A pagina 13 il CORRIERE DELLA SERA di venerdì 7 gennaio 2005 pubblica un articolo di antonio ferrari sulle elazioni palestinesi e sul ruolo di Mohammed Dahlan.
L'articolo, informato e complessivamente corretto ipotizza però che tra i palestinesi vi sia sempre stata una "maggioranza silenziosa" contraria al terrorismo: in realtà durante il regime di Arafat i consensi al terrore erano attestati da tutti i sondaggi. Se qualcosa sta cambiando lo si deve al mutato clima politico, alla limitazione dell'incitamento, alla sconfitta militare del terrorismo.
Un'interpretazione azzardata è anche quella che vede nel voto a Mustafa Barghouti, che potrebbe essere appoggiato da Hamas, un espressione del rifiuto della violenza.
Ecco l'articolo:— Il giovane leone del Fatah Mohammed Dahlan, 43 anni, ex ministro della Sicurezza palestinese, ha pochi dubbi e un obiettivo: diventare il leader del futuro. Per poterlo diventare ha soffocato la propria ambizione e, imponendosi l'umiltà di un portaborse, si è trasformato nel convinto sponsor di un uomo del passato, il 69enne Abu Mazen, che si avvia a ricevere, domenica, l'incarico di secondo presidente dell'Anp. « Alla campagna elettorale e a far vincere Abu Mazen penseremo noi » aveva detto Dahlan al Corriere il giorno in cui fu annunciata la morte di Yasser Arafat. Lanciandosi poi in un'azzardata previsione: « Vedrete, lo trascineremo al 65 per cento » .
Pareva una dichiarazione presuntuosa e arrogante. L'impegno si è rivelato invece una terapia miracolosa, perché in meno di due mesi il grigio Mahmoud Abbas, appunto Abu Mazen, è riuscito a compiere un'incredibile rimonta: dal 6 per cento dei consensi, che gli venivano attribuiti da osservatori decisamente severi, si è avvicinato, dicono i sondaggi, proprio al 65 per cento, quindi alla certezza di essere eletto. La profezia di Dahlan, straordinaria nella sua precisione, non era però frutto di poteri paranormali ma di due convinzioni: poter influenzare la base del Fatah e coinvolgere la maggioranza silenziosa palestinese, stanca di retorica, violenze, corruzione e tradimenti. Dahlan era certo che, alla fine, essa si sarebbe specchiata nell'uomo che non ha mai sparato un colpo di pistola, che ritiene sterile la lotta armata, che giudica la seconda intifada un suicidio politico, che piace a tutti coloro che diffidavano di Arafat, che non ama i giornalisti e non ha il culto della propria immagine.
Beh, a esser sinceri, in vista del traguardo il candidato che deve vincere è stato costretto a tradire se stesso. Ha imparato a sorridere, a dire anche quello che non pensa; si è lasciato sollevare di peso, come l'allenatore di una squadra di calcio che ha vinto la coppa, dai giovani miliziani del Fatah nella Striscia di Gaza, dove a metà novembre era stato accolto a colpi di pistola ( non sparati in aria). Ha cancellato il comizio a Gerusalemme, previsto per oggi, per non parlare in quella che definisce una « città occupata » . E, con la kefiah che stride sull'abito grigio, ha attaccato giorni fa con un linguaggio che non gli è proprio il « nemico sionista » , esaltando i « martiri » della lotta contro Israele. Un attacco che non ha troppo sorpreso il governo di Sharon.
In fondo, dice Shalom Harari, lunga carriera nell' intelligence israeliana, uno dei più profondi conoscitori del mondo palestinese, « Abu Mazen è l'unico che abbia condannato apertamente le violenze della seconda intifada. Le parole, in campagna elettorale, valgono molto meno dei fatti che vedremo dopo il 9 gennaio » .
Ma contro i luoghi comuni, che dipingevano quasi tutti i palestinesi come sostenitori, quantomeno complici, degli estremisti delle brigate Al Aqsa, di Hamas e della Jihad islamica, registi degli attentati- suicidi contro i civili israeliani, la campagna elettorale sta dimostrando che i veri protagonisti sono proprio coloro che non si sono fatti mai sentire: i professionisti, gli impiegati, i commercianti, i contadini, gli intellettuali, insomma coloro che hanno vissuto quattro anni di violenze insensate come un tragico errore e che a una vita più normale sono pronti a concedere più di un compromesso. La realtà è che proprio la maggioranza silenziosa è il vero protagonista di questo voto. L'ha sedotta Abu Mazen e cerca di sedurla il suo unico avversario credibile, quel Mustafà Barghouti, mezza età, medico, sostenitore dei diritti umani e amico dello scomparso Edward Said.
Assieme, dicono i sondaggi, Abu Mazen e Barghouti raccoglieranno oltre l' 85 per cento dei consensi. Vuol dire che il rifiuto della violenza sta facendosi strada. Anche se l'obiettivo del futu ro presidente di trasformare gli estremisti ( e i terroristi) in soggetti politici, pare un'utopia.
Abu Mazen rappresenta però il volto moderato di un passato assai discutibile. Certo, non è un corrotto. Non si è lasciato coinvolgere nella vicenda del cemento, acquistato a prezzo di favore in Egitto, e poi rivenduto a Israele per essere utilizzato nella costruzione del Muro: episodio assai penoso che ha raggiunto, quantomeno lambito, il primo ministro Ahmed Qurei ( Abu Ala). Ma l'immaginario popolare non fa troppe distinzioni, pur riconoscendo ad Abu Mazen un indubbio vantaggio: di non essere ossessionato dal potere. Il favorito degli Usa, del premier israeliano Sharon ( con il quale non ha mai interrotto i contatti), degli europei, degli arabi moderati, è uno che dà il meglio nell'ombra. Ecco perché molti ritengono che il successore di Arafat voglia passare alla storia come il ponte ideale fra la generazione che fondò l'Olp ( e che non vuol scomparire: illuminante il sostegno al futuro leader del suo storico avversario Khaddoumi) e quella dei quarantenni che preparano il futuro: come appunto Mohammed Dahlan e il beniamino dei giovani del Fatah, Marwan Barghouti ( lontanissimo parente di Mustafà), che nel carcere di Israele, dopo aver annunciato di volersi candidare, ha cambiato idea e ora sostiene Abu Mazen. Il quale crede nel dialogo, « ma la volontà non basta. Per rimettere in ordine la casa palestinese e neutralizzare la violenza gli occorrerà almeno un anno » dice Harari. « Troppo per Israele » .
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