Israele non vuole riprendere il dialogo con i palestinesi i sofismi per dimostrare una tesi smentita dai fatti
che ha però il torto, per il quotidiano comunista, di smentire l'ideologia
Testata: Il Manifesto
Data: 23/12/2004
Pagina: 5
Autore: Michelangelo Cocco
Titolo: Blair e Fini in Terrasanta senza idee: basta attacchi
A pagina 5 IL MANIFESTO di giovedì 23-12-04 pubblica un articolo di Michelangelo Cocco, che utilizza strumentalmente le parole del consigliere di Sharon Dov Weisglass che, in un'intervista ad Haaretz rilasciata prima della morte di Arafat, aveva sostenuto che il ritiro dalla Striscia di Gaza sarebbe servito a ritardare la nascita di uno Stato palestinese e ha bloccare le ipotesi di negoziato fino a che i palestinesi non avessero abbandonato il terrorismo.
Poiché proprio questa potrebbe essere la novità del governo Abu Mazen, le parole di Weisglass non sembrano davvero molto attuali.
Cocco accoglie poi l'insostenibile equiparazione, formulata da Abu Mazen, tra terrorismo e insediamenti, definisce i terroristi "combattenti" ed esprime scetticismo verso la spiegazione fornita dall'esercito israeliano delle operazioni militari a Gaza, che siano cioè avvenute in risposta ai continui lanci di razzi qassam. Per quale altro motivo, a parere di Cocco dovrebbero avvenire?

Ecco l'articolo:

Tony Blair e Gianfranco Fini hanno lasciato ieri il Medio Oriente annunciando che la conferenza prevista per febbraio a Londra - alla quale il governo israeliano non parteciperà - servirà a far ripartire la road map, il piano di pace del Quartetto (Usa, Ue, Russia e Onu) che avrebbe dovuto far nascere uno Stato palestinese entro il 2005 ma che non è mai nemmeno partito. Il premier britannico ha incontrato prima il suo omologo israeliano, Ariel Sharon, al quale ha fatto una gran pubblicità. Blair infatti ha spiegato che il piano di ritiro unilaterale da Gaza non serve affatto a congelare quello dalla Cisgiordania. «Sharon mi ha detto molto chiaramente che, se il terrorismo verrà fermato, il ritiro non sarà l'ultima mossa», ha dichiarato Blair. Il premier ha così cercato di far dimenticare le parole del principale consigliere di Sharon, Dov Weisglass, che ad Ha'aretz ha recentemente dichiarato: «Il significato del piano di disimpegno è quello di congelare il processo diplomatico: congelandolo, si previene la nascita di uno stato palestinese e la discussione su profughi, confini e Gerusalemme. E l'intero pacchetto noto come "stato palestinese" viene rimosso dall'agenda quotidiana per un periodo di tempo indefinito».

Poi Blair ha insistito su un altro punto: i palestinesi la devono smettere con il «terrorismo». Anche in conferenza stampa, con Abu Mazen - il leader dell'Olp che con ogni probabilità sarà eletto presidente il 9 gennaio prossimo e che è fortemente contrario alla lotta armata - ha continuato a battere su questo tasto, tanto che il «successore» di Arafat ha dovuto replicare: «Noi ci aspettiamo nello stesso tempo che Israele smetta di espandere i suoi insediamenti. Siamo disponibili a riprendere i negoziati molto rapidamente». I palestinesi, nonostante le dichiarazioni di Blair in linea con la politica israelo-statunitense degli ultimi quattro anni, hanno provato a presentare la visita del leader laburista come un segnale positivo per riavviare i colloqui di pace. Ma quali colloqui saranno possibili nel momento in cui uno dei principali attori mediorientali, gli Usa, sono impantanati in Iraq e con la rielezione di Bush che ridà fiato all'unilateralismo di Sharon?

Sia Blair che Fini (il ministro degli esteri italiano era al secondo giorno di visita in Israele e nei Territori occupati) si sono raccolti per qualche minuto davanti alla tomba di Yasser Arafat a Ramallah, ma entrambi si sono sentiti in dovere di giustificarsi con gli israeliani subito dopo. Blair si è soffermato davanti alla tomba ma la sua delegazione si è rifiutata di deporre una corona di fiori, cosa che aveva già fatto il ministro degli esteri, Jack Straw, il 25 novembre scorso. Il «nostro» Fini invece i fiori li ha portati, ma poco dopo così si è giustificato in un'intervista al governativo Jerusalem post: «Sono stato invitato dai palestinesi, sono il loro ospite». «Quando mi trovo in casa altrui devo rispettare le idee e i valori dei padroni di casa». Nella stessa intervista Fini ha chiarirto che «il ruolo dell'Italia nell'Unione europea è quello di persuadere altri stati che Israele ha giuste rivendicazioni e motivazioni». Continuano intanto i raid dell'esercito israeliano nel campo profughi di Khan Younis, nella Striscia di Gaza. Ieri i soldati hanno ucciso due combattenti e un civile, mentre decine di famiglie sono state costrette ad abbandonare le proprie case per l'ennesima incursione dei militari - ufficialmente «per fermare il lancio di razzi» che anche ieri sono stati sparati contro il blocco di colonie di Gush Katif, senza fare vittime -. Un altro palestinese è stato ucciso nel nord di Gaza, mentre ad Hebron, nel sud della Cisgiordania, è stato ucciso un israeliano che stava lavorando al Muro, in costruzione in quell'area.
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