Elezioni in Iraq: nuove illusioni e nuove mistificazioni per non vedere la realtà
Giuseppe Zaccaria e Stefano Chiarini alla ricerca dell'Iraq che non vuole la democrazia
Testata:
Data: 03/02/2005
Pagina: 12
Autore: Giuseppe Zaccaria - Stefano Chiarini - Giuliana Sgrena - la redazione
Titolo: Iraq, urne scomparse e brogli, il rovescio del trionfo elettorale -Ulema all'attacco: Un voto privo di ogni legittimità - Costituzione in linea con l'islam - Gruppo Al Zarqawi minaccia ritorsioni
LA STAMPA di giovedì 3 febbraio 2005 pubblica un reportage di Giuseppe Zaccaria sul "rovescio del trionfo elettorale" in Iraq.
Le accuse di brogli e di sparizioni di urne vengono però da fonti tutt'altro che attendibili: il Consiglio degli Ulema sunniti, stipendiati da Saddam durante il regime e il Partito islamico (sunnita) che, dopo aver presentato alcuni candidati, ha boicottato le elezioni (come Zaccaria omette di ricordare).
Più credibile l'esponente monarchico, le cui rimostranze circa la mancanza di informazioni certe sulla partecipazione al voto sono però decisamente meno gravi.

Ecco l'articolo:

L'anatema religioso è giunto attraverso un messaggio del consiglio degli Ulema, la più alta autorità sunnita: «Queste elezioni mancano di legittimità poiché una grande parte della popolazione le ha boiccottate» e dunque illegittimi saranno gli atti dell'Assemblea nazionale, perfino la nuova Costituzione. La commissione elettorale da un lato fa sapere che lo spoglio delle schede procede più lentamente del previsto, per il momento siamo ad 11.000 al giorno (e questo se davvero i voti sono stati otto milioni richiederebbe controlli di settimane) dall'altra annuncia invece che i risultati saranno proclamati fra pochi giorni. Si vogliono proclamare «martiri della democrazia» i cittadini morti nel giorno delle elezioni, si continuano alacremente controlli dai risultati già scritti, eppure nelle storiche elezioni irachene non tutto sembra andare così come si era detto.
Non si trovano più alcune centinaia di urne elettorali, i controllori stranieri continuano a non esprimersi mentre invece cominciano a farsi udire voci che stridono col coro degli elogi: «I principali gestori del voto sono stati gli uffici per gli aiuti alimentari», denuncia Mohammed Hasam Shemshel, autorevole candidato del partito islamico (sunnita). Il capo dell'ufficio politico dell'aspirante al trono aggiunge: «Sono state le elezioni più enfatizzate e meno controllate dei tempi moderni, abbiamo già assistito a grandi irregolarità e siamo certi che ci saranno truffe enormi». E lo sciita Hussein Chahrastani, considerato uno dei candidati favoriti a primo ministro, ha definito il governo di Allawi come uno dei più corrotti nella storia dell'Iraq.
Passata l'ubriacatura per un risultato superiore alle attese, la nascente politica irachena comincia dunque a interrogarsi sulle ragioni di tanta euforia per scoprirle ancora piuttosto fragili. «Abbiamo celebrato la grande affluenza alle urne - dice Sadak El Moussawi, uomo-chiave fra i sostenitori di un ritorno al potere della monarchia hashemita - con grande sollievo. Più tardi però abbiamo cominciato a sospettare che dietro le cifre fornite dalla commissione elettorale ci fosse grande voglia di stupire il mondo e poca sostanza».
«Mi spiego meglio - continua il nostro interlocutore -: 36 ore dopo le elezioni, come si fa a dire ancora che l'affluenza è stata "fra il 60 ed il 75 per cento"? In quell'approssimazione che col trascorrere del tempo si fa sempre più inaccettabile ci sono due milioni di votanti in più o in meno, lasciare che le cifre restino così vaghe serve solo a confondere le idee. Fra l'altro tutti hanno notato che fino ad oggi a parlare è stato sempre è soltanto il portavoce della commissione, Farid Ayar, notoriamente legato al partito del primo ministro Allawi mentre il presidente non ha aperto bocca e per "ragioni di sicurezza" i pochissimi osservatori stranieri non hanno controllato neppure i seggi visitati dai giornalisti. Insomma sono assolutamente certo che si sta consumando ogni genere di falso».
Shemshel dal punto di vista degli islamici non ha opinioni molto diverse: «Moltissimi sciiti hanno raccontato che prima di recarsi nei seggi sono andati negli uffici che distribuiscono aiuti alimentari dove hanno ritirato nuove tessere annonarie assieme ai certificati elettorali, se i terroristi premevano in un modo il governo provvisorio lo faceva in un altro e per giunta dalle indagini che stiamo compiendo risulta che centinaia di urne, decine di migliaia di schede, sono già scomparse dai camion che dalle province le trasportano a Baghdad. E poi su 1200 scrutatori più di mille sono sciiti...».
Affidarsi alla «democraticità» di queste elezioni per stabilire il prossimo futuro dell'Iraq è insomma qualcosa di molto vicino all'atto di fede e questo paiono averlo capito in molti giacché, conteggi a parte, la probabile vittoria del cartello sciita sul partito del primo ministro non sembra compromettere alcuna possibilità alternativa. I sunniti si sono astenuti? Nessun problema, se l'invito del presidente sarà accolto e si apriranno colloqui, risultati elettorali o no, nell'Assemblea nazionale si troveranno posti anche per loro, come peraltro è saggio fare quando si tenta di rifondare un Paese.
Più interessante ancora è quel che comincia a muoversi dietro l'ufficialità dei conteggi, anche se a riferirne sono soltanto voci che non possono trovare ancora conferma. Fonti vicine al governo sostengono che si stiano gettando le basi per una svolta, insomma per dirla più chiaramente ci si preparerebbe a una trattiva con la guerriglia.
Arabi e americani non si sono mai fatti contagiare dal genere di polemica che infuria da noi, per loro la distinzione fra resistenza e terrorismo si esprime già da tempo nelle dichiarazioni politiche e nei rapporti dei generali. Da mesi i comunicati parlano di «insurgents» quando vogliono riferirsi ad una guerriglia nazionalista e di «terrorists» negli altri casi. Questo riflette le due anime della guerriglia irachena: una «politica», di origine baathista, animata da forte spirito nazionale e sostenuta dai migliori ufficiali del vecchio esercito ed una «religiosa» di stampo salafita che va dalle varie bande di «leoni», «tigri» e «combattenti» fino alla formazione di Al Zarqawi.
Contatti fra governo provvisorio e resti dei «Baath» erano stati presi già prima delle elezioni, adesso si sta cercando di riallacciarli, l'idea è quella di ottenere una tregua dalla guerriglia nazionalista in cambio della partecipazione all'Assemblea di esponenti «mirati» del mondo sunnita e di assicurazioni sul futuro, sia circa l'amnistia da concedere ai «resistenti» sia sull’abbandono del Paese da parte delle truppe straniere. Il tentativo di spaccare la guerriglia in due recuperandone un'ala «politica» avrebbe anche l'effetto di attenuare l'allarme dei Paesi sunniti del Golfo che oggi vedono montare in Iraq una pericolosa onda sciita, ma è fin troppo facile prevedere che la via sarà lunga e accidentata.
Stefano Chiarini del MANIFESTO, che, non potendo intervistare Al Zarkawi o un baathista passato in clandestinità, ormai si arrangia come può per trovare iracheni disposti a recitare la parte del popolo in lotta contro l'imperialismo americano, dà ovviamente grande rilievo alla condanna delle elezioni da parte del suo organismo religioso preferito: il consiglio degli Ulema (che quando minaccia l'inferno, a differenza di al Sistani, è progressista).
Molti in Iraq, compreso Taki, responsabile delle relazioni politiche dello Sciri, intervistato da un altra giornalista del MANIFESTO Giuliana Sgrena, pensano in realtà che l'accettazione della "volontà del popolo" dichiarata dagli ulema, preluda a una disponibilità al compromesso.
Chiarini no, perchè la "resistenza" non può finire.
Per l'occasione Chiarini cita persino Debka, che ridimensiona le affluenze al 40-45 %, ma trascura di segnalare che per gli analisti del sito israeliano si tratterebbe comunque di un risultato ragguardevole (com'è ovvio, viste le condizioni del voto, minacciato dal terrorismo). Neppure viene citato il dato riportato da Debka circa l'altissima partecipazione di donne al voto.
La fonte delle notizie sulle sopraffazioni ai danni delle minoranze non curde che si sarebbero verificate nel nord dell'Iraq non è nemmeno citata.
In compenso sappiamo che si deve a un "si dice" l'informazione circa l'indirizzo degli agenti del Mossad a Bagdad, un passo alquanto ridicolo dell'articolo.

Ecco il testo:

«Gli americani e i loro amici fidati del governo hanno voluto un'assemblea nella quale non fossero rappresentati né la comunità sunnita, né molti sciiti e laici contrari all'occupazione e l'hanno ottenuta. Non possono certo pensare che ora riconosceremo una qualche legittimità a quest'assemblea, al futuro governo e alla futura costituzione. In ogni modo tutte quelle parole sulla necessità di coinvolgere i sunniti nel "dopo voto" sono solo chiacchiere, altrimenti lo avrebbero fatto prima. Il nodo non è di natura religiosa ma politica: il rifiuto degli Usa di fissare una data per il loro ritiro». Sheik Omar, il portavoce dell'Associazione degli Ulema musulmani sunniti, l'organizzazione che raggruppa i rappresentanti di oltre 3.000 moschee e costituisce l'unica rappresentanza politico-religiosa di questa comunità sempre più emarginata dagli occupanti, così spiega il senso della durissima presa di posizione adottata ieri al termine di una riunione dei vertici dell'associazione. L'incontro è avvenuto nella grande moschea di Um al Qura (la madre di tutti i villaggi), già «Um al Maarek» (la madre di tutte le battaglie), costruita all'indomani della prima guerra del Golfo, ai tempi di Saddam Hussein, alla periferia ovest della capitale, lungo la strada che porta verso Abu Ghraib, Falluja, Ramadi, una delle più pericolose per le truppe Usa.

I sunniti iracheni nel loro comunicato sostengono che «queste elezioni sono prive di ogni legittimità perché una gran parte delle varie componenti del paese, politiche e religiose, le ha boicottate. Questo vuol dire che sia l'Assemblea nazionale, sia il governo che ne uscirà, non avranno la legittimità necessaria per scrivere la costituzione o per concludere accordi di sicurezza o economici». Nonostante ciò l'Associazione si dichiara disposta a rispettare la volontà degli elettori e a considerare il prossimo governo «un esecutivo dalle prerogative limitate che si occuperà degli affari correnti» ma qualsiasi altra decisione o atto, al di fuori di quest'ambito puramente amministrativo, saranno considerati nulli e privi di valore. Assai dura anche la parte finale del comunicato là dove l'Associazione degli ulema mette in guardia l'Onu e la Comunità internazionale «contro il rischio di considerare queste elezioni come legittime perché questo potrebbe aprire la porta a nuove sventure e saranno loro i primi a pagarne le conseguenze».

«Gli americani hanno inventato le "Truman election", le elezioni che si svolgono solo su un set televisivo, mentre l'intero paese è schiacciato dai carri armati, sottoposto a duri bombardamenti e a continui rastrellamenti», ci dice sprezzante uno degli addetti dell'Associazione, raccontandoci poi come a Baghdad molti seggi nei quartieri sunniti non abbiano neppure aperto i battenti e in altri la percentuale dei votanti non ha superato l'8%.

La Commissione elettorale centrale, dopo aver abbassato ieri la probabile percentuale di coloro che hanno votato dal 72% al 57% non ha più dato alcun dato generale limitandosi a far trapelare le percentuali, tutte attorno all'80% relative ai seggi attorno alle «città sante» per gli sciiti di Najaf e Kerbala, dov'è la sede della «Marjaiya», il conclave guidato dal grande ayatollah al Sistani che ha imposto ai suoi fedeli, pena l'inferno, di votare per la lista unitaria sciita filo-Usa e filo-Iran.

Paradossalmente i seri dubbi sulle percentuali dei votanti dell'Associazione degli Ulema sono stati, indirettamente, accreditati ieri dal sito Debka-File, vicino ai servizi israeliani, assai presenti con i loro uomini non solo nel nord dell'Iraq, dove dagli anni `70 addestrano le milizie kurde, ma anche a Baghdad e in particolare, si dice, al Baghdad Hotel tra Saadoun Street e il lungotigri abu Nawas (alcuni anni fa nello stesso albergo soggiornò a lungo un altro noto abitante di Jaffa, dov'era nato in una famiglia con vasti agrumeti, che dopo essere stato derubato di tutti i suoi terreni e case, decise di prendere il nome di Abu Nidal). Secondo Debka File la percentuale nazionale dei votanti sarebbe tra il 40 e il 45% con enormi differenze tra una zona e l'altra: a Najaf e Kerbala saremmo oltre l'80%, negli altri centri del sud, come Diwaniya, Qadisiya e Amara, attorno al 40%, e a Basra sotto il 30%. Nella provincia di Diyala e a Baghdad la percentuale dei votanti si aggirerebbe attorno al 30%.

Da una rapida analisi di queste percentuali emerge che i fedeli hanno ubbidito con entusiasmo all'invito di al Sistani nelle città sante ma assai meno nelle grandi città, in particolare a Basra, dove a livello locale i partiti della lista unitaria - il Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq (Sciri) e il partito «al Dawa» - hanno già dato pessima prova di sé. Il secondo dato è che anche molte tribù sciite del sud, vicine al leader radicale Moqtada al Sadr, hanno preferito non recarsi alle urne. Più in generale ad astenersi non sarebbe stata solo la comunità sunnita ma anche buona parte di quella sciita.

Intanto, mentre ieri Baghdad era scossa da nuove, forti esplosioni, alcuni gruppi di guerriglieri hanno fatto saltare a Samarra (la famosa città con il minareto a spirale che ricorda la torre di Babele), l'oleodotto che rifornisce due importanti raffinerie, quella di Dora a sud della capitale e quella di Baji a nord. Cresce la tensione nel nord dell'Iraq dove le milizie di Jalal Talabani e di Massoud Barzani, oltre ad aver occupato i seggi della città di Kirkuk e aver fatto votare (con l'ok Usa) circa 80.000 curdi non residenti in città, nell'aerea di Mosul, attraverso l'ufficio elettorale di Arbil da loro controllato, avrebbero invece impedito di votare - non facendo arrivare schede e verbali - a molti cittadini della comunità assiro-caldea (circa 300.000 anime).
L'intervista di Giuliana Sgrena a Redaha J. Taki è intitolata "Costituzione in linea con l'Islam", così da far pensare che l'esito delle elezioni possa essere l'instaurazione di una repubblica islamica.
Ma nel testo scopriamo che Taki esclude questa possibilità, e avanza richieste decisamante più moderate.
Ecco l'articolo:

Il conteggio dei voti di domenica richiederà ancora tempo, ma l'Alleanza irachena unita già canta vittoria. E dà i suoi numeri: la lista 169 avrebbe ottenuto tra il 70 e il 90 per cento dei voti nei governatorati a maggioranza sciita. Una valanga di voti che comunque non garantirebbe i due terzi dell'assemblea necessari per eleggere il presidente e i due vice. Redha J. Taki, responsabile delle relazioni politiche dello Sciiri, il Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq, che è tornato in Iraq dopo la caduta di Saddam per lavorare con gli ayatollah al Hakim, sta tessendo la trama delle relazioni. Innanzitutto per individuare il possibile alleato per raggiungere i due terzi nell'assemblea. E le preferenze non sembrano riguardare la lista sciita laica di Allawi, sospettato di voler cercare di dissanguare l'Allenza di Sistani recuperando i candidati indipendenti, non appartenenti né allo Sciiri né al Dawa (i due maggiori partiti religiosi sciiti). Le attenzioni sono piuttosto rivolte alla lista kurda. «Con i kurdi abbiamo oltre tre decenni di collaborazione, ci conosciamo bene», dice Taki. Insieme nella lotta contro Saddam di cui erano entrambi le vittime, i kurdi permettevano, tra l'altro, alle brigate al Badr dello Sciiri di penetrare in Iraq dall'Iran attraverso il Kurdistan. Un'alleanza meno facile nel dopo Saddam, visto che l'Assemblea appena eletta dovrà elaborare la costituzione ponendo le basi del futuro stato iracheno e su questo le visioni dei due schieramenti divergono tra l'impostazione secolare dei kurdi e quella islamista della lista sponsorizzata dal grande ayatollah. Per la lista 169, che si pone come forza di governo, il maggiore problema è rappresentato dall'esclusione dei sunniti che hanno boicottato le elezioni in stragrande maggioranza, perché svolte sotto occupazione. «Non possiamo trascurare i sunniti, ne abbiamo discusso nell'Alleanza, dobbiamo negoziare con loro sia la formazione del nuovo governo che la costituzione. Diversi sunniti sono presenti nella lista di Allawi, di al Yawar, di Pachachi, ma se non sarà un numero rappresentativo dovremo consultarli. A partire dai due gruppi più importanti: il Partito islamico iracheno, già presente nel Consiglio governativo, anche se poi si era ritirato (dopo l'attacco a Falluja, ndr). Lo avevamo incontrato alla vigilia delle elezioni per convincerlo a partecipare, ma temeva le minacce dei terroristi. Già da allora avevamo previsto un incontro dopo le elezioni. E poi il Consiglio degli Ulema, su posizioni più radicali, decisamente contro le elezioni, a causa dell'occupazione. Anche con loro bisogna dialogare, ho appena visto un loro esponente per fissare un incontro con uno dei loro leader per domani». Il terreno di trattativa tuttavia sarà limitato visto che i consiglio degli Ulema sostiene che questa elezioni sono illegali e che «l'assemblea e il governo che usciranno non avranno la legittimità per scrivere la costituzione e concludere accordi di sicurezza ed economici», facciamo notare. «Sì, ma nello stesso comunicato, il Consiglio degli ulema sostiene che rispetterà la scelta degli iracheni che hanno votato. All'interno del Consiglio degli ulema vi è una forte discussione, le posizioni sono diverse. Dobbiamo impegnarci a negoziare per portarli dalla nostra parte e stiamo organizzando un incontro con loro, il Partito islamico e capi tribali. Non prenderemo nessuna decisione importante senza una discussione con tutti i gruppi», sostiene Taki.

Un terreno su cui potreste mettervi d'accordo con gli ulema ma che preoccupa i laici è lo stato islamico. «L'Alleanza non crede che in Iraq ci siano le basi per costruire uno stato islamico sul modello iraniano». E per l'imposizione della sharia? «Noi poniamo tre condizioni: la costituzione deve rispettare l'islam come religione della maggioranza. Nessuna legge deve andare contro l'islam e l'islam deve essere preso in considerazione per il codice della famiglia». Cerchiamo di approfondire cosa comportano queste affermazioni, ma il nostro interlocutore è sfuggente, ammette che l'islam sarà dichiarato religione di stato, e il codice della famiglia attuale sarà cambiato e seguirà la sharia, quindi sì alla poligamia, no all'aborto, etc. «Molti dei nostri votanti sono gruppi islamisti radicali, che vogliono l'imposizione dell'hijab, il divieto degli alcolici, non possiamo trascurarli altrimenti si radicalizzeranno. Dobbiamo mantenere un equilibrio», si giustifica.
Oltre che di alleanze si parla anche di candidati al governo. Chi candidate a premier? «Adel Abdel Mahdi (ministro delle finanze), Ibrahim al Jaafari (vicepresidente del Dawa) e ...». Si comincia a parlare anche di un recupero di Ahmed Chalabi, già favorito dagli americani prima di cadere in disgrazia, qualche mese fa per documenti passati all'Iran, cosa che gli avrebbe permesso di rifarsi una immagine candidandosi con Sistani. Laico, non più fantoccio di Bush, potrebbe favorire il compromesso tra l'Alleanza e i kurdi. Ma Taki che lo conosce bene, sono diventati amici a Londra, dice che è presto. «Diventerà un uomo chiave nel 2006». E il vostro leader Abdelaziz al Hakim? «Potrebbe essere candidato a presidente, se agli sciiti toccasse la presidenza».
E' possibile distinguere in Iraq tra terrorismo e guerriglia? Per il MANIFESTO no. Anche Al Zarqawi, infatti, per il quotidiano comunista è il capo di un "gruppo di guerriglia".
Leggere per credere:

Il gruppo della guerriglia irachena che fa capo a Abu Musab al Zarqawi minaccia di vendicare l'uccisione di 4 detenuti avvenuta durante i disordini scoppiati lunedì a Camp Bucca, nella parte meridionale del paese, al termine, secondo quanto riportato dai militari americani, di una perquisizione di routine. Con una dichiarazione su Internet, il gruppo guidato da Al Zarqawi annuncia che attaccherà le prigioni sotto controllo americano in Iraq: «In cosa è consistito il crimine di questi indifesi prigionieri?», vi si legge. «Vi puniremo, se Dio vorrà».
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