Contrasti e cambiamenti nella politica interna israeliana
la cronaca di Fiamma Nirenstein
Testata: La Stampa
Data: 13/01/2005
Pagina: 8
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: Referendum su Gaza o rovesceremo Sharon
LA STAMPA di giovedì 13 gennaio 2005 pubblica un articolo di Fiamma Nirenstein sulla politica interna israeliana.
Ecco il testo:

Alla prima prova il nuovo governo di Sharon ce l’ha fatta, ma tutti sanno che è una tregua che somiglia a una trappola: il Parlamento israeliano, la Knesset, ha approvato con 64 voti contro 53 la prima lettura del bilancio, evitando così non solo una immediata crisi, ma anche la spaccatura definitiva del Likud. Tutta la questione, ha pochissimo a che fare con i conti in rosso dello stato d’Israele e la controversa politica di risanamento di Bibi Netanyahu, ma riguarda invece (specialmente dopo l’elezione di Abu Mazen a presidente dell’Autonomia Palestinese e l’ingresso di Shimon Peres con i suoi laburisti nel governo) lo sgombero da Gaza e parte della Cisgiordania. Sharon ne ha fatto il suo primo e quasi unico obiettivo, e per questo ha arruolato l’opposizione concedendole importanti e numerosi ministeri; il suo partito, il Likud, è però spaccato in profondità su questa prospettiva, e gli fa una guerra senza quartiere pungolato dai partiti di estrema destra. Lo scopo dei «ribelli» è costringere Sharon a fare marcia indietro sullo sgombero, e in una prima fase ottenere che venga indetto il referendum: lunedì, in occasione della fiducia, votarono addirittura in tredici del Likud contro il loro stesso nuovo governo. La nuova coalizione ha preso così solo 58 voti contro 56. Adesso, non è che i ribelli abbiano rinunciato alla loro battaglia: guidati dall’astuto e duro Uzi Landau e sostenuti di nascosto da Bibi Netanyahu, che pure li ha dissuasi uno a uno per telefono dal far cadere il governo il giorno dopo che era entrato in carica, sono pronti a agire nel giorno della seconda e della terza lettura, e hanno detto chiaro che se Sharon non decide per il referendum, la sorte sua e di Peres è chiudere bottega.
Sharon però sta lavorando a due possibilità: la prima è quella delle elezioni anticipate, col rischio che il Likud scelga, a causa di strani equilibri interni nel Comitato centrale, un altro candidato. La seconda quella dell’allargamento del governo a un altro partito ultraortodosso oltre a quello, già dentro, dell’Unità ebraica della Torah: Shas. Sharon già ieri ha cercato Eli Yishai, il Segretario del partito, per un incontro che si svolgerà oggi. Il dilemma è molto delicato: Shas ha ricevuto da Ovadia Yossef, il suo Grande rabbino, il divieto di far parte di un governo che avrebbe ceduto la terra unilateralmente tramite lo sgombero, come previsto. Infatti, ha ponderato secondo criteri religiosi il rabbino, si può cedere terra solo in cambio di pace, ovvero della salvaguardia garantita di vite umane. Adesso Sharon prometterà a Shas due cose: prima di tutto, che cercherà di gestire lo sgombero da Gaza in collaborazione con Abu Mazen e non più unilateralmente come ai tempi di Arafat. E in secondo luogo, che le grosse concessioni economiche ricevute dai religiosi ashkenaziti per convincerli a entrare al governo, si potrebbero ripetere con Shas. Insomma, Sharon cerca di portare almeno una parte dei partiti religiosi dall’escatologia alla dimensione civile, che non è poca cosa.
La realtà è che la ribellione politica (quella sociale è ovviamente fra i coloni e gli obiettori nell’esercito) cova soprattutto nello stesso partito di Sharon, che ormai lo accusa in maniera ossessiva ed eccitata di essere un traditore e un leader antidemocratico perché non vuole andare al referendum sul ritiro e ha tradito le aspettative del suo stesso elettorato.
Sharon deve così fare i conti con una quantità di terribili ostacoli sulla strada della sua linea morbida: basta pensare che ieri proprio a Gaza, Gideon Rivlin, un coltivatore diretto cinquantenne padre di cinque figli, è stato ucciso da una bomba piazzata dalla Jihad Islamica in un tunnerl: un’azione certo di cattivo auspicio, come i lanci di razzi Qassam che proseguono, per lo sgombero. Tuttavia, una rivoluzione micidiale è iniziata nella politica israeliana: Sharon è di fatto il capo di uno schieramento vasto e variegato che guarda alla politica, alla sicurezza, all’economia, mentre si configura un’opposizione soprattutto di destra ma anche di estrema sinistra, ambedue con caratteri massimalisti.
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