Una diffidenza preconcetta verso Israele
l'iconfondibile marchio di fabbrica degli articoli di u.d.g.
Testata:
Data: 31/01/2005
Pagina: 9
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Disgelo Israele-Anp, l’8 febbraio il vertice tra Sharon e Abu Mazen
Le cronache di Umberto de Giovannangeli degli avvenimenti israelo palestinesi non mancano mai di essere, a seconda dei casi, più o meno faziose. Quella di oggi si segnala per come Udg riporta la notizia dell’uccisione di un palestinese a Rafah; l’idea che il giornalista vuole trasmettere è che l’esercito israeliano dica una cosa e faccia l’opposto, senza peraltro preoccuparsi di approfondire sulle circostanze. Un’atteggiamento preconcetto verso un attore del conflitto, che trova evidentemente apprezzamento tra i lettori del quotidiano dei Ds. Di seguito l’articolo.
Ramallah, Gerico, Tulkarem, Kalkilya. La sicurezza in Cisgiordania torna nelle mani dell'Anp di Abu Mazen. Fin dai prossimi giorni i servizi di sicurezza palestinesi assumeranno il controllo totale su alcune, almeno quattro, città cisgiordane, così come è già avvenuto su buona parte della Striscia di Gaza. Ad annunciarlo è il ministro della Difesa israeliano Shaul Mofaz, che l'altro ieri ha avuto un lungo incontro con un consigliere del presidente palestinese, Mohammed Dahlan. «Aspettiamo solo che i servizi palestinesi ci dicano di essere pronti», aggiunge Mofaz in una intervista alla radio militare; alla luce del nuovo clima di cooperazione e di progressiva distensione (un calo del 75% degli attacchi armati, secondo Mofaz), all'esercito è stato detto di limitarsi a sole operazioni di prevenzione di attentati e di ricorrere a una «forza contenuta». Inoltre sono stati impartiti nuovi e più restrittivi ordini di apertura del fuoco. Ciò nonostante un palestinese disarmato, entrato in un'area vietata a ridosso di una postazione militare, è stato ucciso dal fuoco di soldati israeliani vicino a Rafah, al confine tra la Striscia e l'Egitto.
Il «Nuovo Inizio» procede sul campo, con atti concreti e non solo con dichiarazioni di intenti, e avrà un passaggio cruciale l'8 febbraio quando, conferma radio Gerusalemme, si terrà l'atteso incontro fra Abu Mazen e Ariel Sharon. Ma per il premier israeliano il fronte più caldo oggi non sembra essere quello palestinese bensì il fronte interno. La riprova si è avuta ieri sera quando 150mila manifestanti hanno assediato la Knesset, presidiata da un imponente cordone di polizia, per protestare contro il ventilato piano di ritiro da Gaza. Una prova di forza voluta dal movimento dei coloni e dai partiti della destra nazionalista israeliani. «Che sia il popolo a decidere», ripetono i leader dei coloni, secondo cui è necessario organizzare un referendum nazionale per impedire che ilo ritiro «laceri la società» e susciti scontri fra israeliani. In assenza di un referendum, il movimento dei coloni, avvertono i suoi capi, è pronto ad attuare ogni iniziativa di disobbedienza in grado di ostacolare quello che l'ultradestra definisce «un vergognoso cedimento» ai palestinesi. Tra la folla dei manifestanti - molti dei quali portavano magliette e sciarpe arancioni, «modello ucraino», il colore degli avversari del ritiro - moltissimi erano i giovani. Il bersaglio dei cartelli e dei comizi degli oratori susseguitisi sul grande palco eretto davanti al Parlamento, era uno e uno solo: Ariel Sharon, l'eroe divenuto un «traditore»; il primo ministro trasformatosi, per i 150mila di Gerusalemme, in un «dittatore», e per le frange più estreme un «ostacolo da rimuovere», come a suo tempo fu Yitzhak Rabin: per questo le misure di sicurezza attorno a Sharon sono raddoppiate, per questo ieri sera a presidiare l'ufficio del premier c'erano centinaia di poliziotti e guardie di frontiera in assetto di guerra. Il raduno di massa proseguirà fino a stasera. Per assicurare il successo di quella che hanno definito come la «madre di tutte le manifestazioni» gli organizzatori non hanno badato a spese e hanno mobilitato un'imponente «flotta» di circa 1300 autobus giunti dagli insediamenti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza ma anche da molti centri in Israele. Pinhas Wallerstein, del movimento degli insediamenti, spiega dal palco che la dimostrazione, nel chiedere il referendum, «vuole evitare una frattura e un conflitto nella società israeliana». Ma potenzialmente minacciosa appare l'intenzione degli organizzatori di far firmare ai presenti una «dichiarazione di fedeltà» che li impegna a essere presenti in massa a Gaza il giorno in cui avrà inizio lo sgombero degli insediamenti al fine di impedirne la realizzazione. È dubbio però che anche questa manifestazione di massa possa influenzare il primo ministro che appare più che mai deciso a realizzare il suo piano, che comporterà lo sgombero di circa ottomila coloni dagli insediamenti nella Striscia e nel nord della Cisgiordania. «Una minoranza per quanto agguerrita e organizzata non può tenere in ostaggio la volontà della maggioranza degli israeliani che, come indicano tutti i sondaggi, è favorevole al ritiro da Gaza», dice a l'Unità Haim Ramon, ministro laburista nel governo di unione nazionale guidato da Ariel Sharon.
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