LA STAMPA di matedì 25 gennaio 2005 pubblica una cronaca di Maurizio Molinari della commemorazione della Shoah svoltasi alle Nazioni Unite, "Annan: dall'orrore della Shoah la missione dell'Onu". Segnaliamo i banchi quasi deserti dei paesi arabi,e l'intervento del presidente del senato Pera.
Ecco il testo:Il canto dell'«Hatikwa» e la preghiera per i defunti «El Maalei Rahmin» ha suggellato al Palazzo di Vetro la sessione speciale dell'Assemblea Generale dell'Onu dedicata al ricordo della Shoah in occasione del 60° anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz da parte dell'Armata Rossa. Da quando le Nazioni Unite furono fondate nel 1945 mai si erano occupate del genocidio di sei milioni di ebrei da parte dei nazifascisti ed il premio Nobel per la pace, Elie Wiesel, egli stesso sopravvissuto alla deportazione ad Auschwitz, lo ha ricordato pronunciando quasi un atto d'accusa: «Allora chi fu torturato ed ucciso fu ferito anche dal silenzio e l'indifferenza di un mondo che ora, 60 anni dopo, almeno tenta di ascoltare». «Se il mondo avesse ascoltato allora - ha aggiunto parlando dalla tribuna dell'Assemblea - sarebbe stato possibile prevenire il Darfur, la Cambogia, la Bosnia ed naturalmente il Ruanda, Il Male vince quanto i buoni stanno in silenzio».
Prima di lui il Segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, ha pronunciato le parole che nessun suo predecessore aveva mai detto: «Le Nazioni Unite non devono dimenticare che sono state create come una risposta alla malvagità del nazismo, l'orrore dell'Olocausto ha aiutato a generare la nostra missione e la risposta fu la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani».
I motivi del ritardo di 60 anni con cui l'Onu arriva alla commemorazione di Auschwitz sono nell'opposizione di molti Paesi arabi e del Terzo Mondo, motivata da politiche anti-israeliane. Non a caso ieri nell'aula i banchi dei Paesi arabi erano quasi deserti e l'unico iscritto a parlare era il ministro degli Esteri della Giordania. E' stato l'intervento del presidente del Senato, Marcello Pera, a disegnare la continuità fra antisemitismo ed antisionismo. «Abbiamo l'obbligo di ammettere che l'antisemitismo è ancora con noi, oggi si alimenta con le subdole ed insidiose distinzioni che vengono fatte fra Israele, governo e Stato ebraico, fra sionismo e semitismo oppure quando la battaglia per la vita degli israeliani viene definita "terrorismo di Stato"».
E' stato d'altra parte proprio un recente sondaggio, ha continuato Pera, a svelare come «l'antisemitismo coincida con l'odio contro Israele» allorché il 60 per cento degli intervistati ha definito lo Stato ebraico, assieme agli Stati Uniti, quello «più pericoloso del mondo». Anche il ministro degli Esteri di Israele, Silvan Shalom, ha fatto riferimento al persistente pericolo del pregiudizio antiebraico, ricordando come «il brutale sterminio degli ebrei iniziò non con l'uso dei fucili e dei carri armati ma con parole, termini che sistematicamente descrivevano gli ebrei come persone non legittime, non umane». Il presidente del Senato ha inoltre tenuto ad affiancare le responsabilità nella persecuzione degli ebrei della Germania nazista e della Francia collaborazionista di Vichy a quelle dell'Italia fascista, affermando che «affrontare la responsabilità degli italiani nella persecuzione degli ebrei è qualcosa di importante, utile al fine della riconciliazione nazionale» perché queste cose «per anni non si sono dette nè insegnate nelle scuole».
Sul palco dell'Assemblea Generale si sono alternati i ministri degli Esteri di diversi Paesi inclusi Germania, Francia, Argentina e Lussemburgo mentre per gli Stati Uniti è intervenuto il vicesegretario alla Difesa, Paul Wolfowitz. «Siamo qui per riflettere sulla grandezza del Male e gli Stati devono rifiutare tale aberrazione, le nazioni pacifiche non possono restare sedute di fronte ai genocidi», ha detto Wolfowitz ricordando l'impegno militare americano durante la Seconda Guerra Mondiale: «Quando gli americani prendono le armi non lo fanno mai solo per loro stessi, è il mondo intero che ne trae beneficio».
La seduta si è quindi chiusa con l'inno nazionale israeliano e la preghiera per i defunti di rito ashkenazita, che viene recitata nelle sinagoghe nel ricordo delle vittime della Shoà. «Ascoltare queste note nella stessa aula che nel 1975 paragonò il sionismo al razzismo - ha commentato l'ambasciatore israeliano all'Onu, Dan Gillerman - testimonia che questa è stata la giornata più importante che l'Onu ha dedicato al popolo ebraico da quando nel 1947 votò la nascita di Israele».
La sessione di ieri si è svolta grazie ad una richiesta scritta presentata il 9 dicembre ad Annan da Stati Uniti, Russia, Unione Europea, Canada, Australia e Nuova Zelanda che è stata poi approvata dall'Assemblea con 138 voti a favore sui 191 Paesi membri.
Sempre di Molinari il trafiletto "La fronda al Palazzo di Vetro" sull'opposizione dei paesi arabi alla commemorazione della Shoah alle Nazioni Unite, solo in parte attenuatasi in questa occasione.
Ecco l'articolo:NEW YORK. Non era mai successo che le Nazioni Unite ricordassero lo sterminio di sei milioni di ebrei. In passato ad impedire che la memoria della Shoà varcasse la soglia del Palazzo di Vetro erano state le obiezioni di nazioni arabe e del Terzo Mondo, contrarie a tali eventi nel quale della loro opposizione all'esistenza ed alle politiche dello Stato di Israele. Per capire quanto tali posizioni restano radicate in alcuni Paesi basta ricordare che lo scorso 24 giugno il direttore del «Jaffa Research Center» del Cairo, Rifat Sayyed Ahmad, ha scritto sul quotidiano del partito nazionale democratico - guidato dal presidente Hosni Mubarak -un articolo intitolato «La bugia della cremazione degli ebrei» nel quale si legge «L'olocausto è davvero esistito? E con quali numeri? Ciò che più ci interessa è la bugia sulla cremazione degli ebrei da parte dei nazisti». Fra i pochi leader arabi ad aver parlato a favore del ricordo della Shoà c'è Osama el-Baz, consigliere politico di Mubarak, ed il fatto che ieri le nazioni arabe hanno condiviso l'iniziativa della commemorazione è stato interpretato come un segnale di cambiamento.
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