Le ragioni per la democrazia trovano posto anche sul quotidiano diretto da Ezio Mauro
che intervista Natan Sharansky
Testata: La Repubblica
Data: 02/02/2005
Pagina: 6
Autore: Alberto Stabile - Natan Sharansky
Titolo: Così ho convinto il mio amico Bush a far la guerra a tutte le ditature
A pagina 6 la REPUBBLICA di mercoledì 2 febbraio 2005 pubblica un'intervista di Alberto Stabile a Natan Sharansky.
Il titolo, "Così ho convinto il mio amico Bush a far la guerra a tutte le dittaure" è del tutto fuorviante: Sharansky non ha convinto Bush a far la guerra a chicchessia, né, come spiega nell'intervista, ha mai avuto intenzione di farlo.
Le domande di Stabile sono analogamente tendenziose, ma la chiarezza e il rigore delle risposte dell'ex dissidente sovietico e ministro israeliano riescono a dissipare la cortina fumogena delle mistificazioni, ribattendo punto per punto ai luoghi comuni sui neocon, l'occupazione militare israeliana, la prepotenza degli Stati Uniti e le tendenze guerrafondaie di Bush.
E a fare dell'intervista una pagina di vera informazione.

( a cura della redazione di Informazione Corretta)

GERUSALEMME - Per anni è stato considerato una specie di alieno, il prodotto atipico di una nobile causa, quella abbracciata a costo di grandi sacrifici dagli ex dissidenti dell´Unione sovietica. Ma da qualche settimana Natan Sharansky sta assaporando il gusto della rivincita. Le sue teorie sull´espansione della libertà e la guerra alla tirannia, formulate nel libro "The case for Democracy", hanno trovato in George W. Bush un convinto assertore. Al punto che l´ex refusnik oggi ministro del governo Sharon, a novembre s´è visto recapitare un invito alla Casa Bianca per uno scambio di vedute di un´ora con il presidente americano.
Signor Sharansky la lusinga il fatto che il suo libro sia sul comodino del Presidente Bush?
«Non so se lo tenga sul comodino, io l´ho visto sul suo tavolo. Ciò che lusinga è il fatto che il Presidente Bush veda nel libro un´espressione, una summa delle sue idee. Egli crede veramente nei principi di cui io scrivo e, soprattutto, cerca di metterli in pratica. E questo è molto più importante e difficile».
Teorie neocon, vengono definite.
«Che cosa vuol dire neocon? Le etichette in genere celano il tentativo di ignorare i contenuti, l´idea stessa. È un condizionamento politico, per cui se sei a sinistra sei automaticamente contro, mentre se sei a destra sei automaticamente a favore. Io invece espongo un´idea che ritengo molto profonda ed importante, secondo cui è possibile garantire la sicurezza nel mondo solo tramite il potenziamento della libertà. Ed è un´idea che ho elaborato già da dissidente nell´Unione Sovietica, insieme al mio maestro Andrej Sakharov, ed il fatto che un presidente americano si trasformi in "dissidente", adotti questa idea, ci creda e la promuova non è soltanto lusinghiero, è la realizzazione di un sogno».
Che cosa le ha detto Bush, durante l´incontro alla Casa Bianca?
«Mi ha detto che il mio libro riflette una cosa che ha sempre percepito, e cioè che non è possibile che la libertà sia una dono che Dio ha dato solo agli americani: "È un dono per tutti, tutti i popoli hanno il diritto di vivere in libertà e se tutti vivono liberi anche la nostra sicurezza è garantita. Nel suo libro - mi ha detto anche - ho trovato le basi teoriche, storiche di questa percezione ed ora è giunto il momento di passare dalla teoria alla pratica"».
Quindi, questa battaglia per la libertà totale ha trovato un condottiero nella persona del Presidente Bush?
«Non è una battaglia per la libertà totale, bensì per una sicurezza reale e il Presidente Bush capisce che la sicurezza per noi [gli israeliani] significa libertà da loro [i palestinesi]. Quanta più libertà hanno, tanta più sicurezza abbiamo noi. Penso dunque che sia un´ottima cosa il fatto che chi crede in tutto ciò sia il leader del mondo libero».
Ma come concilia questa sua aspirazione alla libertà con l´occupazione militare dei territori?
«Da molti anni dico e ripeto che l´ampiezza delle nostre rinunce deve essere parallela all´ampiezza delle loro riforme. In una frase, voglio dare ai palestinesi tutti i diritti di cui godo io, tranne uno: quello di distruggermi. E non vi è altro mezzo per arrivare a questo se non scegliere la strada della democrazia. Dopo anni che ripeto queste cose, c´è finalmente il leader del mondo libero che la pensa come me, che ritiene che gli arabi possano vivere in un regime democratico esattamente come gli occidentali. Basta con questi stereotipi razzisti, per cui la democrazia non fa per gli arabi».
Non pensa che invece di "potere della libertà" in realtà si tratti del potere della forza?
«Certamente no. Il mio libro non tratta dei rapporti fra governi, di come un determinato governo usi la forza contro un altro. Ciò che tento di dimostrare è che le dittature sono sistemi di governo molto deboli all´interno, perché tutta la loro forza deve essere impiegata nel controllo del singolo cittadino, della sua mente. Poiché sono così deboli, non è nemmeno necessario fargli la guerra, basta non sostenerli, non rafforzarli, non dare loro forza dall´esterno. Questo è sufficiente per incoraggiare i dissidenti. Questo significa che è possibile incoraggiare un cambiamento senza usare la forza».
Però contro l´Iraq Bush ha scelto la guerra.
«Se alla volte il mondo libero è costretto a fare uso della forza e a dichiarare una guerra è solo perché prima c´è stato un periodo in cui ha tentato di pacificare il dittatore, facendo concessioni. Così è successo con Hitler, così è successo con Stalin ed poi anche con Arafat e Saddam Hussein. Se negli anni ?80 l´America non avesse creduto che Saddam Hussein le era utile contro l´Iran, Saddam Hussein non sarebbe mai diventato tanto potente. Lo stesso dicasi dell´Arabia Saudita, di cui parlo a lungo nel mio libro. Senza un aiuto esterno tali regimi cadranno dall´interno, come è accaduto all´Unione Sovietica».
E dopo l´Iraq quale paese dovrebbe trovarsi nel mirino del Presidente Bush?
«Ogni paese potrebbe trovarsi nel mirino se rappresenta una minaccia, senza differenze. In questo momento, l´Iran si trova in cima alla lista, perché fra un anno potrebbe avere la bomba atomica. Già da dieci anni, su richiesta dei capi del governo israeliano, sto tentando di convincere i russi a non trasferire tecnologia nucleare all´Iran. È un peccato che il mondo abbia perduto dieci anni, perché l´Iran rappresenta un esempio eccellente delle teorie che espongo nel libro».
Si spieghi meglio.
«Io suddivido la popolazione dei paesi totalitari in tre gruppi: "true believers" (totalmente convinti), dissidenti e "double thinkers" (che pensano una cosa e ne dicono un´altra). Con il passare degli anni, il numero dei double thinkers aumenta in continuazione, mentre si verifica un calo parallelo nel numero dei true believers. Oggi in Iran sono quasi tutti double thinkers, e quindi con un po´ di incoraggiamento esterno, molto concentrato, è possibile favorire cambiamenti davvero drastici. Se fossi uno dei consiglieri politici di Bush, gli direi comportarsi così con tutti e non solo con l´Iran, ma con la Siria, l´Arabia Saudita, l´Egitto».
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