Pio XII: dossier antisemitismo
un documento che ordina di non restituire alle famiglie i bambini ebrei scampati allla Shoah. Dibattito in 3 puntate sul quotidiano milanese
Testata: Corriere della Sera
Data: 30/12/2004
Pagina: 37
Autore: Alberto Melloni - Vittorio Messori - Antonio Carioti - Giovanni Miccoli
Titolo: Pio XII al nunzio Roncalli: non restituite i bimbi ebrei - Pacelli fu coerente: ogni battezza to è figlio della Chiesa - La Chiesa e i piccoli ebrei: il caso del 1953 - Il giovane Wojtyla agì diversamente
Martedì 28 dicembre 2004 il CORRIERE DELLA SERA pubblica a pagina 37 un articolo di Alberto Melloni sull'imminente pubblicazione, nell'edizione della "agende parigine" dell'allora nunzio apostolico, e futuro papa, Giovanni XXIII, Angelo Roncalli di uno sconcertante documento del Sant'Uffizio, approvato da Pio XII.
Ecco l'articolo:

Chi augurerà buon anno a Charles de Gaulle il 1° gennaio 1945? Questa domanda, apparentemente sciocca, angoscia Pio XII nel dicembre 1944 e segna uno snodo importante per la politica vaticana di allora e dei decenni successivi. Nella Parigi liberata di quei mesi si va infatti ricostituendo il rituale civile, a partire dagli auguri che il corpo diplomatico porge al capo di Stato. Per tradizione tali voti augurali venivano letti dal nunzio, decano del corpo diplomatico in Francia. Ma per il Capodanno del 1945 il nunzio ancora non c’è. De Gaulle ha fatto cacciare monsignor Valeri, disponibile al dialogo col regime collaborazionista di Vichy. Nominare un nunzio vuol dire riconoscere il diritto di de Gaulle a epurare la Chiesa; ma non nominarlo significa cedere all’anziano ambasciatore dell’Urss il diritto di pronunciare il discorso dell’Eliseo - e per Pio XII questo sarebbe un immeritato regalo a Stalin. La questione non è protocollare.
La cartina d’Europa del Capodanno 1945 racconta di destini imminenti e fatali. Per ciascun Paese è vicina la vittoria, la vendetta, la catastrofe, la libertà, la rinascita, la divisione. E il Vaticano deve riposizionare se stesso, dopo che alcuni capisaldi prima scontati (l’indulgenza verso il confessionalismo autoritario, l’anticomunismo ideologico, il pregiudizio antisemita, la diffidenza per la democrazia liberale) si sono rivelati radici della tragedia bellica. Ma la Chiesa può accettare una politica che adotti la democrazia nella sfida al comunismo e la rottura col nazifascismo come principio da cui essa stessa non è esentata? E a rovescio: può la Chiesa rinunciare a vivere il futuro dell’Europa per limitarsi al rimpianto d’un passato inglorioso? Questo è il groviglio in cui sono impigliati gli auguri a de Gaulle del Capodanno 1945.
Pio XII taglia quel nodo con una mossa personale e audace. Piglia da Istanbul, ultima retrovia della politica estera pontificia, un diplomatico di basso rango e, contro il parere di molti suoi collaboratori, lo manda a Parigi.
Monsignor Angelo G. Roncalli, un bergamasco fino a quel momento sconosciuto ai più, ma non agli ebrei che aveva aiutato a
Bambini ebrei scampati ai nazisti e ospitati in un campo profughi in Palestina (foto tratta dal volume «Il secolo degli ebrei»)
fuggire verso la Palestina, sale così al primo posto della diplomazia vaticana. Il suo compito è arduo: il ministro degli Esteri Georges Bidault, proprio perché cattolico, è il più intransigente nel pretendere la testa di molti vescovi accusati di collaborazionismo; il ricomporsi politico della nazione coincide con una rinascita impetuosa della ricerca teologica che Roma guarda male; e mille questioni - dal processo di Norimberga alla nascita dell’Unesco, dalla conferenza di pace alla nomina di nuovi vescovi - bussano alla sua porta. Che Roncalli se la cavi con buon successo era già noto. Ma ora possiamo capire molti dettagli inediti, perché con il volume Anni di Francia. Agende del nunzio Roncalli 1945-1948 , Étienne Fouilloux, uno dei massimi storici francesi, pubblica le fitte note quotidiane di quel periodo.
Esse svelano poco dell’uomo Roncalli (che con un filo di ironia trema dei successi del Pci a Sotto il Monte, suo paese natale), ma dicono molto dei dilemmi che attraversano la politica vaticana. Il cattolicesimo francese, infatti, è stato su tutti i fronti: ha collaborato e ha resistito; chiede un ricambio e offre copertura; pensa vie nuove teologico-politiche e sporge le denunzie al Sant’Uffizio. Roncalli si muove fra questi scogli con studiata lentezza, che i testi inediti documentano ora per ora. È un nunzio fedele alla politica di Pio XII, ma ha una sua sensibilità e una sua storia.
È così per la Shoah. Roncalli, appoggio sicuro negli anni d’Istanbul per il rabbinato e per l’Agenzia ebraica, trova a Parigi un ambiente attento e attivo: nella capitale francese Jules Isaac sta promuovendo la rete di intellettuali che redigerà i «punti di Seelisberg», coi quali si chiedeva alla Chiesa di ripudiare ogni variante dell’antisemitismo; da Parigi passa il gran rabbino di Palestina Herzog, per cercare di ottenere che vengano restituiti alle organizzazioni ebraiche i bambini salvatisi nelle case e nei conventi cattolici.
Roncalli, racconta l’ Agenda , riceve il rabbino Herzog nel 1946 come un amico e, con una lettera del 19 luglio, lo autorizza «ad utilizzare della sua autorità presso le istituzioni interessate, di modo che ogni volta che gli fosse stato segnalato, questi bambini potessero ritornare al loro ambiente d’origine». Tuttavia (come rivela uno straordinario documento, parte dell’apparato del secondo tomo delle Agende di Francia , che i lettori del Corriere possono leggere in anteprima) al nunzio arrivano nello stesso 1946 istruzioni elaborate dal Sant’Uffizio e approvate da Pio XII. Al nunzio Roncalli, la cui fraternità con gli ebrei in transito dalla Turchia non era passata inosservata, si trasmettono ordini agghiaccianti: non deve dare risposte scritte alle autorità ebraiche e precisare che «la Chiesa» valuterà caso per caso; i bambini battezzati possono essere «dati» solo a istituzioni che ne garantiscano l’educazione cristiana; i bambini che «non hanno più i genitori» (proprio così!) non vanno restituiti e i genitori eventualmente sopravvissuti potranno riaverli solo nel caso che non siano stati battezzati...
Alcune delle vicende su cui queste disposizioni cadono si risolveranno felicemente, ma non tutte.
Di casi di sottrazione dei bambini ebrei - repliche del caso Mortara dei tempi di Pio IX nella Francia del dopoguerra - non c’è per ora un censimento, se non nella memoria ferita delle vittime di questa tragedia umana e spirituale. Nemmeno Roncalli ne annota in dettaglio gli sviluppi, abile com’è nel filtrare tutto in uno stile ecclesiastico apparentemente impassibile. Ma è difficile credere che questi episodi non siano alla base della sua risposta positiva a Jules Isaac, che nel 1960 gli chiede di aprire una riflessione sui punti di Seelisberg: quando nel 1955 Isaac li aveva portati a Pio XII, il Papa gli aveva detto «li appoggi su quel tavolo», quasi a marcare un abisso fisico fra due umanità; quando nel 1960 li porterà a Giovanni XXIII, questi li accoglierà e farà iscrivere il ripudio degli antisemitismi nell’agenda del Concilio Vaticano II.
Decisione capitale, perché diceva a tutti che la Chiesa non vive immacolata negli orrori della storia, ma ne è parte, nel bene e nel male; diceva che nell’Europa senza più innocenza del secondo Novecento il futuro non vive di mitologie del sé, ma di una memoria umile e sincera, radice d’indispensabile cambiamento, anima della speranza nel tempo.
Di seguito la traduzione del documento, datato 20 ottobre 1946, pubblicata dal CORRIERE. L'originale si trova presso gli archivi della Chiesa di Francia:


A proposito dei bambini giudei che, durante l’occupazione tedesca, sono stati affidati alle istituzioni e alle famiglie cattoliche e che ora sono reclamati dalle istituzioni giudaiche perché siano loro restituiti, la Congregazione del Sant’Uffizio ha preso una decisione che si può riassumere così:

1) Evitare, nella misura del possibile di rispondere per iscritto alle autorità giudaiche, ma farlo oralmente
2) Ogni volta che sarà necessario rispondere, bisognerà dire che la Chiesa deve fare le sue indagini per studiare ogni caso particolare
3) I bambini che sono stati battezzati non potranno essere affidati a istituzioni che non ne sappiano assicurare l’educazione cristiana
4) I bambini che non hanno più i genitori e dei quali la Chiesa s’è fatta carico, non è conveniente che siano abbandonati dalla Chiesa stessa o affidati a persone che non hanno alcun diritto su di loro, a meno che non siano in grado di disporre di sé. Ciò evidentemente per i bambini che non fossero stati battezzati
5) Se i bambini sono stati affidati (alla Chiesa) dai loro genitori e se i genitori ora li reclamano, potranno essere restituiti, ammesso che i bambini stessi non abbiano ricevuto il battesimo.
Si noti che questa decisione della Congregazione del Sant’Uffizio è stata approvata dal Santo Padre.
Mecoledì 28 dicembre a pagina 37 il CORRIERE affida un commento sulla vicenda a Vittorio Messori.
Questi incomincia il suo articolo, piuttosto cinicamente, stupendosi dello stupore di Melloni per il documento vaticano, che, rispecchiando la dottrina della Chiesa, è suo avviso del tutto normale, a dispetto dell'ingiustizia che incoraggiava a commettere.
Ecco l'articolo:

« Straordinario documento » , « ordini agghiaccianti » , addirittura un « proprio così! » . Sorprende un poco che uno studioso come Alberto Melloni, tra l'altro ottimo conoscitore di cose cattoliche, sembri abbandonare la sobrietà dello storico per adottare un linguaggio ad effetto. E, questo, dando notizia delle istruzioni della Santa Sede al nunzio in Francia, Angelo Roncalli, per affrontare il problema dei bambini ebrei affidati « alle istituzioni e alle famiglie cattoliche » .
Innanzitutto non andrebbe dimenticato che la semplice esistenza di un simile problema testimonia di un merito ecclesiale tra i più alti. Nei ringraziamenti commossi che sommersero Pio XII al termine della guerra e che provenivano da tutte le istituzioni e le comunità ebraiche, si faceva cenno alla generosità con cui la Chiesa accolse e nascose gli ebrei braccati e in particolare i bambini. Per citare un solo caso italiano, l'arcivescovo di Torino, cardinale Maurilio Fossati ( decorato nel 1945 con una medaglia d'oro dal rabbino capo della città, assieme al segretario, monsignor Barale, che era stato arrestato dai tedeschi), si adoperò perché le suore salesiane organizzassero a Valdocco un vero e proprio asilo nido clandestino per i piccoli israeliti.
Se, dunque, alla fine della guerra, la Chiesa dovette confrontarsi con un problema — che coinvolse tra l'altro non alcuni, ma molti, moltissimi ebrei — è perché, davanti al dramma, non rimase spettatrice, ma intervenne tanto attivamente quanto prudentemente, come le circostanze esigevano.
Per venire ora al documento « straordinario » : precisato che una valutazione storicamente oggettiva sarà possibile solo a pubblicazione avvenuta delle Agende roncalliane, va osservato che la disposizione del Sant'Uffizio è del 20 ottobre del 1946. Da oltre due anni la Francia era stata liberata, la guerra era terminata da diciassette mesi ed è dunque ovvio presumere che, in tutto quel tempo, la maggioranza dei casi avesse trovato soluzione. Recuperare un bambino che si è dovuto nascondere è forse cosa da differire nel tempo o non prevale su ogni altra urgenza? Poiché non si ha notizia di difficoltà insorte tra Chiesa ( e non solo di Francia, ma di tutta l'Europa già occupata) e comunità ebraiche, è giustificato pensare che tutto si sia risolto nella pace e nel buon senso. Sembra, dunque, che il documento dell'autunno del 1946 riguardi casi residuali, di particolare complessità. Ma, anche qui, Melloni stesso ammette che il nunzio Roncalli, pur così sensibile su questi temi, non ha lasciato nelle sue agende alcuna annotazione su problemi insorti. Non si dimentichi che il suo soggiorno a Parigi durerà ancora più di sei anni. Eppure, nessuna crisi, nessuna protesta, nessun intervento politico o diplomatico: dunque il documento « agghiacciante » non sembra avere provocato effetti constatabili, se stiamo almeno a quanto registrato dalla Nunziatura del pur vigilantissimo futuro Giovanni XXIII.
Per scendere ai particolari delle disposizioni del Sant'Uffizio: ogni storico sa che tra i luoghi comuni di ogni governo ( soprattutto in tempi turbolenti come quel dopoguerra francese) c'è la consegna ai propri ambasciatori di parlare, ma, per quanto possibile, di scrivere poco. Sospettare, dunque, atmosfere oscure e inconfessabili dietro quell' « oralmente » raccomandato dal Vaticano sarebbe da dilettante che ha poca dimestichezza con archivi diplomatici.
Poiché lo spazio non lo consente, siamo costretti a trascurare altri punti del documento ( il quarto, soprattutto) e a concentrarci sul vero centro delle disposizioni vaticane, quello che non a caso ha ispirato il titolo del giornale: « I piccoli giudei, se battezzati, devono ricevere un'educazione cristiana » .
Qui sta lo scandalo che, tra l'altro, mise a rumore l'Europa quando, nel 1858, Pio IX, ancora Papa- re, tolse alla famiglia Edgardo Mortara, piccolo ebreo bolognese, perché fosse allevato in un collegio cattolico, almeno sino alla maggiore età: dopo i 18 anni avrebbe potuto scegliere. In quel caso, scelse il sacerdozio ( assumendo il nome « Pio » per riconoscenza verso il Papa) e morì, novantenne, in odore di santità, lasciando un diario, sinora inedito, che la Mondadori pubblicherà la prossima primavera e che sorprenderà molti.
Qui è possibile solo tentare di far comprendere alcune delle ragioni che, in simili casi, rendono « prigioniera » la Chiesa. Questa, conformemente al pensiero dei Padri, proibisce da sempre che i figli minorenni di ebrei siano battezzati senza il consenso dei genitori. Ma se, per una qualunque ragione, il battesimo è validamente amministrato, questo rende « cristiani » ex opere operato , imprime il carattere indelebile di figlio della Chiesa. La quale, sentendosi Madre, non ha mai consentito né mai consentirà di abbandonare chi — nel mistero della fede — con il sacramento è entrato per tutta l'eternità nella sua famiglia.
Ci rendiamo ben conto che, per comprendere un simile atteggiamento, occorre porsi in una prospettiva di fede. Al di fuori di essa, disposizioni come quelle di Pio IX e di Pio XII, in linea con la millenaria Tradizione, possono apparire ( perché nasconderlo?) disumane. Se ne sono resi conto i Papi stessi, che — custodi e non padroni della Rivelazione — hanno fatto vivere, ma hanno vissuto essi stessi, autentici drammi. Ma non in nome di un arido legalismo, bensì in una dimensione misterica, pur umanamente dura, che solo la credenza nel Vangelo può rendere accettabile.
Diverso il discorso sugli autori di quei battesimi. Se hanno agito su infanti senza che i genitori fossero consenzienti, hanno peccato gravemente, sono andati contro il diritto canonico e le disposizioni secolari della Chiesa. Si può comunque escludere sin da ora che i battesimi francesi ( se davvero ce ne furono di illeciti) siano stati impartiti su ordine o anche solo con la connivenza delle autorità ecclesiastiche.
Su questo testo occorre fare ancora alcune osservazioni: 1)l'aiuto prestato da istituzioni cattoliche agli ebrei perseguitati dai nazisti è noto da tempo, ma questo fatto oggettivo non è risolutivo della polemica sui silenzi di papa Pacelli, quanto meno perché questi silenzi sono altrettanto oggettivi 2)se anche le disposizioni del Sant'Uffizio non avessero potuto produrre conseguenze concrete, per il fatto di essere state emanate dopo la soluzione della maggior parte dei casi, ciò non scuserebbe i loro estensori dall'aver ordinato un'ingiustizia. Inoltre nella Francia del dopoguerra vi fu almeno un caso, di bambini ebrei battezzati che furono al centro di un aspra contesa 3)l'attuale diritto canonico permetterebbe, in casi analoghi a quelli di cui si occupava il documento trasmesso a Roncalli, di restituire i bambini battezzati ai genitori. Lo stesso Roncalli, futuro papa e beato, del resto, disattese alle istruzioni ricevute. Le disposizioni sui bambini non battezzati, inoltre, andavano oltre le richieste dello stesso diritto ecclesiastico del tempo.
Delle due l'una: o l'attuale diritto canonico contrasta con un dovere che, come sostiene Messori, segue dalla fede cattolica, e il beato Roncalli venne esso stesso meno a questo grave dovere di coscienza, o l'interpretazione che dei doveri imposti dal cattolicesimo davano il Sant'Uffizio e papa Pacelli era appunto, soltanto un'interpretazione.
La più ottusa e ingiusta, ci pare, che se ne potesse dare.
Senza entrare nel merito di tutti quei bambini rimasti orfani dei genitori assassinati nei campi di sterminio e quindi diventati "forzatamente" cattolici.

Antonio Cairoti raccoglie invece diverse opinioni sulla vicenda , da quella di Amos Luzzato a quella, del tutto apologetica, di Peter Gumpel, postulatore della causa di beatificazione di Pacelli.
Ecco l'articolo:

C'era da aspettarselo. Il documento del Sant'Uffizio pubblicato ieri dal Corriere della Sera ha riacceso le polemiche sulla possibile beatificazione di Pio XII. A sollevare la questione è Amos Luzzatto, presidente delle comunità ebraiche italiane, che si dichiara « allucinato » e bolla come « agghiacciante » e « orrendo » l'ordine, approvato da Papa Eugenio Pacelli, di non restituire alle famiglie i « bambini giudei » battezzati che avevano trovato rifugio presso istituzioni cattoliche francesi durante l'occupazione nazista.
Se il Vaticano deciderà di beatificare comunque Pio XII, nonostante questa scoperta archivistica, Luzzatto non esclude « che vi saranno problemi nei rapporti con gli ebrei » .
A suo parere, siamo di fronte a una vicenda ancora più grave del famoso caso di Edgardo Mortara, il bambino ebreo bolognese sottratto alla famiglia, perché battezzato, all'epoca di Pio IX, prima che scomparisse lo Stato Pontificio. Il documento infatti, sottolinea Luzzatto, « porta la data dell'ottobre 1946 » , quando « tutti già sapevano che cosa era successo agli ebrei d'Europa, conoscevano gli orrori dei campi di concentramento » . Eppure la decisione del Sant'Uffizio « non fa cenno alcuno » all'Olocausto: « È un documento arido, burocratico — insiste Luzzatto — che non ha nessuna sensibilità, mi spiace dirlo, per la Shoah » .
La diatriba pare destinata a inasprirsi, visto che sulla sponda opposta padre Peter Gumpel, postulatore della causa di beatificazione riguardante Pacelli, sostiene che il documento uscito sul Corriere , « ammesso che sia autentico, non inficia affatto la santità di Pio XII » . E si richiama al diritto canonico vigente all'epoca. « Secondo la dottrina prevalente del tempo — spiega Gumpel — se un bambino riceveva il battesimo aveva il diritto ad avere un'educazione cattolica ed era considerato ormai membro effettivo della Chiesa. Ciò lo poneva sotto la giurisdizione dell'autorità ecclesiastica: una vecchia legislazione che non derivava da Pio XII. Lui applicò solo le norme in vigore » .
Sembra insomma che la vicenda riproponga l'antico e angoscioso dilemma di Antigone: da una parte l'inflessibile dettato delle norme scritte, per giunta religiosamente ispirate; dall'altra il senso umanitario e il rispetto del legame filiale tra bambini e genitori. Ma va aggiunto che le istruzioni del Sant'Uffizio riguardavano anche gli orfani ebrei non battezzati, per i quali si suggeriva che la Chiesa continuasse a farsene carico, a dispetto delle richieste delle comunità israelitiche. Non bisogna dimenticare poi che il nunzio pontificio in Francia Angelo Roncalli ( divenuto poi Papa Giovanni XXIII), con una lettera del luglio 1946, aveva appoggiato l'azione del rabbino Herzog, impegnato nella ricerca dei piccoli ebrei accolti nei conventi. Dunque nella gerarchia ecclesiastica potevano manifestarsi atteggiamenti di maggiore apertura, anche se non è chiaro come Roncalli abbia poi accolto la decisione del Sant'Uffizio, posteriore di alcuni mesi alla sua lettera. Peraltro Gumpel avanza delle riserve anche sull'autenticità del documento, chiedendosi perché sia finito in un archivio diverso da quello della Nunziatura. È evidente che la questione merita di essere approfondita in ogni suo aspetto.
Il CORRIERE DELLA SERA di giovedì 30 dicembre 2004 pubblica, sempre sulla vicenda, un articolo a pagina 37 dello storico Giovanni Miccoli: "La Chiesa e i piccoli ebrei: il caso del 1953", che di seguito riportiamo:
Nel primo dopoguerra la questione di ritrovare i bambini ebrei scampati allo sterminio preoccupava profondamente le organizzazioni ebraiche. « Noi eravamo disperati per la perdita enorme di bambini ebrei nel corso della Shoah. Consideravamo un sacro dovere cercare coloro che si erano salvati » scrisse nelle sue memorie Gerhart Riegner, segretario del Congresso mondiale ebraico.
Per ottenere un aiuto in questo senso, egli incontrò nel novembre 1945 monsignor Montini. L'incontro fu insoddisfacente. Riegner ebbe l'impressione che in Vaticano non si avesse l'esatta percezione dell'enormità e della specificità della Shoah.
Il viaggio del rabbino Herzog in Francia nel 1946 si situa evidentemente in questo impegno di ricerca.
Con la lettera del 19 luglio citata da Melloni, monsignor Roncalli assicurò il suo appoggio, conformemente all'atteggiamento di disponibilità da lui costantemente assunto nel corso della persecuzione. Non vi è traccia peraltro, nelle sue Agende ora pubblicate, di una visita di Herzog a lui ( ricevette il figlio nell'ottobre 1948) né sappiamo come egli accolse ed eventualmente commentò le istruzioni del Sant'Uffizio dell'ottobre 1946: che peraltro non a lui sembrano dirette se, come pare, il testo è stato ritrovato in un archivio ecclesiastico francese. Si può pensare dunque che si trattasse della risposta a un quesito indirizzato a Roma da chi si trovava davanti quei problemi.
Lo stesso avvenne sette anni dopo, in occasione del caso Finaly, la vicenda di due bambini ebrei che la direttrice di un asilo di Grenoble, dove erano stati accolti, rifiutava, dopo averli battezzati di sua iniziativa nel 1948, di consegnare a una zia residente in Israele. Si trattò di un vicenda che emozionò la Francia e che per un momento oppose duramente la comunità ebraica e una parte del mondo cattolico francese. Impossibile riassumere i termini di un conflitto che si trascinò per sette anni, da un processo all'altro. Ad un certo momento, dopo che la Corte di Grenoble aveva ordinato la consegna dei bambini alla zia, essi furono nascosti e infine portati in Spagna presso un'abbazia benedettina. Fu in questo contesto che il cardinale Gerlier, contattato da una suora di Sion cui la direttrice si era rivolta, consultò il 14 gennaio 1953 il Sant'Uffizio.
La risposta scritta gli fu trasmessa il 23 gennaio. Riaffermava il dovere « imprescrittibile della Chiesa di difendere la libera scelta di questi bambini che per il battesimo le appartengono » e invitava a « resistere nella misura del possibile all'ordine di consegnare i bambini, adottando, per modum facti , tutti i mezzi che possono ritardare l'esecuzione di una sentenza che viola i diritti sopra richiamati » . Come si vede l'istruzione non si discosta in sostanza dal documento ora pubblicato, al di là di alcuni aspetti particolari che non è qui il caso di analizzare. La vicenda si concluse comunque con la consegna dei bambini alla zia, anche per l'autorevole intervento di alcune figure di spicco della Chiesa e del cattolicesimo francesi ( Congar, Rouquette, Marrou, Béguin, ecc.) alla luce del principio che, rispetto al diritto naturale dei genitori, il più fondamentale, la Chiesa deve rinunciare al suo.
Grazie a un'opinione pubblica cattolica almeno in parte diversa dal passato, oltre che a circostanze profondamente mutate ( la memoria della persecuzione aveva lasciato il segno e anche i primi sensi di colpa, quelli appunto che portarono alla dichiarazione del Vaticano II) non si ripeté un nuovo caso Mortara.
Tre osservazioni per concludere.
La vicenda dei bambini ebrei nascosti nei conventi o in collegi religiosi è in gran parte da scrivere. Per quel che se ne sa, fu segnata da percorsi umani dolorosi e complessi, da affetti contrastanti e spinte contrapposte, che coinvolsero molti protagonisti. I ricordi di Saul Friedländer, affidato bambino da suo padre a un collegio rigidamente confessionale, con l'autorizzazione di battezzarlo, incline più tardi ad avviarsi al sacerdozio e che grazie a un incontro fondamentale con un padre gesuita avverte l'esigenza di recuperare la propria ebraicità, offrono uno straordinario e lucido spaccato di esperienze in parte comuni, affidate per lo più a sofferte memorie individuali.
Sono inoltre persuaso che Riegner avesse ragione: né la Santa Sede né la gran parte del mondo cattolico, secondo quanto del resta avveniva nel primo dopoguerra tra i più, avevano l'esatta percezione della specificità della Shoah. Essa restava confusa tra gli orrori generali della guerra. Pio XII, al chiudersi delle ostilità in Europa, non ne fece cenno nel discorso del 2 giugno 1945. Parlò delle persecuzioni sofferte dalla Chiesa a opera dei nazisti, ma non parlò degli ebrei. Fu la volontà di pochi che, un quindicennio dopo, impose, e non senza difficoltà, al mondo cattolico la questione.
Credo inoltre che scrivendo di quegli anni non si debba dimenticare ciò che era la Chiesa preconciliare: avversa in linea di principio alla libertà religiosa e di coscienza, persuasa che solo la verità, di cui essa si affermava unica depositaria, avesse diritto a una piena libertà. Le concessioni in quest'ambito erano dettate dall'opportunità di evitare mali maggiori. Ma quando era possibile i propri diritti andavano riaffermati integralmente. Il caso del documento ora pubblicato ne è un esempio.
Sempre a pagina 37 Antonio Carioti, nell'articolo "Il giovane Wojtyla agì diversamente" raccoglie sulla vicenda i commenti di Riccardo Di Segni e Giorgio Israel.
Ecco il testo:

« Quando ho letto il documento del Sant'Uffizio uscito sul Corriere , mi è venuto in mente un episodio avvenuto in Polonia nel dopoguerra, quando un giovane prete fece in modo che non fosse battezzato e fosse restituito al suo ambiente d'origine un bambino ebreo affidato a una famiglia cattolica per sottrarlo alle persecuzioni naziste. Quel sacerdote si chiamava Karol Wojtyla » . Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, da tempo impegnato nel dialogo con i cattolici, ricorda quella vicenda per sottolineare che anche in epoca preconciliare nella Chiesa convivevano posizioni differenti verso il popolo ebraico. Tuttavia la direttiva del 1946 lo ha impressionato, rafforzando i suoi dubbi sulla canonizzazione di Pio XII.
Un altro esponente della comunità romana, Giorgio Israel, autore del libro La questione ebraica oggi ( il Mulino), richiama il contesto storico: « Quel documento esprime la tradizionale ossessione della Chiesa di convertire gli ebrei al cristianesimo. Ma dimostra anche quanto grande sia stata la rottura del Concilio Vaticano II e quanta strada sia stata percorsa da allora. La beatificazione di Pio XII sarebbe un passo indietro, ma non certo tale da compromettere le grandi novità positive acquisite a partire dal pontificato di Giovanni XXIII » .
Eppure lo storico cattolico Giovanni Maria Vian nota che anche Roncalli, prima della Shoah, non era immune da un certo antigiudaismo religioso, che va però tenuto ben distinto dall'antisemitismo razzista: « La decisione del Sant'Uffizio, di cui vanno approfonditi meglio la natura e lo scopo, è la testimonianza di un'epoca di faticosa transizione, in cui comunque la Chiesa di Pio XII agì per salvare dai nazisti un gran numero di ebrei. Oggi i battesimi abusivi impartiti in Francia ( assai meno in Italia) ci appaiono una pratica inaccettabile, ma sta di fatto che per la dottrina cristiana un bambino battezzato non è più ebreo e il Sant'Uffizio non poteva che ribadire tale principio, pur consigliando di procedere con prudenza caso per caso » .
Di Segni capisce, ma non si adegua: « So che per la Chiesa il battesimo ha un decisivo valore sacramentale, ma ciò non toglie che dal nostro punto di vista la decisione del Sant'Uffizio costituisca un'offesa all'istituzione della famiglia e una grave mancanza di rispetto per l'identità ebraica. Quanto alla beatificazione di Pio XII, la Chiesa è libera di indicare ai fedeli gli esempi di virtù che ritiene più appropriati, ma è chiaro che scelte di un certo tipo non agevolano il dialogo interreligioso » .
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