Antisemitismo, Chiesa cattolica ed ebrei: in chiusura di una polemica
l'intervento di Giorgio Israel
Testata: Il Foglio
Data: 14/01/2005
Pagina: 2
Autore: Giorgio Israel
Titolo: Ebrei ecattolici smettano di ferirsi a colpi di passato
A pagina 2 il FOGLIO di venerdì 14 gennaio 2005 pubblica un intervento di Giorgio Israel che, con equilibrio e chiarezza, fa il punto sulla polemica sull' antisemitismo e la Chiesa cattolica aperta dalla pubblicazione sul CORRIERE DELLA SERA di nuovi documenti relativi al pontificato Pio XII.
Quando una convergenza imponente di forze ha bloccato la menzione delle radici "giudaico-cristiane" dell’Europa – o soltanto "cristiane", questo punto è restato nel vago – non pochi hanno visto in questo un sintomo che il continente non trova più ragioni fondanti nel proprio passato e sta perdendo il senso della propria identità e il ricordo dei propri migliori valori. E tutto ciò in nome di un laicismo che ben poco ha a che fare con la laicità dell’Illuminismo, una filosofia per certi versi ingenua, ma il cui razionalismo era anzitutto fondato su valori, anche etici, e non sul cinismo del relativismo postmoderno. Difatti, il razionalismo illuminista è innanzitutto umanista e un abisso lo separa dall’idea di una società frammentata e divisa in segmenti comunitari, che oggi è dilagante anche nel postcomunismo. Da questa constatazione – confermata da molteplici fatti, fra cui è di particolare rilevanza il diffondersi di un atteggiamento meramente scientista ed edonista sul tema delle biotecnologie della vita – si è sviluppato il tentativo di riaffermare i valori fondanti della società europea, riscoprendoli nelle sue migliori radici storiche, come unico antidoto a una progressiva disgregazione morale e politica del continente, anche di fronte all’aggressione dell’integralismo islamico. Naturalmente, la riscoperta delle "radici" è una cosa delicata: essa non coincide con l’analisi storica, bensì deve ricorrere all’analisi storica per selezionare ciò che di positivo, di vitale, di fertile noi possediamo nella storia d’Europa e che può servire a ricostruirne i valori per il futuro. Per il futuro, per l’appunto. E quindi occorre volgersi con un occhio selettivo alla storia passata per proiettarsi verso il futuro. La storia d’Europa è stata anche la notte di San Bartolomeo, la Santa Inquisizione, il nazifascismo, il comunismo e la Shoah: non sono certamente questi i valori fondanti, le "radici" di cui abbiamo bisogno. Prendiamo come esempio la straordinaria lezione che ci ha lasciato Edmund Husserl.
Di fronte a un’Europa ormai quasi totalmente in preda alla barbarie, egli evocava tristemente lo spirito razionalista e ottimista che prorompeva dallo "splendido inno "Alla gioia" di Schiller e Beethoven", osservando che "oggigiorno quest’inno non può che suscitare in noi dolorosi sentimenti. E’ impensabile un contrasto maggiore con la nostra attuale situazione". Ed egli descriveva con queste parole il compito che era davanti, con parole che appaiono di straordinaria attualità: "La crisi dell’esistenza europea ha solo due sbocchi: il tramonto dell’Europa, nell’estraniazione rispetto al senso razionale della propria vita, la caduta nell’ostilità allo spirito e nella barbarie, oppure la rinascita dell’Europa dallo spirito della filosofia, attraverso un eroismo della ragione capace di superare definitivamente il naturalismo. Il maggior pericolo dell’Europa è la stanchezza. Combattiamo contro questo pericolo estremo, in quanto "buoni europei", in quella vigorosa disposizione d’animo che non teme nemmeno una lotta destinata a durare in eterno; allora dall’incendio distruttore dell’incredulità, dal fuoco soffocato della disperazione per la missione dell’Occidente, dalla cenere della grande stanchezza, rinascerà la fenice di una nuova interiorità di vita e di una nuova spiritualità…". Per Husserl, la realizzazione di questa missione, che per lui era essenzialmente filosofica, non si realizzava ritornando indietro, ma rivisitando i grandi fondamenti del progetto filosofico europeo per trarne gli elementi al fine di andare avanti, ripensando da cima a fondo e rifondando quel progetto, emendandolo dagli errori che l’avevano condotto in una "impasse". Torniamo sulla terra, alle nostre cose più modeste, ma comunque importanti. E chiediamoci come vada visto, per l’oggi e per il domani, il famoso tema delle "radici giudaico-cristiane" (vi sarebbe poi da parlare di quelle greco-latine, che di certo non sono meno importanti…). Anche qui, e soprattutto qui, la storia ci offre luci e ombre. Le ombre le conosciamo benissimo: sono quelle di un antisemitismo cristiano secolare, basato su un progetto di estinzione del "corpo condannato" dell’ebraismo, e che si è articolato in una vastissima serie di manifestazioni, dalle forme di ostilità meno cruente, fino a vere e proprie pratiche di sterminio di massa. Non sono certamente queste le radici che ci interessano! Lasciamo agli storici il compito di approfondirne l’analisi e, assumendo le nostre lenti di storici unilaterali – poiché miriamo a un’operazione di ricostruzione e rifondazione – ricerchiamo, sezioniamo ed estraiamo la parte migliore, la più vitale, quella che ha contribuito alla grandezza della civiltà europea. Non è un’operazione di falsificazione storica, perché ricercheremo elementi autentici, ma è selettiva perché rivolta alla costruzione del futuro. Di certo, il materiale non ci mancherà, e non può essere certamente compito di un articolo come questo fornirne un quadro. Basterebbe pensare ai temi del messianismo e della redenzione – che sono stati fonte di massimo contrasto fra ebraismo e cristianesimo, ma anche di un fertilissimo sviluppo di idee – per capire quanto vi sia da ripensare e da riscoprire: perché questi temi
hanno contribuito alla formazione del pensiero politico europeo moderno. Su queste pagine, poco tempo fa, ho tentato di dare un piccolissimo contributo alla rilettura di un testo celebre della letteratura
europea, "Il Mercante di Venezia" di Shakespeare, con l’intento determinato di uscire dalle consuete secche dei temi dell’antisemitismo cristiano, e riscoprire invece quanto in quell’opera sia presente un influsso profondamente ebraico, nel quadro di una dialettica ebraico-cristiana che ci riporta alle grandi visioni dell’Umanesimo e del Rinascimento, che seppero così apertamente integrare il contributo del misticismo ebraico. Era un modestissimo sforzo nella direzione sopra descritta: selezionare nel nostro passato quanto di meglio può ricostruire i valori che soltanto possono dare senso al futuro. Scendiamo ancora di parecchi gradini e guardiamo al dibattito che si è aperto sul documento concernente i bimbi ebrei salvati dalla Chiesa – dibattito che si è rapidamente spostato dal tema specifico per riaprire la dolorosa questione dell’atteggiamento della Chiesa nei confronti degli ebrei, e di qui il problema generale dell’antisemitismo. Che cosa avrebbe suggerito equilibrio e prudenza? Consegnare l’analisi e la valutazione di quel documento agli storici professionali, anziché a una polemica giornalistica, riservare a riviste specializzate e a libri lo studio della sua portata e confrontare in queste sede, s possibile pacatamente, le diverse conclusioni interpretative. E invece no. Da un lato, vi è stato chi ha subito usato il documento – prima ancora di conoscerne esattamente l’autore e il testo – per riaprire la stucchevole questione del processo a Pio XII, per giunta sempre stucchevolmente imbastito sulla questione dei "silenzi", sulla quale forse tanto è stato detto che non c’è quasi più nulla da dire. D’altro lato, c’è chi avventatamente ha creduto di dover rispondere a questi eccessi riaprendo un discorso globale sull’antisemitismo che, anch’esso, avendo dietro migliaia di pagine di analisi storiografiche non
si risolve, né in un senso né in un altro, con sentenze stereotipate. Tanto più se il fine è quello di giustificare, di elevare una barriera assolutamente impenetrabile fra antisemitismo nazista e Shoah, e tutte le altre forme di antisemitismo, soprattutto quello cristiano, magari inventando per ciascuna di esse nomi "ad hoc". Chi scrive ha ripetutamente sostenuto – in un libro e sulle pagine di questo giornale – che l’idea dell’assoluta unicità della Shoah sia perniciosa: è una tesi non facile da sostenere per un ebreo… Ma no, non si vuole sentire da questo orecchio: anche per chi ha poca o nessuna simpatia per gli ebrei, la Shoah deve diventare un totem, un assoluto, un inspiegabile, un mistero mistico. Ed è chiaro ormai perché. Perché è diventato il "passepartout" per ogni tipo di operazione. Se la Shoah è il delitto più efferato della storia, allora ognuno vorrà essere vittima di una Shoah: ormai in ogni angolo spuntano Shoah come funghi. Poi si scopre un argomento meraviglioso: quel che fanno gli ebrei ai palestinesi è una Shoah, e quindi le vittime sono diventate i carnefici della peggior specie. Ancora: siccome la Shoah è il male supremo e incomparabile, i delitti del comunismo sono poca cosa al suo confronto. E quindi, assoluzione del comunismo. E adesso: siccome la Shoah è il male supremo e incomparabile, i misfatti cristiani nei confronti degli ebrei sono cosa molto minore, anzi minima. E quindi, assoluzione o minimizzazione dell’antisemitismo cristiano. Peggio. L’ultimo articolo relativo a questo dibattito sul Corriere della Sera è stato intitolato incredibilmente: "Non giudicate Pio XII, era figlio del suo tempo". Certo. Ma anche Hitler e Stalin erano figli del loro tempo, e che figli! Di certo, sono stati interpreti del loro tempo molto più di Pio XII. E perché mai certi figli del loro tempo possono essere giudicati e altri ne sono esentati? A che punto è arrivato il nostro relativismo morale, o il nostro opportunismo, per consentirsi simili affronti all’intelligenza e alla morale? A questo punto si impone la domanda: è così che si spera di costruire qualcosa di positivo e di costruttivo e di rivalutare le famose
"radici giudaico-cristiane"? Circa un contributo positivo degli ebrei in questa direzione, è giusto chiedere il massimo: che non si attardino a far pesare continuamente il passato sul presente. Ma anche il mondo cattolico deve fare la sua parte e senza avarizie. Chieda pure al mondo ebraico il massimo di cui si diceva sopra. Ma non ecceda: non soltanto non volendo dare nulla in cambio, ma volendo pure togliere, negando o minimizzando il passato. Si consegnino certe questioni all’analisi storiografica e si guardi soprattutto in avanti: ma questo fair play non può essere unilaterale, anche perché le parti in commedia (o tragedia) non sono affatto su un piede di parità. Ma il punto decisivo è un altro. Non ci si
rende conto che così facendo il passato ci afferrerà per i piedi senza fine? I cattolici italiani dovrebbero chiedersi con coraggio se desiderano guardare al futuro della loro fede e del loro ruolo nella società e nella costruzione dell’Europa, o illudersi che tale futuro consista nell’arroccarsi su una difesa accanita del passato, su un giustificazionismo storicamente e moralmente insostenibile. Perché in tal caso – anche ove si trattasse soltanto di radici "cristiane", lasciando cadere quelle "giudaiche" – tale futuro consisterà in un irrimediabile declino. Ma si può credere davvero che la rivalutazione delle "radici cristiane" possa consistere nella difesa ostinata del Papa-Re e delle sue miserabili mene attorno
al caso Mortara? Che possa consistere nel giustificare la calorosa acquiescenza di Pio XII di fronte alle leggi razziali fasciste, cavillando sul fatto che quelle leggi razziali non erano la Shoah, oppure parlando di "figli del loro tempo"? Che si possa addirittura sostenere che i ghetti erano un modo per proteggere gli ebrei dall’odio esterno? Ebbene, non sarà davvero la nostalgia per un conservatorismo da sagrestia gretto stantìo che offrirà un futuro al ruolo del mondo cattolico nella costruzione europea, e questo indipendentemente dalle questioni di schieramento politico. Non meno sintomatico di questa arretratezza, di questo guardare indietro, è il discorso che da taluni viene fatto circa l’affermazione
dei valori liberali guardando Croce e al suo celebre "perché non possiamo non dirci cristiani". Perché, in Croce, quell’affermazione si accompagnava all’idea che la componente ebraica fosse soltanto un relitto inutile, uno scoglio che resisteva ai flutti della storia senza avere peraltro alcuna funzione, insomma un "corpo condannato". A questa affermazione – plateale manifestazione della sua incomprensione assoluta della storia d’Europa – egli accompagnava il tristo invito agli ebre convertirsi, anche per non dare pretesto sic) a nuove persecuzioni. Ma davvero abbiamo bisogno oggi di questo mediocre liberalismo "cristiano"? Abbiamo davvero bisogno di questo impasto di idealismo assoluto e di diffidenza antiebraica, mutuata dall’antisemitismo cristiano? Un singolare liberalismo davvero, che sarebbe bene gettarsi alle spalle. Per tornare alle "radici ebraico-cristiane", e su queste concludere, ricordiamo quanto è scritto nel documento della Pontificia Commissione Biblica su "Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana", in cui si legge che "senza l’Antico Testamento, il Nuovo Testamento sarebbe un libro indecifrabile, una pianta privata delle sue radici e destinata a seccarsi". E aggiunge il Cardinale Ratzinger nell’Introduzione: "Un congedo dei cristiani dall’Antico Testamento avrebbe la conseguenza di dissolvere lo stesso cristianesimo". Non sembra che siano ancora in molti ad aver compreso questo ammonimento l’implicito invito a guardare al futuro, lasciandosi alle spalle il peggio dei rapporti giudaico-cristiani. Ed è per questo che si spiega il diverso rapporto del mondo ebraico con il mondo cristiano negli Stati Uniti pur senza mitizzare nulla – e che, come taluno ha giustamente osservato, spiega la difficoltà a recuperare la tematica delle radici giudaico-cristiane nel nostro contesto. Perché è assai meno diffusa l’idea cattolica tradizionale che l’ebraismo sia un "corpo condannato". Se questa idea venisse abbandonata, perderebbero senso di colpo tutti i tentativi – strumentali, come mostra la loro inconsistenza storica – di giustificare l’antisemitismo passato della Chiesa, il quale aveva quell’idea come concetto fondante. Se, viceversa, si vorrà continuare con queste forme di giustificazione e di negazionismo, per gli ebrei sarà più o meno la solita vitaccia. Per i cattolici italiani (ed europei) significherà soltanto restare prigionieri degli "zombie" del loro passato.
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