Testimonianza sull'indottrinamnto anti-israeliano
breve diario di un viaggio nei Territori Occupati e in Israele
Testata:
Data: 19/01/2005
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: Testimonianza sull'indottrinamnto anti-israeliano
Riportiamo dal sito internet http://www.lippi.ws/homeit.htm la testimonianza su un viaggio nei territori.
Non condividiamo in tutto e per tutto il pensiero dell'autore, sia sul conflitto israelo-palestinese che su altri temi, ma ci sembra utile fornire ai nostri lettori una descrizione dall'interno di un viaggio di "solidarietà" e di indottrinamento anti-israeliano che presumibilmente non costituisce un'eccezione e le riflessioni di un osservatore intelligente e onesto.
Ecco il testo:

Alla fine del 2002, insieme a Maria Merelli, che e' la mia compagna, siamo andati in Palestina al seguito della compagnia teatrale di Pippheo Del Bono (Maria si occupa professionalmente di teatro). Se non conoscete gia' Pippo Del Bono cercate di andare a vederlo appena vi capita. Pippo del Bono era invitato dall'Autorita' Palestinese e ha presentato un suo pezzo, intitolato Guerra, a Gerusalemme, Betlemme, Ramallah, Haifa. La compagnia aveva due accompagnatori che hanno fatto per tutto il viaggio una propaganda antiisraeliana molto fastidiosa, per me. Tanto che in un paio di occasioni ho reagito, in una ho persino trasceso. Al ritorno ho scritto la lettera, che potete scaricare qui sotto, agli amici del viaggio, che poi pero' non ho spedito. Come capirete, io ho simpatia per lo stato di Israele. Non che mi faccia piacere vedere come sono trattati i palestinesi nei territori, ne' apprezzo la politica israeliana degli insediamenti. Ritengo tuttavia che gran parte dell'ostilita' verso gli israeliani sia causata da pregiudizi, ignoranza, disinformazione sistematica. Aggiungo, alle cose che dico nella lettera, un'osservazione. In Israele e nei territori si combatte una battaglia cruenta, come tutti sapete. A me ha fatto un'enorme impressione che, malgrado cio', Israele e i territori siano visitabili da tutti, addirittura da persone che fanno sistematicamente propaganda antiisraeliana, veri e propri professionisti della disinformazione. Spero faccia impressione anche a voi.



Marco Lippi. Breve diario di un viaggio nei Territori Occupati e in Israele. Fine dell’anno 2002.
Cari amici,
verso la fine del viaggio mi sono abbandonato a qualche espressione sgarbata, e ho anche alzato la voce. Ripensandoci mi è venuto in mente di scrivere un breve diario, che forse può servire a farvi capire quello che penso e quello che non posso sopportare.
Milano. Siamo in piedi ad aspettare di essere esaminati dai servizi di sicurezza israeliani. Qualcuno passa tra noi e si raccomanda: "Non dite mai che andiamo a Betlemme e Ramallah, altrimenti non ci fanno neanche salire sull’aereo’. Non so perché io non abbia reagito subito. Forse la sveglia
alle cinque e mezza. Oppure mi sono sentito lusingato: uno che mi propone di fare una cretinata del genere con i servizi di sicurezza israeliani evidentemente non si rende conto del fatto che ho sessant’anni. Comunque, si passa. Ora siamo in piedi e aspettiamo di salire sull’aereo. Accanto
a me: "Rassegnatevi, si arriva a Tel Aviv, ci mettono sul primo aereo e torniamo a Milano" Mi rendo conto che qui siamo con gente che se ne intende, cosí mi rassegno e comincio a pensare a cosa potrei fare nel tempo tra domani e il 7 Gennaio, data del ritorno previsto dal viaggio che non si farà più (e i biglietti, ce li rimborseranno? mi sa di no). E invece, miracolosamente, si passa. E le valigie aperte, le ore di attesa, le perquisizioni, l’ostilità, il Mossad, lo Shin Bet. Niente, una doganiera che se solo potesse staccare e andare a dormire. Insomma un’oretta e mezza dopo l’atterraggio a Tel Aviv, invece che in sala d’attesa per Milano, come previsto da chi se ne intende,
siamo a cena a Gerusalemme. Betlemme. Siamo di ritorno da Betlemme. La Maria Nadotti, una giornalista che insieme ad Alfredo (non ricordo il cognome, me ne scuso, né il suo ruolo in tutta la cosa) organizza il giro e gli incontri, ci raccomanda per quando ci fermano di non dire per carità che siamo stati a fare
una rappresentazione teatrale. Siccome qualcosa bisognerà pure dire suggerisco: "Siamo stati nel famoso ristorante di pesce di Betlemme". Qualche risata a questa battuta peraltro mediocre mi fa capire che non sono il solo a essere un pochino infastidito. A Betlemme ha fatto la sua apparizione
anche la Luisa Morgantini, che ricordo come sindacalista negli anni ’70. Salita sul nostro pullman aveva cominciato con lo Israeli Horror Show, chissà chi glielo aveva chiesto. Poi per fortuna se la sono portata via. (Agli attori raccomando l’abbraccio da reduci tra la Maria Nadotti e la Luisa
Morgantini nella hall del teatro di Betlemme: si guardano, si abbracciano strette, poi si staccano e si guardano ancora, si riabbracciano, e cosí via per quattro cinque volte. Voi credete che non si vedano da quando una è stata in carcere per dieci anni a Gerusalemme, l’altra espulsa ecc. Io invece credo che si siano viste prima di Natale in via Frattina.) Ramallah. A Ramallah alcuni di noi vengono portati a visitare un centro di riabilitazione fisica e
psicologica per ragazzi che hanno subito traumi, tenuto da suore. Ci sediamo attorno a un tavolo e una di queste ci fa un pezzo di mezz’ora almeno, che solo tangenzialmente si occupa dei ragazzi. Si tratta soprattutto di propaganda antiisraeliana. Alcune delle cose che lei dice sono certamente vere e pesanti. Altre mi sembrano delle balle. Qualcuno fa presente che ci sono anche israeliani
pacifisti. Lei è inflessibile, dice che i pacifisti israeliani sollevano nel loro paese una questione di opportunità (terra contro pace), non di giustizia (tutta la terra indietro ai palestinesi e gli ebrei a mare, vero sorella?). E che se qualcuno ha fatto dei torti agli ebrei non si vede perché loro
debbano prendersela con i Palestinesi, che vadano a prendersela con quelli ecc. Ecco, a questo punto mi comincio a seccare. Trovo la sorella un pochino volgare. Alla fine del comizio, quando siamo nella sala dove si comprano i manufatti delle donne palestinesi ritorno sulla questione degli israeliani che sostengono la possibilità della pace, e lei di nuovo colla giustizia. Io allora vorrei chiederle se la questione di giustizia che lei pone include anche la restituzione agli ebrei di quello che hanno perso in Europa tra gli anni ’30 e ’40, e se non sarebbe meglio evitare di fare discorsi da esaltati quando in questione c’è la pace tra due popoli che mi sembra abbiano sofferto abbastanza
nell’ultimo secolo. Poi mi piacerebbe anche chiederle, già che ci siamo, perché sotto i papi a Roma gli ebrei vivessero tutti tra Via Arenula e il Portico d’Ottavia, forse perché è un quartiere centrale e quindi molto comodo. E poi, siccome mi stavo veramente seccando, stavo per tirare fuori dal portafogli una bella foto del suo papa che benedice la folla, solo che non é a Roma, è a Santiago del Cile, il balcone è quello del palazzo in cui fu assassinato Salvador Allende, e accanto al papa c’è l’assassino: Augusto Pinochet. Questo in realtà non c’entrava niente, è una foto che porto sempre
con me e che mi piace mostrare agli amici di sinistra rincoglioniti quando dicono: "Però bisogna riconoscere che Giovanni Paolo II . . ." Ma tutto questo io non posso dirlo perché Maria Merelli subito mi tira la giacca e mi dà dei calci. Cosí smetto e vado fuori a fumare. Sempre a Ramallah ci portano al ristorante dell’amico palestinese. Mafioso e ladro, mi porta in
cucina e mi costringe ad assaggiare un tocco di pesto surgelato. Dice che conosce l’Italia, è stato a Roma e fa il nome di Luisa Morgantini. Congratulazioni. Il culmine del teatro lo tocca naturalmente non Pippo Del Bono, che è un dilettante, ma ancora la Nadotti con il pezzo su Arafat, e precisamente quando ci avverte che se andiamo in visita da lui
dobbiamo anche sapere che finiremo in una lista nera. Sono tormentato, certo avere una foto con Arafat. Però anche finire nella lista nera. Potrei rovinarmi la carriera. Decido di non andare, torno in camera, mi metto in pantofole e aspetto tristemente l’ora di andare a letto. Non ho mai saputo
osare. Partenza da Ramallah. Alcuni di noi, non selezionati per la visita al presidente, però non hanno visto il compound dell’autorità palestinese raso al suolo quasi interamente dalle ruspe israeliane.
Cosí si va in pellegrinaggio a vederlo. A quel punto mi pare di ricordare che a Ramallah furono linciati i due riservisti israeliani che avevano sbagliato strada. Chiedo ad Alfredo (ma chi è, cosa fa di mestiere?) se Tel Aviv faremo un pellegrinaggio analogo, a vedere una discoteca di quelle
dove ogni tanto saltano in aria un palestinese e una ventina di ragazzi israeliani.
Haifa. Qualche giorno dopo, finite le rappresentazioni, siamo ormai alla conclusione. Nadotti e Alfredo sono costernati: non è successo niente. È vero che non siamo riusciti ad andare a Gerico, ma insomma, per essere in un paese in guerra, con ventitré israeliani saltati in aria a Tel Aviv il giorno prima, e non so quanti palestinesi sparati qua e la durante i dieci giorni del nostro giro, non ci è successo veramente niente. E allora si ricomincia, come a Milano: "Preparatevi, quando sarete ai controlli a Tel Aviv, vi apriranno le valigie, sarete perquisiti, ecc." Mi giro verso Pippo Del Bono e gli dico: "Secondo me non ci fanno un cazzo", lo riconosco, ho detto proprio cosí. Poi sento ancora Alfredo che recita: "Preparatevi a trovarvi di fronte ad un atteggiamento ostile degli israeliani." È stato allora che ho perso la testa e gli ho detto a voce alta, in modo che tutti sentissero bene, che era ora che smettesse di romperci i coglioni. E me ne vanto. Al controllo a Tel Aviv
siamo stati trattati in modo molto formale e cortese: "Le faccio queste domande per la sicurezza sua e degli altri passeggeri ecc." Passato al controllo mi giro e vedo un militare che armeggia con il bagaglio della Guerrini. Mi dico: "Qui sono fottuto." Ma no, le deve avere danneggiato la lampo
di una tasca laterale e sta tentando di aggiustargliela. Vado da Pippo e dico hai visto come sono stati ostili. Mi risponde che però un’altra volta che è venuto gli hanno aperto tutto. Va bene, come vuoi.
2
Italia. Resoconti. Mi spiace di Gianni Manzella il riferimento alla "ostilità manifesta della doganiera israeliana" (Il Manifesto, 12 Gennaio). Boh? Chissà come sono le doganiere in Siria, in Giordania, in Egitto; a proposito, ci sono doganieri donna in quei paesi? Pippo del Bono: "Per un’ora siamo rimasti ad aspettare, nascosti in mezzo alle colline . . ." (Liberazione, 7 Gennaio).
Ma che dici Pippo, nascosti in mezzo alle colline. Fortuna che mia madre non legge Liberazione, altrimenti non mi fa più partire neanche per il Belgio. Eravamo cosí poco nascosti che, durante l’attesa, Maria Merelli ha scattato una bella foto in cui tre bambine palestinesi sugli otto-nove anni ridono felici (ad eccezione di una che non vuol far vedere che sta cambiando i denti). Sono allegre e veramente paffute (non grazie agli israeliani, sono probabilmente gli aiuti ONU). E poi cala sui tempi Pippo, saremo stati fermi un quarto dora. Franco Quadri su Repubblica (non ho qui la data) parla di soldati israeliani che stanno legando un ubriaco palestinese a Haifa. Non so come faccia a
sapere che era palestinese, visto che tra l’altro lui non c’era.
Conclusioni. Il galateo politico odierno costringe tutti a dire che detestano il terrorismo. Lo storico israeliano Benny Morris (Università Ben Gurion di Beersheba) sostiene che il terrorismo moderno, bombe nei luoghi affollati da civili inermi, è stato introdotto negli anni 30 e 40 dalle organizzazioni
sioniste di destra Irgun e LHI (banda Stern), mentre attribuisce agli arabi il successivo perfezionamento in attentato suicida (Vittime, Rizzoli 2001, p. 843). Attentati terroristici sono stati usati nella guerra di liberazione algerina e in quella vietnamita, per ricordare due casi molto noti e considerati
da molti di noi gloriosi. (Non sto dicendo che ogni azione terroristica sia giustificata.) Sgombrato il campo dall’ipocrisia, il terrorismo palestinese della seconda Intifada è disperato e rischia di distruggere per molti decenni la speranza dei palestinesi di conquistare alla fine un pezzo di terra su
cui edificare uno stato. Non esiste più un blocco socialista interessato a tenere aperto il conflitto arabo-israeliano, e gli stati arabi sono ormai completamente indifferenti alla questione palestinese. I palestinesi non hanno bisogno dell’industria della solidarietà–con–l’eroico–popolo–palestinese,
uno straccio della quale avete potuto vedere in questo viaggio. Al contrario, hanno bisogno di ristabilire contatti con forze politiche e persone capaci di parlare loro francamente e criticamente, di aiutarli ad acquisire senso della realtà, e forse soprattutto a liberarsi, loro che erano in prevalenza
laici, dalla peste degli integralisti religiosi. Anche gli israeliani naturalmente avrebbero bisogno di buoni consigli, visto che continuare a pestare e insediare, l’unica politica che sembrano ormai capaci di fare, rischia di distruggere per molti decenni la loro speranza di vivere in pace, nella terra che è loro.

Marco Lippi