Palestina con molti stereotipi
un intervento della parlamentare europea Pasqualina Napoletano
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Data: 13/01/2005
Pagina: 1
Autore: Pasqualina Napoletano
Titolo: Palestina senza stereotipi
Sull’Unità di oggi, 13-01-05, interviene, ancora a proposito delle elezioni palestinesi Pasqualina Napoletano, vicepresidente del Pse al parlamento europeo.Il giudizio positivo che la parlamentare europea manifesta per il risultato e il valore di quest’ ultime potrebbe essere condivisibile, (anche se le reali intenzioni della dirigenza palestinese andranno verificate) ma il proseguio dell’articolo si rivela essere un elogio acritico sia dei palestinesi sia dell’approccio dell’Unione Europea al conflitto. La Napoletano considera le elezioni un punto di continuità tra il prima e il dopo Arafat non riuscendo a vedere come invece questo sia stato di fatto il dittatore che ha impedito, fino alla morte, una qualsivoglia sorta di democraticità all’interno della società palestinese. Dopo la celebrazione della società palestinese, con il corollario della condanna all’occupazione militare e al " Muro" di Israele, la parlamentare europea elogia le iniziative economiche dell’Unione in favore dei palestinesi, soldi la cui destinazione effettiva non è mai stata sotto il controllo dei donatori e che hanno negli ultimi anni rimpinguato le finanze di gruppi terroristici come Hamas. Un po’ troppo per intitolare un articolo "Palestina senza stereotipi".
Ecco il testo:

A tre giorni dal voto in Palestina che ha consentito di registrare giudizi molto soddisfacenti da tutte le parti vorrei offrire un'altro punto di vista come uno degli elementi di valutazione delle elezioni: la riscoperta di una società palestinese aperta e dinamica, animata da una forte volontà democratica e civile.
Essa infatti, come tutto il mondo arabo, di solito non desta grande interesse neanche da parte dei commentatori e soffre di rappresentazioni stereotipate, quando non è assimilata tout-court al terrorismo.
Al contrario essa è molto complessa, attraversata da grandi diversità, sia nelle condizioni di vita che nelle aspirazioni e nelle sue stesse inquietudini.
La morte di Yasser Arafat in un momento così pieno di incertezze e di frustrazioni avrebbe potuto aumentarne le divisioni e lo smarrimento. Essa invece ha saputo rispondere positivamente alla possibilità che le veniva offerta di affidarsi ad un processo democratico per scegliere la leadership dell'Autorità palestinese, accettando una sfida difficile, che è stata vinta poichè queste elezioni non possono essere paragonate a quelle che nel 1996 portarono al grande plebiscito su Arafat.
Il valore di questa scelta è ancora più grande se si pensa che questa società vive sotto una occupazione militare, aggravata oggi dalle conseguenze della costruzione del Muro e dalla colonizzazione che non si arresta. Inoltre in tutto il mondo arabo è pressoché impossibile trovare un'esperienza che si avvicini quanto a democrazia, pluralismo e trasparenza al processo elettorale messo in atto dai Palestinesi.
La natura del pluralismo politico, segnalato soprattutto dalle candidature di Mohammed Abbas e di Mustafa Barghouti è anch'essa interessante, perché sfugge alla classica rappresentazione che vuole due poli contrapposti: il filogovernativismo burocratico di Fatah contro l'estremismo fondamentalista e fanatico di Hamas e Jihad.
Se tutto questo non viene dal nulla bisogna dare atto alla società palestinese di un dinamismo e di una maturità che è stata ampiamente sottovalutata. Le donne, poi, sono state la vera novità di questa elezione. Tra i responsabili dei seggi, erano la maggioranza, la parte più competente ed attenta. Ho poi incontrato solo studentesse nei seggi speciali predisposti dall'università palestinese di Bir Zeit per gli exit poll (prima esperienza che mi è capitata di vedere in un paese arabo). Molte poi sono state le elettrici, la maggior parte delle quali, con tutta evidenza, votavano senza il condizionamento dei padri, dei mariti, dei fratelli e dei fidanzati, anche perché il più delle volte si recavano ai seggi da sole o con altre donne.
C'è anche da dire che la maggior parte di loro era velata, a dimostrazione che, in certe condizioni, anche il velo può far parte di una scelta autonoma e personale che di per sé non vuol dire sottomissione. Questi gli elementi più rilevanti, in un quadro che, ovviamente, ha dimostrato anche difficoltà e limiti, sia politici che organizzativi, quali la possibilità di esercitare il diritto di voto per i Palestinesi di Gerusalemme Est e la complicata organizzazione delle liste elettorali che ha creato qualche confusione soprattutto nei cosiddetti seggi speciali.
Da parte israeliana, l'impegno a non interferire nel processo elettorale si è tramutato in un comportamento molto discreto dell'esercito, soprattutto a Gerusalemme, in un alleggerimento dei controlli ai check point; e non vi è dubbio che tutto questo abbia contribuito a quel clima di generale tranquillità che tutti gli osservatori hanno potuto registrare.
Se il grande merito di tutto questo è dei Palestinesi, è anche bene che si sappia che c'è chi ha creduto in questo processo e lo ha sostenuto più di altri, sia politicamente che finanziariamente, e questo qualcuno si chiama Unione Europea.
Il tema è ora se e come tutto cio' potrà influire nella soluzione del conflitto e sugli orientamenti dell'amministrazione Bush da una parte e del nuovo governo Sharon- Peres dall'altra. Sarebbe ben strano che Mohammed Abbas non dovesse ottenere niente di più di quanto concesso ad Arafat, considerato dagli israaeliani un ostacolo sulla via della pace.
Volendo terminare con una nota positiva, voglio ricordare gli argomenti di Romano Prodi quando, in polemica con la guerra preventiva, sostenne che l'Europa ha dimostrato di saper esportare la democrazia senza eserciti nel grande processo di evoluzione democratica dell'Est Europa. E allora, perché non cimentarsi allo stesso modo con la dimensione mediorientale e mediterranea? Da questo punto di vista i risultati del voto in Palestina costituiscono un'opportunità davvero incoraggiante per una manifestazione più incisiva del ruolo europeo.
Vicepresidente del Gruppo PSE al Parlamento Europeo
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