Il mondo sarebbe un posto peggiore senza Israele
e i veri problemi del Medio Oriente, disoccupazione, analfabetismo, dittatura e integralismo, resterebbero
Testata:
Data: 01/02/2005
Pagina: 8
Autore: Josef Joffe
Titolo: Senza Israele il mondo sarebbe perfetto?
Il CORRIERE DELLA SERA di martedì 1 gennaio 2005 pubblica un articolo di Josef Joffe, direttore editoriale del settimanale tedesco "Die Zeit", pubblicato originariamente su "Foreign Policy".
Vi si confuta l'idea, assurda, ma diffusa, che la stessa esistenza di Israele sia all'origine dei problemi del Medio Oriente e del mondo.
Ecco l'articolo:

Dai tempi della Seconda guerra mondiale, nessuno Stato ha subito un rovesciamento così radicale della sua considerazione sulla scena mondiale quanto Israele. Ammirato in modo totale sino agli anni ' 70 come lo Stato di « quei coraggiosi ebrei » in grado di sopravvivere ad ogni avversità e di far fiorire la democrazia e il deserto nonostante il clima di incessante ostilità cui erano sottoposti, Israele è diventato il bersaglio privilegiato di una continua, strisciante delegittimazione.
La costante denigrazione si manifesta in due forme. La prima, la versione cosiddetta « soft » , ritiene Israele il primo e più grave colpevole di tutti i mali che affliggono il Medio Oriente e responsabile di aver corrotto la politica estera degli Usa. La versione più dura mette in dubbio lo stesso diritto all'esistenza di Israele: è Israele in quanto tale, e non il suo comportamento, l'origine dei problemi del Medio Oriente. Da qui la conclusione che la nascita dello Stato ebraico, sostenuta dagli Usa e dall'Urss nel 1948, sia stata un gravissimo errore, anche se al momento poteva sembrare un'idea giusta e meritoria.
Cominciamo il nostro viaggio nel 1948, con la nascita d'Israele da un conflitto armato.
Forse che un suo aborto avrebbe stroncato sul nascere il problema palestinese? Niente affatto. Egitto, Transgiordania ( oggi Giordania), Siria, Iraq e Libano marciarono su Haifa e Tel Aviv non certo per liberare la Palestina, ma per conquistarla. L'invasione è stata un gioco di potere da manuale tra Stati confinanti, decisi ad acquisire territori per loro stessi. Se i rivali di Israele avessero vinto, non sarebbe emerso uno Stato palestinese e ci sarebbero stati migliaia di rifugiati. Anzi, se si presume un risveglio del nazionalismo palestinese nel periodo della sua manifestazione storica, ovvero alla fine degli Anni ' 60 e ' 70, oggi i palestinesi invierebbero forse le loro bombe umane in Egitto, Siria e in altri Paesi islamici.
Immaginiamo ora che Israele sia scomparso nel 1967, invece di aver occupato la Cisgiordania e la striscia di Gaza, che erano nelle mani rispettivamente di Re Hussein di Giordania e del presidente Gamal Abdel Nasser dell'Egitto. Forse che questi capi di Stato avrebbero rinunciato ai loro possedimenti per donarli al leader palestinese Yasser Arafat e magari anche regalato Haifa e Tel Aviv per gentilezza? Improbabile. I due potentati, nemici in tutto tranne che nel nome, erano uniti soltanto dall'odio e dal disprezzo per Arafat, il fondatore di Al Fatah, giustamente sospettato di complottare contro i regimi arabi. In breve, la « causa principale » della situazione palestinese avrebbe continuato ad esistere, anche senza Israele.
Infine, facciamo l'ipotesi che Israele « scompaia » oggi. Come potrebbe questa circostanza influenzare le patologie politiche della regione? Solo coloro che ritengono che il problema palestinese sia il cuore dei conflitti del Medio Oriente potrebbero con leggerezza prevedere un futuro roseo per l'area più turbolenta del mondo una volta che Israele scomparisse. Perché non esiste un conflitto: sono cinque gli scenari che si presenterebbero se lo Stato ebraico cessasse di esistere, nessuno dei quali assicurerebbe un futuro migliore alla regione. Anzi.
1) Stati contro Stati. Il ritiro delle potenze coloniali, Gran Bretagna e Francia, alla metà del ventesimo secolo, si è lasciato dietro un coacervo di giovani Stati arabi che hanno cercato freneticamente di ridisegnare la mappa della regione. Sin dall'inizio, per esempio, la Siria avanzò pretese sul Libano. E nel 1970 solo la forza militare di Israele dissuase Damasco dall'invadere la Giordania con il pretesto di sostenere un'insurrezione palestinese. Ancora: nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta, il presidente egiziano Nasser si autoproclamò il messia del panarabismo intervenendo nello Yemen. Il successore di Nasser, il presidente Anwar Sadat, si trovò immischiato in scontri di confine con la Libia alla fine degli anni Settanta. Per quanto riguarda la Siria, marciò sul Libano nel 1976 e 15 anni dopo se lo annesse a tutti gli effetti.
Poi l'Iraq: aggredì due Paesi islamici scatenando due guerre, con l'Iran nel 1980 e con il Kuwait nel 1990. Quella contro l'Iran è stata la guerra con armi convenzionali che è durata di più nel ventesimo secolo.
Nessuno di questi conflitti ha a che fare, però, con quello israelo- palestinese. E la scomparsa di Israele non farebbe altro che liberare risorse militari che verrebbero utilizzate nelle rivalità interne degli altri Paesi.
2) Credenti contro credenti. Quanti ritengono che il conflitto mediorientale sia « un affare tra musulmani ed ebrei » , dovrebbero dare un'occhiata ai 14 anni di scontri faziosi e bagni di sangue in Libano, oppure al genocidio degli sciiti perpetrato da Saddam alla conclusione della prima Guerra del Golfo, o anche al massacro di 20mila persone organizzato dalla Siria durante l'assedio di Hama da parte della Fratellanza Musulmana nel 1982 o, infine, alla violenza terroristica contro i cristiani egiziani negli Anni ' 90. A tutto questo si aggiunga l'oppressione interconfessionale, per esempio quella in Arabia Saudita, dove la setta fondamentalista dei Wahhabi ha usato l'arma del potere statale per imporre il proprio severo stile di vita ai meno devoti.
3) Ideologie contro ideologie. Il sionismo non è l'unico « ismo » di questa regione. Qui convivono infatti molte ideologie in aperta competizione. Per esempio, sebbene abbiano le stesse radici fasciste europee, i partiti baathisti di Siria e Iraq si sono dati battaglia sin dall'inizio per il dominio del Medio Oriente. Nasser ha utilizzato il panarabismo coniugandolo con il socialismo per scuotere le nazioni- Stato arabe. E sia i baathisti che i nasseriani si sono opposti con forza alle monarchie, come quella che regna in Giordania. L'Iran khomeinista e l'Arabia Saudita wahabita rimangono acerrimi nemici.
Esistono connessioni con il conflitto arabo- israeliano? No. Fa eccezione Hamas, un esercito di terroristi e « guardiani della fede » , un tempo sostenuto da Israele come rivale dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina e ora responsabile di numerosi attacchi kamikaze nello Stato ebraico. Ma Hamas si scioglierebbe se Israele dovesse scomparire? Difficile. L'organizzazione ha ambizioni ben più grandi della semplice eliminazione dell' « entità sionista » : cerca di creare niente meno che uno Stato arabo unificato sotto un regime teocratico. 4) Utopia reazionaria contro modernità.
La comune ostilità nei confronti di Israele è l'unico fattore che impedisce agli arabi più conservatori e a quelli progressisti di arrivare a un confronto violento all'interno della società civile. I fondamentalisti lottano contro i secolaristi e i riformisti islamici per l'unione della moschea e dello Stato sotto il vessillo verde del profeta. E una lotta di classe sempre più difficile da nascondere mette costantemente a confronto una borghesia ridotta ai minimi termini e milioni di giovani disoccupati con la struttura del potere: di solito, una forma di statalismo che controlla i mezzi di produzione. In tale contesto s'inserisce il ruolo d'Israele: ben lungi dall'essere la causa di certe tensioni, lo Stato ebraico tiene attualmente sotto controllo le tensioni nella regione.
5) Regimi contro popolazioni. L'esistenza di Israele non è in grado di spiegare l'ampiezza e la profondità con cui gli Stati Mukhabarat ( Stati segreti di polizia) si sono diffusi nel Medio Oriente. Perché, a eccezione di Giordania, Marocco e degli sceiccati del Golfo, che praticano con la massima cautela una forma illuminata di monarchia, tutti gli altri Paesi arabi ( cui si aggiungono Iran e Pakistan) non sono che variazioni del dispotismo. Esaminiamole. Le difficoltà e le lotte intestine in Algeria hanno portato all'assassinio di quasi 100mila persone e ancora non s'intravedono sbocchi alla situazione. Si dice che le vittime di Saddam siano state 300mila. L'Iran, dopo la salita al potere dei khomeinisti nel 1979, è rimasto invischiato, oltre che nella guerra con l'Iraq, in una situazione interna che vede un dissenso difficile da contenere. Quanto al Pakistan, è una bomba che potrebbe esplodere da un momento all'altro. Alla fine, l'unico mezzo per ottenere la stabilità nella regione è una spietata repressione.
Ci vuole molta immaginazione per supporre che la semplice eliminazione di Israele possa portare all'avvento della democrazia liberale nell'intera regione. Può invece essere plausibile ipotizzare che la dialettica dell'ostilità in qualche modo finisca per favorire la dittatura negli Stati « in prima linea » quali l'Egitto e la Siria — governi che attualmente invocano la vicinanza con la « minaccia sionista » come pretesto per sopprimere i dissidenti. Ma in che modo si potrebbero poi spiegare i massacri nella lontana Algeria, il bizzarro regime fondato sul culto della personalità vigente in Libia, la devota cleptocrazia dell'Arabia Saudita, il dispotismo clericale dell'Iran, o il continuo fallimento dell'esperimento democratico in Pakistan? Israele è forse responsabile in qualche modo dei vari colpi di Stato che avevano trasformato l'Iraq in una repubblica del terrore? E se la Giordania, lo Stato che condivide il più lungo tratto di confine con Israele, può sperimentare la monarchia costituzionale, perché non può farlo la Siria? Due rapporti Onu sullo sviluppo umano del mondo arabo — preparati da autori arabi — affermano che i suoi gravi problemi sono causati da ragioni intestine. Stagnazione e mancanza di speranza hanno tre cause principali. La prima è l'assenza di libertà. Le Nazioni Unite citano la persistenza delle autocrazie assolute, le elezioni truccate, i giudici ridotti a schiavi del potere esecutivo e i vincoli alla società civile. La libertà di espressione e quella di associazione sono anch'esse severamente limitate. La seconda causa è la mancanza di conoscenza: 65 milioni di adulti sono analfabeti e quasi 10 milioni di bambini non hanno avuto esperienze scolastiche. Terza causa: la partecipazione femminile alla vita politica ed economica è la più bassa del mondo. La crescita economica continuerà ad andare a rilento sino a quando il potenziale di metà della popolazione dei Paesi arabi rimarrà inutilizzato.
La domanda è: i milioni di giovani disoccupati e senza interessi, carne da cannone per i terroristi, i partiti unici, la corruzione, le economie chiuse svaniranno se Israele dovesse scomparire? Infine, ecco la questione più importante: il mondo islamico odierebbe meno intensamente gli Stati Uniti se Israele scomparisse? L'odio arabo- islamico nei confronti degli Usa precede la conquista della Cisgiordania e della striscia di Gaza. Non appena Gran Bretagna e Francia hanno abbandonato il Medio Oriente, l'America è diventata la potenza dominante nella regione, e di conseguenza il bersaglio numero uno. Un altro fatto importante è che l'antiamericanismo più feroce è presente nei sedicenti alleati di Washington nel Medio Oriente arabo, ovvero in Egitto e in Arabia Saudita.
Si prenda la dichiarazione del Cairo contro « l'egemonia Usa » , sottoscritta da 400 delegati di tutto il Medio Oriente e dell'Occidente nel dicembre del 2002. Il lungo documento di accusa cita la Palestina solo marginalmente. Il principale argomento della condanna rimprovera agli Stati Uniti di aver monopolizzato il potere « nel contesto di una struttura di globalizzazione capitalista » finalizzata alla restaurazione del « colonialismo » , e di bloccare l' « emergenza di forze che potrebbero spostare l'equilibrio del potere mondiale verso una possibile multipolarità » . In breve, l'America globalizzatrice è responsabile di tutti i mali del mondo arabo, mentre Israele si trova al secondo posto, a notevole distanza.
Questo piccolo aneddoto ha anche uno strascico ironico: uno dei principali firmatari del documento è Nader Fergany, principale autore del rapporto Onu del 2002 sullo sviluppo umano nel mondo arabo. Quindi, persino chi è disposto a confessare i guasti interni del mondo arabo finisce con il dare la colpa « agli altri » .
Data perciò l'enormità dell'accusa, abbandonare Israele non assolverà gli Usa. Ciò che irrita davvero quanti detestano gli Usa in Medio Oriente è l'intrusione di Washington nei loro affari, che avvenga per ragioni di petrolio, terrorismo o armi di distruzione di massa. Questo è il vero motivo che ha spinto Osama Bin Laden, il quale poi ha citato la causa palestinese quasi sovrappensiero, a chiamare gli americani i nuovi crociati e a definire gli ebrei come i loro servi imperialisti. La vera fonte dell'odio integralista è l'Occidente come simbolo palpabile della miseria e bersaglio irresistibile per quella che il famoso studioso mediorientale Fouad Ajami ha definito la « rabbia araba » .
Niente di quanto detto può naturalmente servire come argomento per sostenere la continuazione dell'occupazione da parte di Israele della Cisgiordania e della striscia di Gaza, né può scusare la crudeltà e la durezza imposte ai palestinesi, che sono dannose anche per lo spirito stesso di Israele.
Una vecchia storiella che risale alla guerra di indipendenza di Israele dice: mentre i proiettili fischiano sulla loro testa, due ebrei nella loro trincea stanno finendo i colpi e uno si lamenta: « Se proprio gli inglesi dovevano darci un paese che non fosse di loro proprietà, non potevano darci la Svizzera? » . Purtroppo, Israele è proprio una striscia di terreno nella regione più difficile del mondo e la situazione è ancora ben lontana dall'essere anche solo lontanamente risolta.
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