Combattere l'antisemitismo e il totalitarismo dei nostri giorni: l'antisionismo e il terrorismo islamista
plauso agli articoli coraggiosi di Fiamma Nirenstein, Enzo Bettiza e Pierluigi Battista
Testata:
Data: 28/01/2005
Pagina: 1
Autore: Fiamma Nirenstein - Enzo Bettiza - Pierluigi Battista
Titolo: Senza memoria torna il pericolo - Il nazismo, il papa e l'Islam - Le nuove insidie dell'antisemitismo
Plauso a tre articoli coraggiosi sulla Giornata della Memoria, di Fiamma Nirenstein, Enzo Bettiza e Pierluigi Battista.
Perchè non si limitano alla retorica ma indicano il volto attuale dell'antisemitismo e del totalitarismo: l'antisionismo e il terrorismo.
Ecco l'articolo di Fiamma Nirenstein, a pagina 2 de LA STAMPA, "Senza memoria torna il pericolo"

Ormai da alcuni anni a questa parte, per la precisione cinque, sembriamo malati di una misteriosa discrasia: cresce la memoria e cresce anche l’antisemitismo, crescono le cerimonie, e cresce un mormorio nella piazza, e anche attacchi fisici e distruzioni antiebraiche stupefacenti; ed è un antisemitismo nuovo, che si alimenta di leggende su Israele, non presso gli ignoranti soltanto, ma anche presso chi conosce il disegno e i particolari dello sterminio (ormai nessuno può non sapere, dove si vede che non è la conoscenza che elimina comportamenti antisemiti, ma altri fattori ideologici e politici). Si sa ogni cosa, eppure sono proprio le vecchie teorie a tornare, i pilastri dell’antisemitismo genocida: si moltiplicano le teorie del complotto (Torri Gemelle, Guerra in Iraq, Tsunami, sono stati gli ebrei e quanta elaborazione sul tema) e il blood libel (Jenin, massacri, leggende di apartheid, stragi di bambini, non per difendersi ma per aggressività).
É il sintomo di un futuro non fantascentifico: la memoria della Shoah senza gli ebrei. Il 9 di novembre a Oslo, nel giorno della commemorazione della Kristallnacht avvenuta 66 anni fa, è stato proibito a un gruppodi ebrei di intervenire dispiegando i loro simboli, stelle di David, e bandiere d’Israele; un gruppo di dimostranti si è visto approcciare dalla polizia che li ha pregati di sgomberare. Lo stesso era accaduto in Olanda nel 2000, quando l’incontro in piazza di un gruppo chiamato «Resistenza ebraica» era stato proibito. Questo scorporamento della memoria dagli ebrei d’oggi è forse stata dovuta alla paura della componente islamica che poteva essere infastidita, ma anche il risultato circolare (Europa-mondo arabo-Europa) di un intensivo capillare cambiamento nel concepire la storia degli ebrei.
La Shoah, in buona sostanza è stata vissuta da gruppi non marginali della cultura europea, una volta collegata a Israele, non come uno delle ragioni indispensabili dell’autodeterminazione ebraica, ma come se fosse stata usata come scusa della disturbante storia della nascita e dello sviluppo dello Stato degli ebrei, un pretesto ebraico per creare una situazione difficile per tutti. É breve il passo per il rovesciamento della storia ebraica contemporanea, da paese aggredito fin dal 48 a «Paese aggressore». Prima, il mondo «liberal» europeo, la sinistra in particolare, vedeva la risposta principe alla Shoah nell’approdo dei sopravvissuti a Israele; oggi una perversa fantasia onora gli ebrei morti quando questo non urti la sensibilità politica di chi ha da ridire sulla politica o addirittura sull’esistenza di Israele, e che si possa avere pena degli sterminati una volta scorporati da quella identità che oggi consente loro di avere uno Stato e di difenderlo. Insomma, di essere vivi.
É una fantasia molto perversa, che impedisce la memoria in sè e per sè di qualcosa di molto preciso, che è avvenuto, che è agli atti: gli ebrei furono rastrellati a milioni dalle loro case, trascinati coi treni nei campi della morte destinati alla loro distruzione fisica, i bambini, le donne, i deboli, siano stati subito intenzionalmente e a freddo eliminati, gassati, bruciati, la loro sparizione è stata teorizzata come cosa buona e giusta. Simili comportamenti com’è evidente non hanno niente a che fare con altre dolorose realtà anche se non voglio sostenere qui generiche teorie di incomparabilità. Dalla Cambogia, al Rwanda, al Congo, alla Bosnia, ciascuno nei suoi modi la sofferenza umana e l’intenzione genocidia non è stata diversa.
Ma non c’è nessuna traccia di genocidio e di tantomeno di nazificazione di Israele nel pur tragico conflitto Israelo palestinese. Che le vittime siano diventati carnefici, questa è il più perverso fra i fallimenti della memoria, eppure è molto popolare. Nel giorno della Memoria, la Memoria deve essere onorata, e un fenomeno ormai divenuto molto rilevante deve cominciare a trovare un suo contenimento. La vulgata è ormai quella della vittima che si fa perpetratore dell’identico crimine che è stato commesso a suo danno. Se non fosse un’interpretazione dei fatti ridicola, la si potrebbe definire semplicemente volgare.
La mancanza di chiarezza morale che permette di trasferire l’antisemitismo su un altro termine (Israele, sionismo) implica l’assenza di ragione e di memoria: e se la memoria scompare il pericolo si riaccende.
L'editoriale di Enzo Bettiza, in prima pagina sul quotidiano torinese, " Il nazismo, il papa e l'Islam" :
La voce alta e austera del Papa, che ha sovrastato ogni altra nel giorno del 60° anniversario della Shoah ad Auschwitz, non lascia spazio ad alcun dubbio: Karol Wojtyla, nato nella martoriata terra dove si è compiuto il genocidio ebraico, ha condannato con particolare quanto nitida energia «coloro che nel nome della religione ricorrono alla sopraffazione e al terrorismo». Il messaggio, scritto in polacco e letto in Polonia al cospetto dei Capi di Stato e di governo presenti ad Auschwitz, traccia in sostanza il più severo dei paragoni fra nazismo e terrorismo islamista, colpevoli l’uno di essersi nutrito e l’altro di nutrirsi ancora dell’odio contro gli ebrei. Il duro appello del Pontefice contro il razzismo e, implicitamente, contro l’antisemitismo che sessant’anni orsono consumò in questo recinto di morte il suo massimo crimine, è chiaro e inequivocabile. Davanti alla tragedia della Shoah, ha detto, a nessuno è lecito passare oltre: «Non dobbiamo cedere di fronte alle ideologie che giustificano la possibilità di calpestare la dignità umana sulla base della diversità di razza, di colore della pelle, di lingua o di religione». Al tempo stesso ha voluto ricordare, non a caso, il suo pellegrinaggio nei Luoghi Santi e a Gerusalemme dove, ai piedi del Muro del pianto, egli aveva pregato «chiedendo perdono e conversione dei cuori».
Auspicando che in nessun angolo della Terra si ripeta mai più l’orrore di Auschwitz, il Papa, con il suo monito e la sua condanna della violenza razzista, sembra elevarsi a testimone e giudice delle furie assassine che hanno insanguinato non solo il XX secolo. Sembra indicare, al di là dei fantasmi di Auschwitz, il malefico spirito di continuità del nazismo nei genocidi che a cavallo dei due secoli hanno insanguinato l’Europa con le guerre balcaniche, oltraggiato l’America con l’attentato alle Torri gemelle, decimato con gli attacchi suicidi la vita delle popolazioni civili israeliane. A questo punto, non possiamo esimerci dal sottolineare che l’intervento papale coincide fra l’altro con la vigilia del suffragio iracheno, prova del nove della democrazia elettiva nel Medio Oriente, che i nuovi stragisti vorrebbero far naufragare.
Da ultimo va ricordato che questo Papa, che da giovane si era già opposto al nazismo, ha poi resistito attivamente al comunismo contribuendo in maniera diretta e direi quasi personale alla sua caduta. Mentre si commemora Auschwitz non si possono quindi dimenticare i milioni di vittime che hanno lasciato i loro scheletri nei Gulag staliniani. Il no di Giovanni Paolo II va inteso come un ripudio di ogni forma di totalitarismo: sia esso il nazionalsocialismo di Hitler, il bolscevismo di Stalin, il nazionalcomunismo di Milosevic, sia infine il terrorismo jihadista di Bin Laden.
E, dalla prima pagina del CORRIERE DELLA SERA, quello di Pierluigi Battista, "Le nuove insidie dell'antisemitismo":
Nel giorno della commozione universale e del ricordo della Shoah, non sono mancate le note dissonanti e le dichiarazioni discutibili almeno sul piano dell'opportunità. Colpisce, ad esempio, che la parola « ebreo » non sia mai stata pronunciata nella cerimonia ufficiale dal presidente Putin. Ed è destinata ad alimentare le polemiche la comparazione istituita da Silvio Berlusconi tra il nazismo e il comunismo, utile 364 giorni l'anno nell'affrontare un controverso nodo storiografico e culturale, ma palesemente fuori contesto proprio nel giorno della celebrazione di Auschwitz.
La commemorazione dell'Olocausto doveva servire a scongiurare qualsiasi ritorno della follia antisemita.
Ma i numeri esposti ieri da Renato Mannheimer sul Corriere raccontano un realtà inquietante e molto diversa da quella che si esprime nelle rappresentazioni celebrative. Quei numeri dicono che in un solo anno è aumentata addirittura di un 3% la quota di italiani ( in totale il 54%: la maggioranza) secondo i quali « gli ebrei hanno mentalità e modi di vita diversi dal resto degli italiani » e per ben tre milioni di persone i connazionali ebrei « dovrebbero lasciare l'Italia » ( non si capisce se con la forza bruta o con quale altro genere di persuasione). E ancora: è in aumento la parte di italiani, il 42%, convinti che « gli ebrei hanno un rapporto particolare con i soldi » , o la schiera degli italiani certi che gli ebrei « mentono quando sostengono che il nazismo ne ha sterminati milioni nelle camere a gas » e cresce di quattro punti ( raggiungendo la ragguardevole cifra del 15%) l'esercito degli italiani pronti a dichiarare: « sarebbe meglio che lo Stato di Israele non esistesse » .
Non che Israele debba cambiare linea e comportamenti, o che sostituisca i suoi governanti. No. Si chiede addirittura che lo Stato di Israele debba cessare di esistere, scomparire dalla geografia, con i suoi abitanti, presumibilmente, cancellati dalla faccia della terra.
I numeri, di per sé agghiaccianti, vanno letti con attenzione, anche a costo di affrontare interpretazioni che finiscono per aggiungere nuovi elementi di angoscia.
Quei numeri dicono che gli stereotipi antisemiti, persino quelli apparentemente più triti e banali, anziché attenuarsi e svanire, trovano ascolto ricettivo in strati sempre più ampi di popolazione. Dicono che gli ebrei sono percepiti ancora, e non solo in frange lunatiche e marginali, come delle persone infide da cui stare alla larga. Ma paradossalmente sarebbe quasi consolante leggere questo grumo di intolleranza e ignoranza come la persistenza di un fenomeno antico e mai smaltito, di un residuo coriaceo di adesione a stereotipi sempre uguali nel tempo. Sarebbe sin quasi rassicurante se fossero segnali del « solito » antisemitismo appannaggio di esigue minoranze fanatizzate, sempre le stesse e sempre identiche a se stesse. Eppure è quel simultaneo crescere di virulenza antisemita e di avversione totale allo Stato di Israele che dovrebbe far riflettere per mettere in luce un nuovo tipo di antisemitismo, più insidioso ancora, e che addirittura si può manifestare, come ha spiegato Alain Finkielkraut, nell'ambito di mondi culturali persino disponibili a commuoversi per le vittime dell'Olocausto di sessant'anni fa.
Sembra un macabro paradosso, ma come spiegare altrimenti l'atmosfera di indifferenza con cui in Italia e in Europa vengono accolte le notizie dell'ennesima sinagoga bruciata, dei cimiteri ebraici profanati, degli studenti ebrei che in alcune zone di Parigi sono costretti ad andare a scuola sotto scorta? O il silenzio degli intellettuali occidentali di fronte al serial sui « Protocolli dei savi anziani di Sion » trasmessi dalle televisioni arabe, alle vignette che nei media dell'islamismo radicale raffigurano l'ebreo con caratteristiche somatiche ripugnanti, un mostro assetato di sangue e nemico del genere umano? Il pericolo maggiore, dicono quei numeri, è che l'antisemitismo possa riaffiorare con abiti addirittura nobilitanti, o nei panni di un messaggio « antisionista » che mentre delegittima Israele fino all'augurio della sua scomparsa, ferisce gli ebrei che con le vicende di quello Stato emotivamente si identificano. Come se bastasse dire « mai più » per arginare, oltre che quelli vecchi, i nuovi stereotipi antisemiti.
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