Intervista-comizio contro Israele
ma u.d.g tenta di farla passare per corretta e imparziale
Testata:
Data: 07/01/2005
Pagina: 10
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Io canddato estraneo alla vechia nomenclatura
Umberto de Giovannangeli nell'edizione del quotidiano del 7 gennaio 2005 diretto da Furio Colombo intervista Taysir Khaled, candidato del Fdlp alle elezioni presidenziali palestinesi, che si presenta come candidato di una forza laica e progressista. Khaled, sotto questa etichetta, lancia una classica invettiva antiisraeliana. Udg, dal canto suo, non batte ciglio, anzi cerca di indirizzare l'intervistato verso temi più graditi ai lettori dell'Unità come la prospettiva di una "pace" di cui Khaled, a causa del suo suo oltranzismo, ha tuttavia un'idea poco praticabile . Udg riesce così a servire, facendola passare per corretta e imparziale, un'intervista- comizio che di seguito riportiamo.
Ramallah
«Nella società palestinese vi sono forze laiche, progressiste, che non si sentono rappresentate né dai vecchi apparati di Fatah né dall'integralismo di Hamas e della Jihad islamica. La mia candidatura risponde a un bisogno di rappresentanza e di identità che non va disperso». A parlare è Taysir Khaled, 63 anni, membro dell'Esecutivo dell'Olp, dirigente storico del Fronte democratico per la liberazione della Palestina (Fdlp), uno dei sette candidati alle elezioni presidenziali di domenica prossima. Nel 2003 è stato detenuto per diversi mesi in Israele. «Rispetto Abu Mazen - sottolinea Khaled - ma temo che resti prigioniero della vecchia nomenklatura e sottoposto a pressioni, interne e internazionali, contrastanti che rischiano di paralizzare la sua probabile presidenza».
Come ci si sente nelle vesti di candidato di «bandiera»?
«Bene, grazie. Perché questa bandiera è quella gloriosa della resistenza palestinese che non si è mai posta al servizio di questo o quel raìs arabo né pensa di dover essere legittimata da Israele o dagli americani».
Abu Mazen ha parlato più volte della necessità di smilitarizzare l'Intifada. Qual è in merito la sua opinione?
«Occorre distinguere tra pratica terroristica che coinvolge civili, e ciò riguarda gli attacchi suicidi come anche il terrorismo di Stato israeliano, e resistenza armata alle forze di occupazione. Il terrorismo contro i civili va condannato, ma la resistenza armata è un diritto sancito dalla stessa Convenzione di Ginevra. Rinunciarci oggi sarebbe un gravissimo cedimento senza alcuna significativa contropartita».
Non le pare una contropartita significativa il piano di ritiro da Gaza predisposto da Ariel Sharon?
«Non scherziamo. Quel ritiro è solo un modo per gettare fumo negli occhi della comunità internazionale. Gaza resterà sotto totale controllo israeliano, così sarà per i confini, lo spazio aereo, il mare, le risorse idriche. Gaza resterà una enorme prigione a cielo aperto, isolata dal mondo. E questa lei la ritiene una significativa apertura? Sharon fa tanto clamore per l'evacuazione di 8mila coloni, mentre in Cisgiordania continua la sua politica di colonizzazione e la costruzione del muro dell'apartheid, con la copertura degli Usa».
Su Abu Mazen puntano molto gli Stati Uniti, sperando che possa discostarsi dalla linea seguita da Yasser Arafat?
«Per la verità, Abu Mazen in ogni suo comizio e dichiarazione giura di voler essere fedele all'insegnamento di Arafat. Mi auguro che non sia solo tattica elettorale, perché se così fosse il giochino verrebbe subito svelato e la presidenza Abu Mazen nascerebbe nel peggiore dei modi e non avrebbe vita facile».
Qual è la pace giusta per Taysir Khaled?
«È la pace che poggia sulla piena attuazione delle risoluzioni 242 e 338 delle Nazioni Unite; è la pace che riconosca il diritto al ritorno dei rifugiati; è la pace che permette ai palestinesi di vivere da donne e uomini liberi in uno Stato indipendente con Gerusalemme est capitale. Per questa pace fondata sulla giustizia e la legalità internazionale continuerò a battermi, fino alla vittoria».
E qual è lo Stato palestinese ideale per Taysir Khaled?
«È uno Stato laico, con una legislazione sociale progressista, dove sia chiara e netta la separazione tra politica e religione. Per intenderci: non voglio che lo Stato palestinese sia retto da un regime teocratico».
Dunque rifiuta ogni rapporto con Hamas?
«Con Hamas ci ritroviamo nei comitati popolari dell'Intifada, siamo parte della stessa resistenza all'occupazione sionista, ma sulla politica, lo Stato, i diritti individuali e collettivi, sul ruolo delle donne nella società e nella politica, le nostre posizioni sono agli antipodi».
Qual è la piaga interna che lei estirperebbe da subito?
«È la piaga della corruzione, un male che si annida ad ogni livello dell'amministrazione pubblica palestinese. Su questo avrei voluto sentire da Abu Mazen parole chiare, impegni precisi. Così non è stato, e ciò mi preoccupa alquanto».
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