Il gioco della democrazia tra i palestinesi
l'analisi di Fiamma Nirenstein
Testata: La Stampa
Data: 06/02/2005
Pagina: 11
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: I palestinesi aspettano Condi «Ora c’è democrazia anche qui»
LA STAMPA di domenica 6 febbraio 2005 pubblica un'analisi di Fiamma Nirenstein sulla politica palestinese, che sta scoprendo la democrazia, pratica che porta con sé mutamanti culturali e una nuova possibilità di pace.
Ecco il testo:

Martedì il grande vertice di Sharm El Sheik con tutti i protagonisti: Ariel Sharon, Abu Mazen, Hosni Mubarak, re Abdallah e importanti osservatori da tutto il mondo. E oggi arriva Condoleeza Rice, sul vento della promessa di uno Stato palestinese fatta di nuovo da Bush nel discorso sullo stato dell’Unione. I palestinesi si preparano su parecchi fronti ai mutamenti in vista: è un mondo in subbuglio, che cambia umore, abitudini, rapporti politici. Nelle città più importanti come Ramallah ci si riaffaccia alla vita, si torna al ristorante e al caffè. Nei luoghi invasi ormai da quattro anni da gang terroristiche si affrontano duri scontri interni. Nella diplomazia si cambiano gli uomini e la linea; in politica si osservano feroci testa a testa per il predominio al di là della facciata esterna che riferisce alle opinioni pubbliche internazionali soprattutto di una «hudna», la tregua.
In politica estera sia Abu Mazen che Condoleeza che alti ufficiali dell’esercito israeliano nei giorni scorsi hanno compiuto visite di lavoro in Turchia. Lo snodo geografico, etnico, e soprattutto religioso-politico che Ankara rappresenta è cresciuto di molto sul mercato. Oggi è una chiave fondamentale per il futuro della regione. E il rischio a cui li mette la temperie islamista tanto che il governo turco ha preso posizioni molto dure recentemente contro Israele e contro la guerra in Iraq, e anche sulle recenti elezioni, danno in fondo ad Abu Mazen un vantaggio nella corsa all’amicizia con uno Stato che ha acquistato un’importanza strategica sempre maggiore.
Abu Mazen si è già creato una catena di rapporti internazionali in cui al solito la star è l’Egitto, il più voglioso di primato agli occhi della rinnovata amministrazione Bush, e quindi per i palestinesi tuttavia meno affidabile come alleato nel lungo termine. Abu Mazen si è anche volto a Putin, poiché lo vede ansioso di ridiventare un giocatore importante sulla scacchiera mondiale: la Russia cerca una nuova egemonia che la ponga di nuovo in primo piano sui Paesi mediorientali. Infatti ha cancellato il debito con la Siria e si propone di venderle armi, mentre intesse con la Cina nuovi-antichi rapporti di alleanza-competizione nei rapporti col Medio Oriente. Così Abu Mazen ha firmato un documento congiunto insieme a Putin in cui si richiama Israele alla Road Map secondo la risoluzione dell’Onu 1515 del novembre 2003 e al ritiro dalla West Bank e dalla Striscia di Gaza come passo verso la pace. E’ questa la scelta di un sentiero autonomo rispetto al punto di vista americano che chiede uno Stato palestinese, ma lascia le trattative aperte su come realizzarlo in modo da salvaguardare la sicurezza di Israele.
E tuttavia il gioco della democrazia è quello che vince in queste settimane e Condoleeza trova fra i palestinesi soprattutto un clima culturale nuovo: la tv ha abbassato di molto i toni. Prima i media parlavano un linguaggio guerresco mettendo al centro le cosiddette «operazioni di martirio» che ora invece sono semplicemente diventate «esplosioni». Mercoledì scorso il capo della compagnia palestinese che gestisce le trasmissioni televisive ha dichiarato che la nuova situazione in Medio Oriente richiede un «nuovo approccio». Il direttore, Radwan Abu Ayash, ha dichiarato che «i nostri programmi sono naturalmente legati all’attualità, e poiché ora c’è un’atmosfera di pace e di speranza li abbiamo modificati». Abu Mazen stesso ha detto ai giornalisti: «Non voglio più uno schermo pieno di sangue; voglio uno schermo aperto, ricettivo di diversi punti di vista; non voglio che cantiate sempre le mie lodi, non voglio essere il primo nelle notizie né che copriate tutto quello che faccio». Uno stile assai diverso da quello di Arafat.
Intanto ferve il gioco del potere: i contendenti principali naturalmente sono il primo ministro Abu Mazen e il presidente Abu Ala. Quest’ultimo sostiene che bisogna evitare i grandi cambiamenti in vista delle elezioni legislative a luglio; l’atteggiamento dell’altro leader è opposto perché per mandare avanti riforme gli servono uomini nuovi, i suoi. Abu Mazen vuole soprattutto che il generale Nasser Yussef diventi presto il ministro incaricato di gestire la riforma delle forze di sicurezza al posto di Hakam Balawi scelto da Arafat e grande amico di Abu Ala. Qui sta una delle chiavi fondamentali del cambiamento: per combattere il terrorismo c’è bisogno di un uomo nuovo interessato alla nuova politica e pronto a rispondere a Mohammed Dahlan, il fiduciario di Abu Mazen nel campo delle milizie armate, della loro riforma e unificazione. In secondo luogo Abu Mazen sta cercando di rimpiazzare il ministro degli Esteri Nabil Shaat con Nasser al Kidwa, capo della delegazione dell’Olp alle Nazioni Unite, duro e combattivo nipote di Arafat.
I tre uomini chiave comunque si può giurare che saranno di Abu Mazen: primo fra tutti Dahlan, ma anche Nabil Amr, che presto sarà ministro dell’Informazione e Mohammed Shtayyeh, che certamente è il più innovativo tra questi personaggi: organizzatore della campagna elettorale di Abu Mazen, è un economista, un accademico e un uomo di finanza, astuto e giovane. Abu Ala sa che tuttavia il popolo è favorevole al cambiamento, anzi lo desidera enormemente perché non solo contiene una promessa di pace, ma anche di contenimento della dilagante corruzione.
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