Dialogo a rischio a causa del terrore
l'analisi di Fiamma Nirenstein
Testata: La Stampa
Data: 17/01/2005
Pagina: 9
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: I destini intrecciati dei due ex nemici
LA STAMPA di lunedì 17 gennaio 2005 pubblica un'analisi di Fiamma Nirenstein sul dialogo israelo-palestinese e sulle conseguenze dell'attentato a Karni.
Ecco l'articolo:

E’ proprio destino che lo scontro continui? Il mondo deve già riporre le fragili speranze di sicurezza sollevate dalle ordinate e dignitose elezioni palestinesi di un leader che ha detto e ripete che è ora di porre fine alla violenza e di sedersi al tavolo delle trattative? Dopo l’attacco terrorista al passaggio di Karni, a Gaza, che è costato la vita a sei israeliani, e la continua pioggia di kassam sugli insediamenti e sulla città di Sderot (dentro la Linea Verde) che ha colpito tre ragazzi dai 7 ai 17 anni, e vari agguati ai soldati, tutto il consenso internazionale è scosso da due fatti: questa raffica di attacchi ha avuto luogo disattendendo le promesse di Abu Mazen, e Ariel Sharon ha reagito subito: «Il dialogo è rimandato».
Ma a ben vedere, le cose fino ad ora non potevano andare diversamente. Abu Mazen - oggi in visita a Gaza - benché la sua scelta strategica, che gli consente di affermare il suo potere e di cercarsi un angolo nella Storia, sia quella di fermare il terrorismo, pure ha scelto per farlo una strategia di convinzione, di spartizione del potere con i gruppi estremisti il cui esito è ancora incerto. Con le brigate di Al-Aqsa, salvo che con alcune schegge irriducibili, il nuovo presidente ha stretto l’accordo che a loro interessa. Esso consiste in finanziamenti, nell’inglobare le loro nomenklature e i giovani nei servizi di sicurezza, nel giungere a un accordo prima di ogni trattativa territoriale per la liberazione dei prigionieri e la cessazione della caccia ai latitanti. Non tutti sono d’accordo: ma a Jenin, Nablus in Cisgiordania, e Rafah a Gaza, hanno dimostrato grande supporto durante la campagna elettorale del nuovo Raiss. Hamas invece vuole far pagare cara la sua hudna, la tregua, intanto perché alle ultime elezioni locali si è convinta di avere il 50% dei consensi, e poi vuole che il prossimo ritiro da Gaza abbia l’apparenza di una fuga israeliana nello stile del Libano, dove gli hezbollah si vantano di aver cacciato a calci gli israeliani. E qui viene la posizione del primo ministro d’Israele: Sharon ha varato un governo di coalizione proprio per portare a termine il piano dello sgombero, e l’ostilità che lo circonda si può descrivere solo con un aggettivo: micidiale. La destra lo accusa di essere un traditore e un venduto, e il premier non può assolutamente permettersi, pena il crollo della sua intera legittimità politica, di essere un fuscello in balia del terrorismo. Dopo tutto la sua vera forza di fronte al Paese, l’elemento identitario fondamentale che lo tiene connesso al suo elettorato, ma anche di fronte al nuovo governo, è quello del leader che ha saputo combattere il terrorismo fino a ridurlo almeno dell’80%, salvando donne e bambini che prima venivano inceneriti sugli autobus. Sharon non vuole scappare da Gaza di fronte a un attacco terrorista massivo. Non ha rinunciato a stringere la mano ad Abu Mazen, ma la sua unica possibilità di farlo in modo da non apparire identico a quei laburisti che ha appena introdotto nel governo è quello di stabilire un principio fondamentale: mano tesa, ma lotta al terrorismo.
Abu Mazen soprattutto - dato che i terroristi sono entrati a Karni col permesso delle sue forze di polizia - deve, secondo Sharon, compiere un gesto, un arresto, un’indicazione chiara di responsabilità e non soltanto una generica condanna del terrore di cui era campione, dopo ogni attentato, anche Yasser Arafat. Abu Mazen ieri ha ordinato un’inchiesta giudiziaria sull’attacco e di certo oggi nelle sua visita a Gaza non ha portato a Hamas e alla jihad islamica un mazzo di rose.
Per lui, dopo l’ultimo attentato, stringere la famosa hudna è diventato più difficile, e per farlo certamente userà anche mezzi molto decisi. Ne va della sua credibilità che perde la sua lucentezza iniziale; Mohamed Dahlan che Gaza conosce bene, è il suo uomo della sicurezza - una sicurezza che conta su ben 50.000 uomini -, non è un tipo tenero e intorno a lui si dice: aspettate e vedrete. Jibril Rajoub, l’altro pilastro della sicurezza palestinese indica come nuova strada la nomina di comandanti protempore, giovani che abbiano su di sé il compito di fermare il terrorismo per non più di tre mesi, con un ricambio immediato.
Intanto nell’ufficio di Sharon i suoi alter ego Dov Weisglass e Shalom Turgeman lavorano a due possibilità. Un incontro alla fine del mese, oppure solo dopo la conferenza di Londra, a marzo.
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