La Russia arma Siria e Iran? Il Foglio si preoccupa, Blondet consiglia di lasciar fare
ma gli stati canaglia minacciano la sicurezza di tutti
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Data: 28/01/2005
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: La Russia arma Siria e Iran? Il Foglio si preoccupa, Blondet consiglia di lasciar fare
A pagina 3 IL FOGLIO pubblica un' interessante analisi sul possibile riarmo di Siria e Iran ad opera della Russia, "La strategia mediorientale di Putin passa per la Siria e l'Iran".
Uno scenario preoccupante.
Ecco il testo:

Mosca. Non c’è l’esplicita affermazione della volontà di aprire un canale di dialogo senza condizioni con lo Stato di Israele, com’era stato lasciato intendere qualche giorno fa, ma la dichiarazione congiunta Russia-Siria sull’approfondimento dei rapporti bilaterali – approvata martedì al Cremlino dopo un lungo incontro tra Vladimir Putin e il presidente siriano, Bashar al Assad – qualche novità la contiene. Novità che Putin ha ripagato prontamente, facendo annunciare al suo ministro delle Finanze, Aleksej Kudrin, la cancellazione di ben il 73 per cento del debito siriano e confermando così che
l’arrivo a Mosca, dopo dieci anni di assenza, della massima autorità del paese un tempo amico in medio oriente non va certo interpretato come una generica rimpatriata. Chi ha preso parte alla serata della Camera industrial-commerciale in onore degli ospiti di Damasco racconta di un Evgenij Primakov, presidente dell’istituzione, al settimo cielo. La nuova iniziativa del Cremlino reca la firma dell’ex agente dei servizi, ex ministro degli Esteri, ex primo ministro che da anni insiste con Putin sulla necessità di tornare sulla scena mediorientale – per ritrovare il ruolo smarrito di superpotenza – e di mettere a segno in quel teatro un buon risultato, per cancellare gli smacchi subiti negli ultimi tempi, dal Kosovo all’Iraq. Primakov però conosce soltanto la strategia "sovietica", che consiste nel trovare nello schieramento arabo un alleato di ferro, diventarne il protettore in ambito internazionale e poi forzarlo a colloqui diretti con Gerusalemme, per prendersi il merito di risultati che non possono mancare in una fase in cui gli Stati Uniti devono concentrarsi sul nodo iracheno. Il giovane al Assad si è prestato al gioco, offrendo la propria disponibilità alla creazione di un nuovo clima di trattativa in medio oriente, sprecando il giusto numero di parole sulla lotta al terrorismo internazionale e soprattutto spianando la strada al rientro di Mosca in quello che era lo scacchiere privilegiato dell’Urss. In cambio ha incassato, oltre al taglio del debito, la promessa dell’ammodernamento del sistema contraereo, un contentino da riportare ai militari a fronte del rinvio della fornitura russa di un nuovo complesso missilistico. Se ne riparlerà tra qualche mese, in seguito alle proteste statunitensi e soprattutto israeliane, e non si tratterà dei previsti SS-26 Iskander, ma dei più agili SA-18 "Igla", la cui mobilità tattica è ben più pericolosa. A Gerusalemme la preoccupazione è altissima, al punto da incrinare i buoni rapporti intessuti con il Cremlino negli ultimi tempi per il comune sforzo contro il terrorismo. Gli analisti israeliani non credono che la Russia sia in grado di condurre un gioco diplomatico sofisticato per restaurare lo status di superpotenza e temono che tutto debba risolversi in un riarmo della Siria e in un sostegno al programma nucleare dell’Iran. Proprio in questi giorni si è infatti spinto a Teheran il viceministro degli Esteri russo, Sergej Kisljak, che non ha fatto mistero di aver affrontato con la controparte la "cruciale" questione nucleare. Pochi i particolari resi noti, ma, se fosse vera la notizia dell’installazione da parte russa di due radar di ultima generazione intorno all’impianto nucleare di Bushehr, si confermerebbe il timore israeliano dell’apporto del Cremlino al sistema difensivo delle centrali iraniane, tale da vanificare ogni progetto, di Gerusalemme o di Washington, di attacco preventivo. Le prossime settimane chiariranno quanto Putin sia disposto a pagare, in termini di attriti internazionali, a fronte del rischio di trovarsi impelagato in medio oriente.
A guardare con evidente compiacimento alla possibile alleanza tra Russia e stati canaglia mediorientali, e a consigliare di lasciar fare, è invece Maurizio Blondet su AVVENIRE, nell'editoriale "Zona russa di influenza cercasi disperatamente".
In realtà, come spiega il FOGLIO, è molto dubbio che la Russia riesca ad esercitare un vero controllo su Siria e Iran. Un motivo in più perchè le azzardate mosse mediorientali di Putin preoccupino tutti, non soltanto Israele, cui Blondet è notoriamente avverso, e la "Jewish Telegraphic Agency", da lui maliziosamente citata .
Ecco l'articolo

Il presidente siriano Bashar Assad è a Mosca per quattro giorni, ed ha già ottenuto dai russi la cancellazione di 9 miliardi di dollari di debito. Non ha invece concluso l’acquisto dei novissimi missili russi Iskander. Provati con successo l’anno scorso, la loro gittata di 300 chilometri basta a colpire dalla Siria obbiettivi israeliani, e dispongono di contromisure che li rendono difficilmente intercettabili: da qui le forti pressioni Usa e di Israele che hanno indotto Putin a soprassedere, per ora, alla vendita. Fatto sta che, negli stessi giorni, il viceministro russo degli Esteri Sergei Kislyak è in visita a Teheran: per consultazioni "sulla stabilità strategica" e su "temi nucleari" che l’agenzia iraniana Mehr ha definito "molto utili". Devono esserlo, visto che Putin non solo assiste gli ayatollah nel completamento della centrale nucleare di Bushehr (dove secondo le accuse israelo-americane procederebbe a tappe forzate la fabbricazione dell’atomica islamica), ma ha installato due sistemi radar attorno alla centrale: segno, secondo un’agenzia vicina al Mossad "che Mosca sta mettendo in sicurezza l’industria nucleare iraniana da cima a fondo". Sicché la Jewish Telegraphic Agency segnala con grande allarme "il ritorno in forze della Russia in Medio Oriente". Non solo le forniture d’arma a Siria e Iran "costituiscono una diretta minaccia ad Israele", ma "un asse russo comprendente Siria, Turchia (sic) e Iran renderebbero più difficile il processo di pace coi Palestinesi".
Putin sta mettendo i bastoni tra le ruote, e si capisce perché. Dal Cremlino, il passaggio dell’Ucraina (dopo la Georgia) all’occidente, e la loro "accelerata" ammissione alla Nato chiesta da Richard Hoolbroke, devono essere vissute come una minaccia alla zona tradizionale d’influenza russa, al suo petrolio del Caspio e agli oleodotti del Caucaso. A Mosca hanno certo letto che Zbig Brzezinsky, il celebre politologo, definisce la Russia "il buco nero eurasiatico", ossia un vuoto di potere post-s ovietico che è facile occupare. Ovvio che Putin giochi le sue carte per contrastare l’accerchiamento. D’altra parte, i regimi siriano e iraniano, inseriti nell’"asse del Male", vengono ogni giorno minacciati di rovesciamento, se non di attacco militare dalla superpotenza e da Israele: ovvio, anche se spiacevole, che cerchino un protettore per la propria sopravvivenza. È un’ironia che proprio Brzezinski, nel riassumere il programma geostrategico Usa, abbia indicato la necessità "impedire che i barbari stringano alleanze offensive" contro Washington. Le minacce verbali troppo reiterate stanno ottenendo appunto questo risultato. Putin regnerà su un buco nero, ma mostra di possedere ancora una non indifferente capacità di coalizione, che è un carattere positivo in politica estera. Ben oltre il Medio Oriente, sta promuovendo un piano ambizioso di cooperazione economico-militare che si chiama Bric, dai nomi dei Paesi interessanti: Brasile, Russia, India, Cina: la convergenza fra Paesi che contengono i tre quarti della popolazione mondiale, il più vasto bacino di scienziati e presto anche quattro seggi al Consiglio di Sicurezza (India e Brasile l’avranno presto). Una cordiale garanzia alla Russia sulla sua area d’influenza, l’offerta di una partnership che acquieti la sua angoscia da accerchiamento, la sordina ai toni di sfida non seguiti da fatti, sarebbe un segno di più lungimirante saggezza.
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