Le elezioni irachene cambiano i rapporti tra Europa e Stati Uniti
l'analisi di John Rossant, capo dell'ufficio europeo di Bussines Week
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Data: 01/02/2005
Pagina: 1
Autore: un giornalista
Titolo: Chirac chiama Bush, Rice risponde. Riparte il dialogo transatlantico
IL FOGLIO di martedì 1 febbraio 2005 pubblica in prima pagina un editoriale sugli effetti delle elezioni irachene sui rapporti politici transatlantici.
Ecco l'articolo:

Roma. Venti, venticinque, trenta per cento, al massimo. Al Forum di Davos erano
questi i numeri che circolavano: il tasso di partecipazione alle elezioni in Iraq sarà basso, "è assurdo organizzare il voto in un paese sotto occupazione", dicevano. John Rossant, capo dell’ufficio europeo di Business Week, da anni va a Davos – "lo specchio della società liberal" – ma mai come in questa edizione racconta al Foglio – ha notato tanta ostilità e supponenza nei confronti della
politica estera degli Stati Uniti. Poi gli iracheni hanno parlato. Il voto di domenica in Iraq, la straordinaria affluenza alle urne – una media nazionale del 60 per cento – la voglia di votare più forte della paura hanno dato un altro
messaggio, registrato a livello internazionale, come ben dimostrano le parole di ieri del presidente francese Jacques Chirac: "Queste elezioni costituiscono
un passo importante nella ricostruzione politica dell’Iraq. La strategia del terrorismo ha in parte perso". Sono parole che riecheggiano non soltanto perché le ha pronunciate il più strenuo oppositore della campagna irachena, ma anche perché sono state dette in una conversazione telefonica con il "rivale" George W. Bush. I rapporti transatlantici potrebbero ricominciare da qui. Condoleezza Rice, nuovo segretario di Stato, partirà giovedì per la sua missione in Europa e in medio oriente: secondo gli ultimi dettagli del programma, sarà prima in Inghilterra, poi in Germania (dove incontrerà il cancelliere Gerhard Schröder, ma non Joschka Fischer in viaggio nel sud-est asiatico), in Polonia, in Turchia, in Israele e Cisgiordania (due giorni prima dell’atteso e storico vertice tra il presidente dell’Anp, Abu Mazen, e il premier israeliano, Ariel Sharon), in Italia, Francia e a Bruxelles. Rice non arriverà per "ignorare la Germania e punire la Francia", come aveva detto nel 2003, quando si era aperta la frattura con la "vecchia" Europa: a Parigi infatti terrà il suo discorso principale sui rapporti transatlantici. All’ordine del giorno c’è quel "dialogo con gli alleati" di cui ha parlato durante le sue audizioni in Senato e anche "tanta diplomazia" in modo da stabilire "un’agenda comune" per il 2005 sui temi principali: "lotta al terrorismo, proliferazione nucleare (leggi: Iran, ndr), povertà, sostegno alla democrazia", come ha detto il portavoce del dipartimento di Stato, Richard Boucher. La visita europea di Rice apre la strada al viaggio di Bush dal 22 al 25 febbraio a Bruxelles, Magonza e Bratislava per incontrare i rappresentanti della Nato, dell’Unione europea, Schröder e il presidente russo, Vladimir Putin. Per Chirac, che prima era tra gli esclusi, ci sarà invece un incontro speciale, una cena a tu per tu, per suggellare, forse, una nuova vicinanza.
"La riuscita delle elezioni faciliterà il dialogo della diplomazia", dice Rossant, al di là degli imbarazzi di chi ha sempre sostenuto che tutta la vicenda irachena fosse un gravissimo errore. Ieri i ministri degli Esteri dell’Unione europea hanno sottolineato l’importanza del voto a Baghdad e hanno ribadito "l’impegno dei venticinque per contribuire alla ricostruzione economica". Javier Solana, ministro degli Esteri dell’Ue, oltre a manifestare il suo entusiasmo per la riuscita delle elezioni, ha dichiarato che i progressi in Iraq possono servire a ricomporre la frattura transatlantica. L’Europa – che si aspettava di avere un nuovo inquilino alla Casa Bianca – ha capito che è necessario rivedere la strategia nei confronti degli Stati Uniti, come dimostra la mano allungata da Chirac. Anche se per alcuni è troppo tardi. David Frum, ex consulente di Bush e ora membro dell’American Enterprise Institute, ieri sul Financial Times, sanciva la fine dell’"affair": "Gli europei, non gli americani, stanno perdendo i legami transatlantici, e anche se gli americani sono molto tristi per questo, non possono farci nulla". Charles Kupchan, professore di relazioni internazionali alla Georgetown University, dice al Foglio che è troppo presto per definire queste elezioni "un punto di svolta", perché molto dipende dalla "capacità di stabilizzare l’Iraq nel lungo periodo". Il riavvicinamento può essere effettivo soltanto se le due sponde dell’Atlantico "sono pronte": gli Stati Uniti "a modificare nei fatti la loro politica e ad adattarla a un confronto efficace", l’Europa a "mettere i soldi dove c’è la bocca", cioè a essere in grado di mettere in pratica ciò che dice (e che le è richiesto): "La formazione delle forze di sicurezza in Iraq e l’invio di truppe di peacekeeping a Gaza. Tanto per cominciare".
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