Gli sciiti e l'Iraq dopo le elezioni
le analisi di Magdi Allam e Carlo Panella
Testata:
Data: 01/02/2005
Pagina: 1
Autore: Magdi Allam - Carlo Panella
Titolo: Sunniti-sciiti. I veri conti delle elezioni - Poter sciita
Martedì 1 gennaio 2005 il CORRIERE DELLA SERA pubblica in prima pagina un' analisi di Magdi Allam sulle elezioni irachene, "Sunniti-sciiti. I veri conti delle elezioni", che riportiamo:
Si era detto che la guerra avrebbe provocato la spartizione dell'Iraq in tre entità curda, sciita e sunnita.
Invece è crollato il regime tirannico di Saddam e l'Iraq è rimasto integro. Si era detto che le elezioni avrebbero trasformato l'Iraq in una Repubblica islamica sciita filo- iraniana. Invece è alquanto prevedibile che al governo ci saranno i laici.
Laici che sono presenti nelle maggiori formazioni islamiche, curde e liberali nell'ambito di un governo di unione nazionale. Ora si tira in ballo la questione degli arabi sunniti: si dice che avendo boicottato il voto, le elezioni del 30 gennaio sarebbero illegittime, il Paese sarebbe di fatto diviso e prossimo a una guerra civile. Nell'attesa di conoscere i risultati ufficiali da parte della Commissione elettorale indipendente, la questione sunnita è ormai al centro di una speculazione ideologica e politica. Ieri il portavoce del Consiglio degli ulema sunnita, Omar Ragheb, ha affermato che « gli ulema sunniti non riconoscono alcuna legittimità a queste elezioni » , perché « si sono svolte sotto occupazione » . Il potere del « Consiglio » si basa sul controllo di circa 3 mila moschee. Per contro il ministro dell'Industria, il sunnita Hajem al Hassani, si è felicitato per la partecipazione dei sunniti nei governatorati di Salaheddine, Diyala e Ninive, a maggioranza sunnita: « Ci aspettavamo un tasso di partecipazione a una sola cifra, ma è risultato molto più consistente » .
E' possibile che alla fine la verità si situerà a metà strada. E' verosimile che la partecipazione dei sunniti risulterà sostanzialmente inferiore rispetto a quella degli sciiti e dei curdi, ma non al punto da delegittimare un voto che ha comunque raccolto il consenso di oltre il 60% della popolazione. Ma il punto cruciale è che, a dispetto di un luogo comune, l'Iraq non è affatto diviso territorialmente su base etnico- confessionale. Ad esempio a Bagdad, su 5 milioni di abitanti, 2 milioni sono sciiti, 2 milioni sono sunniti e 1 milione sono curdi. Nel governatorato di Dyala, con capoluogo Baquba, convivono sciiti e sunniti. In quello di Ninive, con capoluogo Mosul, convivono sunniti e curdi. Così come una consistente comunità sunnita è presente a Bassora, considerata il capoluogo del Sud a maggioranza sciita.
Chiariamo che il problema concerne solo gli arabi sunniti, non tutti i sunniti, dato che anche la maggioranza dei curdi sono sunniti. Ebbene per comprendere quanto la realtà sia più complessa e articolata, basti considerare che il 52% degli oltre 7 mila candidati alle elezioni sono sunniti. Se stimiamo che i candidati curdi potrebbero rappresentare il 20 o 25% del totale, si deduce che almeno un quarto dei candidati sono arabi sunniti. Val la pena ricordare che il presidente ad interim Ghazi al Yawar, è sunnita ed è sostenuto dalla potente tribù degli Shammar che sono per metà sunniti e per metà sciiti. Nella sua lista figura il ministro della Difesa Hazem al Shaalan, uno sciita. Sunnita è il ministro dell'Interno Naqib al Fallah che invece milita nella lista del premier Allawi che è sciita.
La verità è che la presenza dei sunniti, al pari di quella sciita, sia sul piano territoriale che politico e ideologico, è diffusa a macchia di leopardo. L'Alleanza popolare, ovvero il Partito comunista, è capeggiata da uno sciita, Hamid Majid Musa, che a rigore dovrebbe essere condannato di apostasia dai religiosi della « Lista irachena unitaria » dell'ayatollah Al Sistani. Invece non si può escludere che collaborino in un futuro governo. Chi parla di un blocco sciita contrapposto a un blocco sunnita non fa che ripetere un luogo comune diffuso da Saddam perché aveva interesse a fomentare i dissidi interni. In definitiva il problema del boicottaggio elettorale, quello vero determinato da un veto politico e non da ragioni di sicurezza, riguarda una minoranza di sunniti che, come ha detto ieri il portavoce del Consiglio degli ulema, hanno stretto un'alleanza con la « resistenza » .
Ossia i kamikaze e i lanciatori di razzi che il 30 gennaio hanno massacrato 36 elettori ma sono stati sconfitti da 8 milioni di iracheni che sono andati comunque a votare.
In prima pagina sul FOGLIO troviamo l'analisi di Carlo Panella, "Potere sciita":

Roma. I risultati definitivi delle elezioni irachene saranno proclamati soltanto tra una ventina di giorni, bisognerà quindi attendere per conoscere il dato interessante sulla composizione della prima Assemblea costituente democraticamente eletta di tutta la storia araba: quanti saranno i deputati che s’impegneranno per una Costituzione liberale e quanti per una Carta fondamentale imperniata sulla sharia, la legge coranica. Gli sciiti hanno sicuramente vinto le elezioni, anche se per ora soltanto da un punto di vista numerico: sono il 60 per cento della popolazione e hanno quindi più rappresentanti nella Consulta. E’ la prima volta nella storia dell’islam che la
componente sciita conquista una posizione egemone in un paese musulmano tramite elezioni (in Iran si è imposta con una rivoluzione cui è seguito un voto non democratico) ed è un record non da poco, dopo 13 secoli di opposizione sciita al palazzo sunnita, rappresentato dal califfato o dai sultanati. Resta da conoscere il risultato elettorale vero, quello discriminante: quanti sono i laici tra i costituenti sciiti, curdi, turcomanni e sunniti? Quanti sono i fautori di una Repubblica islamica? Non sarà facile comprenderlo, perché molte analisi che la stampa internazionale scrive da mesi sul tema derivano dalla mancata comprensione di alcune dinamiche di fondo, a partire da quella che vede molti laici, per esempio Ahmed Chalabi, partecipare alla lista sciita benedetta dal grande ayatollah Ali al Sistani; nelle liste "laiche" del premier Iyyad Allawi, come in quella del presidente Ghazi al Yawahr e in quelle dei laici curdi (tutti sunniti) e turcomanni, vi sono molti candidati che puntano a un ruolo centrale della legge coranica nel futuro testo costituzionale. Quella stampa occidentale che ci ha presentato per un anno un Iraq senza iracheni, salvo poi dover prendere atto che invece ci sono, decidono e votano, ridicolizzando milioni di pagine d’analisi campate in aria, dovrà finalmente accorgersi che la scena politica di Baghdad e dintorni non ha la struttura di una scacchiera, ma di un raffinato tappeto orientale di filo di seta, dai colori cangianti, che mutano con il cambiare della prospettiva da cui si guarda, anche se l’impianto, l’ornamento, è sempre lo stesso. I lavori dell’Assemblea costituente saranno anche caratterizzati da due varianti. (segue dalla prima pagina) La prima è il valore di stimolo che può avere la straordinaria elaborazione costituzionale che la Coalizione dei volenterosi di George W. Bush, assieme all’Onu, ha sviluppato per offrire alla Loya Jirga afghana un modello di Carta fondamentale innovativo. Sino al 2003 i paesi
musulmani hanno avuto come riferimento soltanto il "modello di Costituzione islamica" elaborato dall’Arabia saudita nel 1980, basato sul fondamentalismo più puro, e forte della capacità di convincimento di miliardi di petrodollari. Questo esempio ha purtroppo influenzato in senso regressivo le Costituzioni di Pakistan, Sudan, Yemen, Egitto, Algeria e Nigeria. Il dibattito costituzionale
iracheno, invece, avrà come riferimento la non disprezzabile Carta irachena
degli anni 20, l’attuale Costituzione provvisoria e il modello afghano (cui ha dato un contributo giuridico anche l’Italia). La seconda variante dipende da quale dottrina costituzionale l’ayatollah al Sistani tenterà di far valere attraverso i partiti a lui affini, tema su cui ancora non vi è chiarezza. Ammesso che il suo schieramento goda della maggioranza relativa della Costituente, al Sistani, dopo Ruhollah Khomeini, si troverà per la seconda volta
nella più che millenaria esperienza sciita a esprimere un disegno costituzionale. Per la prima volta in un contesto di democrazia pluralista. E ci saranno sorprese: al Sistani infatti combatté a lungo le idee di Khomeini
quando questi era a Najaf; al suo fianco c’era l’ayatollah Abdul Majid al
Khoei (poi ucciso da Moqtada, su mandato dei khomeinisti di oggi). Sistani teorizza una piena distinzione tra ulema e istituzioni statali, ma vuole che la sharia sia il fondamento della vita costituzionale e si scontrerà su questo innanzitutto con gli sciiti laici, a iniziare da Allawi. E’ un passaggio
ineludibile. Il mondo musulmano deve iniziare a fare i conti con la legge coranica e a decidere il peso che questa deve avere nelle proprie società. In Iraq lo fa, per la prima volta, nell’ambito di una nascente
democrazia. E’ un risultato storico.
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