Per Sergio Romano Sharon è più pericoloso di Hamas
un articolo dal Corriere del Ticino
Testata:
Data: 07/01/2005
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: Per Sergio Romano Sharon è più pericoloso di Hamas
Dal sito web Notizie su Israele.Sito internet: http://www.ilvangelo.org/attinew.html


Pubblichiamo un articolo di Sergio Romano apparso sul CORRIERE DEL TICINO il 6 gennaio 2005.
Romano sostiene una tesi semplice: i rischi per la pace in Medio Oriente vengono solo dai possibili "inganni" di Sharon, al punto che non è nemmeno il caso di preoccuparsi troppo di Hamas, un'organizzazione terroristica che ha per obiettivo la distruzione di Israele.
Ricordiamo che a sostenere queste tesi è il responsabile della rubrica delle lettere, ed editorialista di punta, del CORRIERE DELLA SERA, il primo quotidiano italiano!
Ecco l'articolo:

Le elezioni palestinesi e l’incognita Sharon

di Sergio Romano

Non tutto va male in Palestina. La scomparsa di Arafat comincia a produrre qualche buon risultato. Le elezioni politiche sono molto più importanti di quanto non sarebbero state prima della sua morte. Mentre il leader era vivo, una consultazione popolare avrebbe semplicemente confermato il prestigio di cui egli godeva, nonostante tutto, nella società palestinese. Oggi sono una scelta. Lo dimostra, tra l’altro il tono della campagna elettorale di Abu Mazen, candidato di Al Fatah. Quando la scena politica palestinese era dominata dal vecchio Arafat, Abu Mazen impersonava, nella distribuzione dei ruoli, la parte del negoziatore moderato, incline alla prudenza, gradito agli americani. Oggi, per vincere, deve indurire la sua posizione e condannare aspramente, come ha fatto negli scorsi giorni, le rappresaglie israeliane. Un passo indietro nella lunga marcia verso la soluzione politica della crisi? No. Se avesse adottato un linguaggio meno bellicoso, Abu Mazen avrebbe corso il rischio di rappresentare, nella migliore delle ipotesi, soltanto una parte dell’elettorato. Se vuole vincere con una maggioranza significativa deve dare una risposta alla rabbia e all’indignazione della componente più aggressiva e militante della società palestinese. Gli israeliani che vorrebbero trattare con un leader accomodante commettono un errore. La trattativa darà qualche risultato soltanto se il presidente dell’Entità autonoma palestinese avrà la fiducia di una maggioranza trasversale in cui siano presenti, per quanto possibile, le principali tendenze del paese. Il nodo più difficile da sciogliere, in questa prospettiva, è quello di Hamas. Fondata nel 1987, all’epoca della prima Intifada, Hamas ha due volti. È un’organizzazione assistenziale che fornisce importanti servizi sociali e gode di una largo consenso, soprattutto tra le fascie più umili della popolazione. Ma ha altresì un braccio militare che ha organizzato in questi ultimi tempi centinaia di attacchi terroristici e operazioni di commando. Mentre Al Fatah, all’epoca di Arafat, poteva assumere, in alcune circostanze, posizioni concilianti, Hamas ha incarnato con estremo rigore la politica del rifiuto e dell’intransigenza. Oggi, tuttavia, sembra disposta a correggere la rotta. Ha dichiarato che intende boicottare le elezioni presidenziali, ma ha partecipato alle elezioni amministrative del 23 dicembre e ha annunciato che prenderà parte a quelle per il rinnovo del parlamento nel prossimo maggio. Secondo un commentatore israeliano del quotidiano Haaretz, questo potrebbe essere un primo passo sulla strada della trasformazione di Hamas da organizzazione combattente a partito politico. Non sarebbe, nella storia del terrorismo, la prima volta. Alcuni leader del Likud, il partito oggi al potere in Israele, provenivano dai gruppi clandestini della militanza ebraica. Uno dei maggiori partiti irlandesi, il Sinn Fein, era sino a pochi anni fa soltanto il volto politico dell’Ira, un’organizzazione combattente che ricorse frequentemente a operazioni terroristiche. Accanto a questi segnali relativamente positivi la maggiore incognita è rappresentata dalla posizione del Premier israeliano. Ariel Sharon è deciso a ritirare le truppe da Gaza e non ha esitato, per imporre la sua linea politica, a provocare la rottura del Likud. Ma la mossa potrebbe essere dettata soltanto da considerazioni tattiche e destinata in ultima analisi a consolidare la presenza israeliana in Cisgiordania, dove esistono insediamenti ebraici occupati da più di 200.000 coloni. Se è questo l’obiettivo della politica di Sharon dovremo dedurne che il Premier resta risolutamente contrario alla nascita di un vero Stato palestinese. E le schiarite di questi giorni sarebbero, in tal caso, soltanto un interludio fra due tempeste.

(Corriere del Ticino, 6 gennaio 2005)