Leggere attentamente le notizie in piccolo
che il quotidiano comunista è obbligato a dare, ma che spera nessuno veda
Testata: Il Manifesto
Data: 19/01/2005
Pagina: 5
Autore: Michele Giorgio - Michelangelo Cocco
Titolo: Rafah, prigionieri della sicurezza - Gaza, arriva il raìs ma Hamas fa esplodere un uomo-bomba. Si tratta una difficile tregua
IL MANIFESTO di mercoledì 19 gennaio 2005 pubblica a pagina 5 l'articolo "Rafah, prigionieri della sicurezza" di Michele Giorgio, che riportiamo:
L'esercito israeliano è sul punto di lanciare una nuova offensiva a Gaza eppure, nel pieno del tentativo del nuovo presidente Abu Mazen di raggiungere un accordo di cessate il fuoco con le varie organizzazioni palestinesi, continua a passare inosservata la gravissima situazione di migliaia di palestinesi bloccati da giorni al valico di Rafah, tra Gaza e l'Eggitto. Il caso non è stato neppure preso in esame dall'esecutivo palestinese che si è riunito due giorni fa a Ramallah per decidere la fine di ogni attività armata contro Israele. Abu Mazen non ha fatto alcun accenno alla condizione dei palestinesi bloccati sul versante egiziano di Rafah. La frontiera è rimasta chiusa, ad eccezione di pochi giorni, dal 12 dicembre, quando un commando congiunto di militanti di Hamas e dei Comitati di resistenza popolare uccise sei soldati israeliani di guardia ad un avamposto lungo il confine. I centri palestinesi per i diritti umani hanno riferito che almeno sette delle circa 7 mila persone in attesa di passare, sono morte negli ultimi giorni a causa delle pessime condizioni di vita al valico. Le autorità israeliane non avrebbero ancora consentito il passaggio ai corpi dei deceduti, attesi a Gaza per la sepoltura.

«Le ragioni di sicurezza sono il pretesto per attuare una forma di punizione collettiva che mira a colpire la popolazione civile di Gaza e non certo i responsabili dell'attacco del 12 dicembre», ha commentato Raja Surani, direttore del Centro per i diritti umani. Chi è entrato a Gaza, transitando per Rafah, sa bene il dramma che vivono i palestinesi. Si tratta peraltro di persone che in maggioranza si sono recate in Egitto per motivi di salute, spesso anziani che negli ospedali del Cairo si sono sottoposti ad interventi di bypass o di sostituzione di valvole cardiache, ancora oggi impossibili da effettuare a Gaza. Le code sono lunghissime, spesso le guardie di frontiera israeliane consentono (dopo ore di attesa in autobus malandati che d'estate assomigliano a forni su quattro ruote) il passaggio giornaliero a non più di 150-200. Bastano due-tre giorni di chiusura per provocare il caos. Eppure mai negli ultimi due anni la situazione al valico di Rafah si era fatta così grave.

Lutfi Beldjelti, un funzionario dell'ufficio del Cairo dell'Alto Commissario dell'Onu per i profughi (Unhcr), la scorsa settimana ha visitato il punto di frontiera per accertarsi delle condizioni dei tanti in attesa e ha scoperto che anche le autorità egiziane contribuiscono ad aggravare la situazione. Almeno 23 palestinesi in attesa sono stati ammoniti dal lasciare il valico per raggiungere i centri abitati vicini. La decisione sarebbe stata presa per non meglio precisati «motivi di sicurezza». Persino al personale delle Nazioni Unite sarebbe stato vietato di avvicinarli. «Stiamo cercando di fare il possibile per ridurre i disagi, ma il nostro mandato è limitato e tanti non hanno ancora ricevuto alcun tipo di assistenza», ha affermato Beldjelti.

La tragedia di Rafah è aggravata dall'imminenza della festa islamica del sacrificio (Al-Adha), che chiude il periodo del pellegrinaggio alla Mecca. In questi giorni i musulmani rientrano a casa per celebrare la ricorrenza in famiglia ma per coloro che sono fermi al valico tra Gaza ed Egitto le pene non sono finite. «Ero andata al Cairo per un seminario di medicina di quattro giorni. Ora sono ferma qui da quasi 40», ha riferito Wisam Abu Shariya, una pediatra che alloggia in una pensione nei pressi del confine. Si considera fortunata. «Almeno ho i soldi per pagare la mia stanza e sfamarmi, tanti altri vivono di elemosina e di qualche genere di conforto portato dalle organizzazioni umanitarie», ha aggiunto. La sua compagna di viaggio, Manal Muhsin, una impiegata del ministero palestinese dell'ambiente, è depressa. «Ci sono migliaia di persone in attesa, il giorno che riaprirà il valico ci vorranno settimane prima che tutti possano rientrare a casa», ha spiegato aggiungendo di essere in pena per i figli affidati ai nonni. Le autorità militari israeliane non hanno ancora comunicato quando riapriranno il valico e continuano a ripetere che «la colpa è solo dei terroristi» responsabili dell'attacco del 12 dicembre. L'Egitto intanto tace.
L'articolo di Giorgio riporta come certo un dato (quello sui "sette morti") non verificato e di parte, e, contro l'evidenza, nega che il blocco di Rafah sia stato posto per motivi di sicurezza.
La maggiore scorrettezza è però nell'impaginazione. L'articolo di Giorgio, che non fa cenno dell'attentato suicida vicino a Gush Katif, occupa 4 colonne, ha un titolo in grassetto a caratteri medi.
A fianco una colonna firmata da Michelangelo Cocco con il titolo, a caratteri più piccoli e più tenui "Gaza, arriva il raìs ma Hamas fa esplodere un uomo-bomba. Si tratta una difficile tregua".
Il titolo stesso è insensato: non si parla dei feriti (uno dei quali è morto), nè di attentati, ma di "uomini-bomba" che "esplodono".
Nell'articolo i terroristi sono definiti "combattenti", gli israeliani sono dipinti come sanguinari che ritengono un risultato "lusinghiero" la morte di 108 "palestinesi" (in un'operazione antiterroristica nella quale la maggior parte dei morti erano appunto terroristi, non semplici "palestinesi")e l'ultima parola spetta ad Hamas.
Va comunque rilevato, e non è un buon segno a proposito della correttezza e attenzione degli altri, che IL MANIFESTO è l'unico quotidiano a riportare la notizia della morte cerebrale di Ella Abukasis, la 17enne israeliana colpita da un razzo qassam.
Ecco l'articolo:

È iniziata male la missione del presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, giunto ieri pomeriggio a Gaza per incontrare le organizzazioni della guerriglia, Hamas e Jihad anzitutto, e convincerle a sospendere gli attacchi contro Israele e le colonie ebraiche. Poche ore dopo l'arrivo del nuovo raìs, un attentatore suicida si è fatto saltare in aria nei pressi di una postazione dell'esercito a Gush Katif, il blocco di insediamenti a sud di Gaza, ferendo otto israeliani, uno in maniera grave. L'esplosione è stata rivendicata da Hamas, il gruppo che, più degli altri, si mostra refrattario ad accettare la tregua che Abu Mazen vorrebbe proclamare. E mentre i medici hanno fatto sapere che Ella Abukasis, la 17enne colpita sabato scorso a Sderot da un razzo Qassam, è in stato di morte cerebrale, centinaia di persone hanno marciato ieri dalla cittadina israeliana verso la vicinissima Beit Hanun per protestare contro «l'icapacità» di proteggerli da parte del governo Sharon. Tra i manifestanti, che portavano cartelli con su scritto «Basta giocare con le nostre vite», anche l'ex leader laburista Amran Mitzna. Abu Mazen parlerà oggi con i leader di Hamas e Jihad, ma sembra schiacciato tra gli islamici da un lato e, dall'altro, il governo israeliano. Anche se dall'esecutivo di unità nazionale Likud-laburisti-Utj arrivano voci che parlano di «concedere del tempo» ad Abu Mazen per convincere i combattenti a far tacere le armi, ieri il quotidiano israeliano Ha'aretz ha rivelato che Sharon sarebbe pronto a lanciare contro la Striscia un'invasione militare sul modello di «Scudo difensivo», l'operazione che nel marzo-aprile 2002 culminò con la rioccupazione delle principali città palestinesi. Ieri anche Sharon si è recato a Gaza e al valico di Erez, dove ha incontrato i comandanti locali dell'esercito, oltre al ministro della difesa Shaul Mofaz e al capo di stato maggiore dell'esercito Moshe Yaalon. E proprio quest'ultimo avrebbe dato ordine di preparare i piani per l'invasione.

Ma una grande operazione contro i Qassam (caduti anche ieri sulle colonie di Gush Katif, senza provocare feriti) c'è già stata in ottobre, quando l'esercito, nel campo profughi di Jabaliya e zone limitrofe, produsse il «lusinghiero» risultato di 108 palestinesi ammazzati in un paio di settimane. Ieri Yediot Ahronot, il quotidiano più venduto in Israele, ha scritto che in questo momento nessuno, né i militari né i politici israeliani, vuole davvero una soluzione di questo genere e tutti sono d'accordo nel «dare una possibilità» ad Abu Mazen. Quest'ultimo si è detto «fiducioso di raggiungere un accordo», mentre il capo della sicurezza, Bashir Nafe, ha spiegato: «Le istruzioni sono chiare, le armi che non appartengono alla polizia palestinese sono illegali. Dovunque troveremo armi illegali le sequestreremo», ha dichiarato Nafe alla Reuters. Ma Mushir al Masri, portavoce di Hamas, ha fatto sapere attraverso la France presse che «chiederemo spiegazioni ad Abu Mazen sulla sua richiesta di fermare gli attacchi e gli confermeremo il nostro rifiuto». E Mohamed al Hindi, del Jihad islami: «confermeremo il nostro diritto alla resistenza».
Questa disinformazione realizzata attraverso il diverso rilievo dato alle notizie, che permette di occultare discretamante la realtà della violenza palestinese, è stata di recente piuttosto frequente sulle pagine del quotidiano comunista.
Se venerdì 14 gennaio, a fronte di una pagina dedicata a una "testimionianza" di Luisa Morgantini, soltanto poche righe erano dedicate all'attentato al valico di Karni ( vedi L'attentato al valico di Karni non è mai avvenuto, i soldati israeliani sono criminali, Informazione Corretta 14-01-05) , sabato 15, dopo il rifiuto di Sharon di incontrare Abu Mazen, a pagina 9 comparivano a tutta pagina un articolo intitolato "Sharon silura Abu Mazen" e un'analisi di Luciana Castellina, "La falsa euforia, la cruda realtà", basata sull'assunto completamente falso che Israele aggredisca i palestinesi con le sue "incursioni" nei territori occupati, in realtà risposte al terrorismo.
Così le scelte israeliane apparivano svincolate dalla violenza palestinese che le aveva precedute e determinate.
Sabato 16, analogamente la risposta israeliana al lancio di missili qassam è definita "strage" in un articolo a tutta pagina intitolato "Abu Mazen giura, esordio con strage".
Martedì 18 sono le dichiarazioni dei dirigenti palestinesi a far sì che i razzi qassam compaiano in un titolo: «Basta razzi. I combattenti entrino nella sicurezza» , mentre la risposta israeliana agli attacchi degli Hezbollah diviene un bombardamento immotivato: "Israele colpisce il Libano del sud".

Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione del Manifesto. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.

redazione@ilmanifesto.it