I profughi che nessuno ricorda
gli ebrei dai paesi arabi
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Data: 29/01/2005
Pagina: 0
Autore: la redazione
Titolo: I profughi che nessuno ricorda
Sull'ultimo numero del mensile SHALOM è uscito un articolo sull'esodo del milione di ebrei dai paesi arabi. Un esodo obbligato, un milione di persone con una valigia di cartone tenuta chiusa con lo spago, espulsi dai paesi nei quali avevano sempre vissuto. Un esodo "dimenticato" per dare invece visibilità solo ai profughi palestinesi che lasciarono Israele dopo la proclamazione dello Stato. Che peraltro non furono espulsi, ma lasciarono Israele soltanto perchè convinti dalla propaganda araba che vi sarebbero tornati appena distrutto lo Stato ebraico. La storia non andò, per fortuna, in quella direzione, e i profughi rimasero tali. Ma invece di essere riinserti nei paesi nei paesi nei quali si rifugiarono, l'ONU pensò bene di ammucchiarli in campi profughi, campi mantenuti tali sino ad oggi. Un'arma puntata contro Israele, ritenuta erroneamente responsabile del loro destino, luoghi ideali nei quali allevare disperati pronti a trasformarsi in terroristi. Quello che è poi avevnuto.
La lettura di questo articolo ci ricorda come sono andate veramente le cose.

Un milione di ebrei fu costretto a lasciare i Paesi arabi: un esodo dimenticato dalla storiografia ufficiale

Questa è una storia che noi, ebrei dei paesi arabi, abbiamo raccontato sottovoce, con dolorosa reticenza. Abbiamo dovuto lasciare le nostre case, spezzare le nostre vite, in tanti: quasi un milione.

Un esodo silenzioso che la storiografia ufficiale del Medio Oriente, fatta di miti e propaganda, non ha voluto vedere.
Ne abbiamo discusso, Carlo Panella, Magdi Allam, Gad Lerner e il sottoscritto, il 15 novembre scorso a Milano per la presentazione del film documentario "The silent exodus" di Pierre Rehov, regista francese nato in Algeria.

Più di mille persone hanno assistito ad una discussione non banale, anticipata dalla visione di un film crudo, dalle tinte forti, pregio e difetto di un documentario di denuncia.
Ma la Storia è più complessa: difficile semplificare o raccogliere in un concetto le vicende che per 1400 anni si sono dipanate su un territorio esteso due volte e mezzo la superficie dell'Europa geografica.
Ancora più difficile, e sbagliato, considerare gli arabi un unicum, come vorrebbero i pan-arabisti.

La necessità storica di ebrei e arabi, di israeliani e palestinesi, di avere una storiografia redentrice ha generato e moltiplicato stereotipi e luoghi comuni, spesso fra loro contrapposti: "arabi ebrei hanno sempre vissuto insieme e in pace"… oppure "gli ebrei nei paesi arabi sono sempre stati perseguitati e sottoposti alla sharìa e alla condizione di dhimmi".
Il mito arabo vuole che l'esodo degli ebrei sia una conseguenza della nascita dello Stato d'Israele, o che i pogrom antiebraici siano stati episodici e innocui, in alcuni casi addirittura organizzati dai "sionisti".

La storia è ben altra.
Per 2000-2400 anni, gli ebrei hanno vissuto nelle terre che oggi consideriamo islamiche.
Solo 1300 anni fa gli arabi-islamici sono arrivati nei territori che vanno dall'Eufrate all'Atlantico scontrandosi con le popolazioni residenti, ebrei inclusi: Caìma, l'ultima regina marocchina a resistere all'invasione araba, era per l'appunto berbera ed ebrea.
1100 anni fa il Patto di Omàr stabilì la possibilità per il residente di fede ebraica o cristiana di vivere in condizione di dhimmi, di protetto: pagando una tassa si poteva avere qualche diritto e salva la vita. Una condizione invidiata dagli ebrei europei che per mille anni sono fuggiti dalle terre cristiane verso quelle islamiche. Grandi pensatori, matematici e medici divennero presto, e per secoli, consiglieri di sultani e monarchi.

Epoche di splendore si sono però alternate con il buio più cupo: non sono mancati pogrom e sterminio.
Alcune date: anno 700, intere comunità massacrate dal re Idris I del Marocco; 845, promulgati in Iraq decreti per la distruzione delle sinagoghe; 861, nascita dell'obbligo per gli ebrei di portare un abito giallo, una corda al posto della cintura; 1006, massacro degli ebrei di Granada; 1033, proclamata la caccia all'ebreo a Fez, 6000 morti; 1147-1212, ondata di persecuzioni e massacri nel Nord Africa; 1293, distruzione delle sinagoghe in Egitto e Siria; 1301, i Mammelucchi costringono gli ebrei a portare un turbante giallo; 1344, distruzione delle sinagoghe in Iraq; 1400, pogrom in Marocco in seguito al quale si contano a Fez solo undici ebrei sopravvissuti; 1535, gli ebrei della Tunisia vengono espulsi (o massacrati); 1676, distruzione delle sinagoghe nello Yemen; 1776, sterminio degli ebrei di Basra, Iraq; 1785, massacri di ebrei in Libia; 1790-92, distruzione delle comunità ebraiche in Marocco; 1805-15-30, pogrom di Algeri; 1840, persecuzioni e massacri a Damasco; 1864-1880, pogrom a Marrakesh; 1869 eccidi a Tunisi; 1897, massacro di Mostganem in Algeria; 1912, pogrom a Fez.
Del resto a iniziare fu lo stesso Maometto, nel 624, sterminando le tribù ebraiche della penisola arabica.

Ma la tragedia su grande scala, la scomparsa degli ebrei-arabi, è arrivata all'inizio del Novecento con il crollo dell'Impero Ottomano e l'approdo fra i popoli arabi privi di identità e di leadership delle teorie nazionaliste.
Annichilito da cinque secoli di opprimente dominazione ottomana, il mondo arabo si è risvegliato cento anni fa diviso per criteri etnici e in strutture tribali. I movimenti politici di quel mondo, piuttosto che esprimere un'opzione di carattere propriamente politico, cioè di governo della realtà, hanno risolto in primis l'esigenza di rappresentare il movente identitario, spesso puramente etnico o religioso; un deficit di cultura politica ha surrogato ricorrendo a un codice fondativo tipico delle politiche identitarie di gruppo: il riscatto della propria nazione.

Se nel 1918 la dinastia hashemita di Hussein, sceicco di Mecca e Medina, firma tre accordi con il movimento sionista per accogliere i fratelli ebrei nella "loro patria natia" chiedendo in cambio collaborazione per modernizzare tutte le terre arabe (all'epoca gli hashemiti governavano la Penisola Arabica, la Siria, l'Iraq e la Palestina Storica), nel 1925 l'emiro di Riyadh, il wahhabita Ibn Saud, rovescia il Re hashemita Hussein, impossessandosi dell'Arabia per "restaurare la purezza dell'Islàm"; più tardi Abdallàh , figlio di Hussein, considerato traditore viene assassinato da estremisti nazionalisti palestinesi a Gerusalemme, dentro alla Moschea di Omàr.

Nel 1929, con la costituzione in Egitto del partito dei Fratelli Musulmani, la teoria pan-islamica (e dopo quella pan-araba) definisce gli ebrei "elemento estraneo alle terre islamiche": la dhimma non basta più, gli ebrei diventano nemici.
Nel 1945 gli ebrei di Aden, Algeria, Bahrein, Egitto, Libano, Libia, Marocco, Siria, Tunisia e Yemen erano 862.050: oggi sono 7.500. Imprecisi i dati per altri paesi arabi e islamici.

Ma il silenzio è stato anche nostro: turbati dall'enormità della Shoah in Europa e abbagliati dal miracolo della rinascita di Israele, la nostra tragedia è sembrata cosa di poco conto.
Del resto la mitologia israeliana, definita da una capace leadership ashkenazita, ha sempre sottovalutato la vicenda degli "ebrei arabi" preferendo raccontare il riscatto degli ebrei europei scampati al più grande pericolo del mondo: il nazismo.

Noi, che per secoli ci siamo confrontati, nel bene e nel male, con gli arabi, abbiamo considerato la nostra vicenda come una tappa, quasi banale, nello scontro arabo-ebraico.
Il nostro esodo non ci ha meravigliato perché, così come per italiani ed austriaci, il nostro è stato uno scontro tra nazioni: loro gli arabi, noi Israele.

Derubati di tutto, con una lunga scia di sangue, siamo usciti a testa alta, da vincitori: riscattati noi dalle vittorie di Israele, infuriati e umiliati loro dalle cocenti sconfitte.
Le nostre ferite erano, e rimangono, poca cosa rispetto alla tragedia dell'annientamento, della Shoah in Europa; le nostre ferite molto ricompensate dalle nuove libertà recuperate in Occidente o in Israele.
Unico punto in comune con la Shoah è la scomparsa di un mondo: la civiltà arabo-ebraica, fatta di conflitto e coesistenza, è stata una generosa mistura di cultura e arte, di lingue e cibi, di proverbi, odi, timori e benedizioni.

La rivisitazione di quell'epoca e di quell'esperienza, per noi nati sotto le palme del Mediterraneo, è un'occasione importante: per guarire una ferita noi ebrei, per guardarsi allo specchio e ricostruire la propria memoria gli arabi.
La pace non nasce dall'oblio.