dal presidente egiziano Mubarak per rimarcare il ruolo del suo paese, sono attese solo dichiarazioni d'intenti e non decisioni politiche. Israele infatti ha raffreddato gli entusiasmi della prima ora e ieri, attraverso un collaboratore di Ariel Sharon intervistato dalla Afp, ha fatto sapere che il summit sarà soltanto il primo approccio ad un percorso «ancora lungo». «Questo incontro - ha spiegato l'anonimo alto funzionario israeliano - sarà l'occasione per le dichiarazioni di intenti ma non per condurre negoziati politici sul piano (di pace) Road map». La condizione israeliana quindi non cambia, nonostante il cessate il fuoco che Abu Mazen ha ottenuto dai gruppi armati dell'Intifada. «Non sono sufficienti semplici dichiarazioni o il dispiegamento di agenti di polizia nei Territori - ha aggiunto il funzionario israeliano - È necessario cominciare a smantellare le organizzazioni terroristiche». Una richiesta che si scontra con la strategia di Abu Mazen di riportare la calma evitando misure repressive e violente che potrebbero portare i Territori occupati alla guerra civile.

Israele ha annunciato un ritiro che in realtà è soltanto un primo via libera al ritorno delle forze di sicurezza palestinesi nelle cinque città interessate dal provvedimento. Le forze armate israeliane, ad esempio, non sono mai state all'interno di Gerico dove entravano solo per compiervi «operazioni anti-terrorismo». Lo stesso, da almeno un anno, vale per Ramallah, Betlemme, Qalqilya e Tulkarem. Le truppe di occupazione lasceranno perciò solo qualche postazione isolata e resteranno invece dove sono oggi, ovvero alle porte dei centri abitati in questione, che circondano completamente, pronte ad attuare nuove «azioni preventive». La svolta sarebbe stata reale se Israele avesse annunciato lo smantellamento dei posti di blocco che limitano al minimo o impediscono del tutto i movimenti della popolazione civile tra i vari centri abitati. La novità pertanto consisterà nella riapparizione in pubblico dei reparti di massima sicurezza dell'Anp che potranno circolare armati allo scopo di imporre il rispetto «della legge e dell'ordine» e garantire la fine dell'Intifada che chiede Abu Mazen. Proprio ieri un gruppo di 42 ufficiali palestinesi è partito per l'Egitto, dove sarà sottoposto a un addestramento di sei settimane, prima di fare ritorno nella Striscia di Gaza per occuparsi del controllo del territorio dopo l'evacuazione delle colonie israeliane prevista per la fine dell'anno.

Abu Mazen da parte sua ha accolto con soddisfazione il rilascio di 900 prigionieri politici palestinesi: 500 verranno liberati la prossima settimana, gli altri 400 entro i prossimi tre mesi. Il ritorno a casa dei detenuti accrescerà la sua popolarità. Per questo motivo ha chiesto che i primi ad essere rilasciati siano coloro che hanno passato più anni in cella. «Non conosciamo le cifre precise, e quali prigionieri (gli israeliani) intendano liberare, ma quel che ci preme è che il primo scaglione sia numeroso ed includa quei detenuti che hanno scontato lunghe pene detentive», ha dichiarato. Abu Mazen ha troppe aspettative. Tra coloro che lasceranno la cella ci saranno ben pochi attivisti di Hamas e di altri gruppi armati. Il presidente palestinese quindi non potrà offrire al movimento islamico quella contropartita che aveva promesso in cambio del rispetto del cessate il fuoco con Israele. La tensione in ogni caso è ancora alta. Ieri sera le forze armate israeliane hanno annunciato di aver fermato un presunto kamikaze palestinese. Si tratta di un ragazzo di 15 anni che, secondo il portavoce militare, aveva una cintura esplosiva nascosta nello zaino, ed è stato bloccato ad un posto di blocco nei pressi di Nablus.

Accanto alle misure cosiddette «distensive» ci sono altre decisioni e provvedimenti di natura opposta. L'Alta Corte di Giustizia israeliana ha respinto ieri il ricorso presentato dai municipi di Betlemme e di Beit Jalla contro il tracciato proposto dall'esercito per la costruzione di una strada di accesso da Gerusalemme alla Tomba della matriarca Rachele. Il completamento della strada viola i diritti di proprietà e la libertà di movimento dei palestinesi che vivono nell'area interessata. Il legale che ha rappresentato i due municipi, l'avvocato israeliano Tussia Cohen, ha commentato che l'effetto di questa decisione è che il sito sacro è stato di fatto annesso a Gerusalemme in violazione degli accordi di Oslo.
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