Arafat visto da un giornale di provincia
un po' fanatico e che ripete luoghi comuni e falsità
Testata:
Data: 03/01/2005
Pagina: 1
Autore: Peppe Rinaldi
Titolo: Una voce già sentita
C’è un punto di fondo che continua a non tornarmi, e non da ora: il riflesso condizionato che scatta ogni volta e che inquadra la vicenda israelo-palestinese come unità di misura della perversione ebraica nell’agire del suo popolo. Provo a spiegarmi: si dice Israele ma si pensa ad oppressione di gente su altra gente, si dice ebrei ma si pensa a qualcosa di losco e trinariciuto, si dice Palestina e si rimandano cuore e sentimenti alla cura di un’unica parte della complessa vicenda fatta, ovviamente, di masse arabe vilipese, oltraggiate e schiacciate dalla potenza giudaica in versione "stars and stripes".
E’ un punto che non torna e che certamente non costituisce una novità perché, seppur a fatica, comincia a farsi strada anche nel nostro sistema di comunicazione una visione altra delle cose. Ma a fatica, si diceva, e come se a fatica.
Quel riflesso condizionato che disegna un antisemitismo ormai automatico e a tratti subliminale, trova infatti pieno compimento nella miriade di pubblicazioni disseminate sul territorio dove, da impercettibile e quasi involontario, si trasforma in ragionamento strutturato, consapevole e decisamente volontario.
E’ il caso di un mensile capitatomi tra le mani un mese fa circa. Si chiama "L’altra voce", lo stampano a Benevento e lo diffondono in alcune province della Campania, una delle regioni d’Italia dove più che altrove ci si è abbandonati alla contrizione dell’animo dopo la morte di Yasser Arafat. E’ un mensile fatto anche piuttosto bene e dall’orientamento politico, a quanto sembra, adattabile sia all’una che all’altra parte politica: questo almeno a giudicare da come è stata affrontata la vicenda della morte di Arafat. La copertina è, ovviamente, a lui dedicata nel numero di novembre, chiuso presumibilmente in redazione a pochi giorni dal decesso del raìs arabo. L’interrogativo di apertura del giornale appare già piuttosto eloquente e recita: "Arafat: mito o tiranno?". Ecco, a quel punto ti aspetti di leggere qualcosa che affronti il problema sulla base almeno dei presupposti enunciati nel titolo; certo, nulla che ti esalti o ti deprima più del solito, magari la stessa marmellata pregiudiziale facilmente individuabile nel mare magnum della comunicazione italiana ed europea, a qualsiasi livello essa si manifesti ed indipendentemente dalla capacità di penetrazione dell’organo che ospita quelle righe.
Invece no, il meglio è rimasto proprio in quel titolo, il quale almeno ti lasciava la sensazione che un paio di domande qualcuno se le fosse poste. All’interno un paio di articolesse sul raìs che nemmeno su "Liberazione" ti sognavi di leggere.
Infatti a pagina 10 del numero di novembre 2004 del mensile campano "L’altra voce", la collega (si presume) Antonella Ricciardi scrive :….(Arafat) aveva avuto cedimenti di troppo nei confronti di Israele e Usa". A quel punto cerchi di scavare nella memoria ma di questi cedimenti non riesci a trovar traccia. Strano - pensi-, la gran parte del tuo tempo la passi tra giornali e mezzi di informazione, hai 38 anni e l’Alzheimer ancora non è un tuo compagno di strada, di mestiere fai il giornalista, alcuni temi addirittura ti appassionano ma di questi "cedimenti", in sincerità, non rinvieni il pur minimo segnale.
Passi oltre nella lettura del de profundis per il raìs e a quel punto sobbalzi: "…è giusto riconoscere che Arafat ha operato quasi come se avesse avuto una pistola alla tempia…rimarranno alla storia le immagini del suo volto alla luce pallida delle candele durante l’assedio del suo nemico di sempre: Sharon".
Qui le cose cominciano a complicarsi perché la sensazione d’esser preso per i fondelli prende a germogliare nella tua mente, in particolare per quella pistola alla tempia che porta alla mente ben altro rispetto alla faccia pallida nella Muqata: una sensazione che si farà più forte durante il prosieguo della lettura del pezzo centrale della rivista. "Arafat ha avuto il merito di porre la causa palestinese al centro dell’attenzione mondiale e di averne garantito l’indipendenza rispetto ai blocchi sovietico ed atlantico, alla ricerca di una più umana (sic!) terza via collocando l’Olp tra i Paesi non allineati". Chiaro? Il leader arabo aveva cercato una via più umana: quale sarebbe stata questa via più umana, inutile dirlo, non viene spiegato nell’articolo della collega, che continua affermando "…condannava gli attentati contro i civili, di qualunque nazionalità o religione fossero. Non lo stesso si può dire degli ebrei sionisti che in questo senso non salvano neppure la forma". Ecco, dinanzi a tanta scienza è impossibile aggiungere altro tranne che di queste condanne di Yasser Arafat nei confronti degli attentati terroristici non solo non c’è memoria ma sembra quasi che la collega non se ne dispiaccia di questa (presunta) mancata riprovazione: quell’ "ebrei sionisti che non salvano neanche la forma", del resto già dice tutto. Ma non è affatto tutto, no, perché altre perle ci riserva "L’altra voce" di Benevento quando in essa vi si trova scritto che "…l’arroganza sionista ha impedito che Arafat venisse sepolto a Gerusalemme, la città dove aveva chiesto di essere sepolto" e che "…il funerale si è svolto prima al Cairo in modo che i partecipanti non sottostessero ai diktat ebraici". E ancora: "Diversi Paesi hanno mandato ai funerali delegazioni di basso profilo per non urtare la suscettibilità di Bush e Sharon", e a proposito delle ipotesi di successione ad Arafat dei primi tempi, troviamo un’altra chicca: " una ipotesi di successione utopica ma ricca di speranza è quella di Marwan Barghouti condannato all’ergastolo da un tribunale sionista". Inutile chiederti perché il tribunale è definito sionista e non israeliano: se a Salerno o a Napoli si celebra un processo, non dici mica un "tribunale partenopeo"? Dici italiano, no? Non dici campano. Invece qui, mutatis mutandis, si preferisce dire così: forse ci si sente meglio.
Ma il top lo raggiungiamo in chiusura d’articolo quando la speranza che Barghouti diventi il nuovo presidente si trasforma in inconsapevole estasi para-nazista. Leggere per credere: "…anche Mandela era stato condannato ingiustamente all’ergastolo ed anch’egli era divenuto presidente della sua terra fino a poco prima oppressa da un altro governo razzista, il quale non a caso era molto vicino proprio a quello israeliano, dato il comune complesso di superiorità. Con la non piccola differenza, tuttavia, che il governo sudafricano d’apartheid era giustamente boicottato, e non trattato con i guanti bianchi, circostanza che invece si verifica con lo Stato ebraico, tuttora".
Che dire dinanzi a tutto questo? Nulla, semplicemente un consiglio all’editore: cambiare nome alla testata perché questa non è "l’altra voce", bensì "LA voce" più comune e ricorrente che ci sia in giro da tempo. Da molto, troppo tempo.