Migliorano, con Abu Mazen, i media dell'Anp; la Rai disinforma su Israele
lo prova, dati alla mano, una tesi di laurea
Testata: Il Foglio
Data: 23/12/2004
Pagina: 3
Autore: un giornalista
Titolo: Con Abu Mazen i media dell’Anp trattano un po’ meglio Israele - La tv italiana tratta bene Israele? Una tesi di laurea dice di no
IL FOGLIO di giovedì 23 dicembre 2004 pubblica a pagina 3 un articlo sulla politica di Abu Mazen, in particolare sui cambiamenti intervenuti nei media palestinesi in seguito al suo tentativo di bloccare o ridurre l'incitamento contro Israele.
Ecco l'articolo:

Gerusalemme. Abu Mazen ha tutte le intenzioni di diventare
il partner politico di Gerusalemme. "I contatti tra
Autorità nazionale palestinese e Israele riprenderanno dopo
le elezioni del 9 gennaio", ha annunciato il presidente
dell’Olp e candidato favorito alla presidenza, ieri. Il segnale
viene dato anche dal graduale cambiamento della comunicazione
da parte dell’Anp. Dall’inizio della seconda
Intifada, i sermoni delle moschee, i libri scolastici e i mass
media sono stati i tre strumenti con i quali l’Autorità palestinese
ha cercato di controllare e di modellare l’opinione
pubblica nei Territori. Ogni venerdì, gli imam delle moschee
di Gaza e Cisgiordania predicano in diretta televisiva
il loro odio contro i "fratelli delle scimmie e dei maiali"
i.e. gli ebrei). I giornali palestinesi, come al Hayat al Jadida,
pubblicano quotidianamente vignette dove la mappa
della Palestina incorpora Israele. Però "dopo la morte di
Yasser Arafat qualcosa è cambiato – dice al Foglio Yigal
Carmon, direttore del Middle East Media Research Institute
– i toni sono diventati più moderati. Il motivo è la dichiarazione
d’intenti contro l’incitamento da parte di Mahmoud
Abbas". Sin dal 2003 al summit di Aqaba, Abu Mazen,
che in quell’occasione aveva parlato di "terrorismo palestinese",
era apparso come la faccia moderata dell’Anp.
Nel 2002 aveva rilasciato interviste a diversi giornali arabi,
definendo la lotta armata "inumana" e soltanto pochi
giorni fa ha dichiarato che l’Intifada nel suo insieme è stata
un errore, che deve terminare. In queste ultime tre settimane,
un nuovo imam, Muhammad Abu Hunud, dai toni
meno belligeranti, è apparso per la prima volta alla tv dell’Autorità
palestinese. Il suo sermone del 3 dicembre a Gaza,
alla presenza dello stesso Abu Mazen, parlava di riconoscere
"l’altro", "dimostrare tolleranza" e avere rapporti
di "buon vicinato". Alla fine dello scorso novembre, Abu
Mazen in persona aveva ordinato a Radwan Abu Ayyash, direttore
della radio e della televisione palestinesi, di fermare
l’incitamento mediatico contro Israele. "La propaganda
anti israeliana però è sempre presente – dice Carmon
– da parte di Abu Mazen ci sono le buone intenzioni,
ma manca il controllo della situazione. E’ come se avesse
deciso d’incamminarsi su un percorso ben preciso, ma in
mezzo alla strada trovasse ostacoli: i gruppi islamici fondamentalisti,
come Hamas, e alcuni membri del suo stesso
partito". Hani al Hassan, segretario generale di al Fatah,
soltanto qualche settimana fa, aveva dichiarato all’emittente
al Arabiya: "La lotta armata semina e la lotta politica
raccoglie". "E’ il turno dello Stato ebraico di dimostrare di
volere la pace, non il nostro – ha detto al Hassan al Foglio
– Vogliamo garanzie. Noi non transigeremo mai sul ritorno dei rifugiati in Israele".
Anche Abu Mazen sembra essere della stessa opinione
sulla questione dei rifugiati ma, nel pieno della campagna
elettorale, Israele stesso non si aspetta che il candidato
presidente si permetta di cedere su uno dei principali cardini
della lotta palestinese. Abbas è l’uomo che nel 1982
presentò una tesi di dottorato a Mosca intitolata "La connessione
tra nazismo e sionismo 1933-1945", negando le cifre
ufficiali delle vittime dell’Olocausto. Senza dubbio in
questi ultimi anni ha dimostrato di essere però l’unico possibile
interlocutore per Israele. Abu Mazen, che con un
"j’accuse" diretto a Yasser Arafat lasciò il suo incarico di
primo ministro più di un anno fa, dopo la rottura della
"hudna" (tregua) con Israele, ritorna in scena più forte, nonostante
manchi del forte carisma dell’ex rais. Il quotidiano
Haaretz si chiedeva recentemente se le intenzioni del
leader dell’Olp siano sincere o semplicemente di facciata.
Nei Territori la popolarità di Abu Mazen sta crescendo a
sfavore di Hamas. Il primo banco di prova è quello di oggi.
Si tengono infatti le elezioni municipali in 25 città palestinesi.
Hamas partecipa come forza politica. Dall’altra parte,
in Israele, si respira ottimismo, si vuole credere in Abu Mazen
e si spera che questo sia il momento per costruire la fiducia
tra i due popoli.
Sempre a pagina 3 un articolo su una tesi di laurea che dimostra, dati alla mano, la scorrettezza del servizio televisivo pubblico nell'informazione sul conflitto israelo-palestinese.
Condividiamo il giudizio d'insieme sulla RAI. Facendo però un'eccezione: Claudio Pagliara. Con il suo arrivo a Gerusalemme al posto di Paolo Longo, la situazione si è ribaltata di 360 gradi. Certo, Pagliara non è solo. C'è Filippo Landi a consolare i vedovi di Longo e del non dimenticato Riccardo Cristiano. E poi c'è Rai Tre, e poi c'è la Rai romana, che è sempre quell'insieme di pregiudizi anti-Israele.
Ecco il servizio:

Roma. Ora sarà possibile dire non solo che
è provato scientificamente, ma che è anche
approvato dalla comunità accademica: c’è chi
– tra i giornalisti Rai che seguono il conflitto
israeliano-palestinese – viola i criteri di giornalismo
stabiliti dalla stessa Rai, schierandosi
a fianco dei palestinesi e dimenticando
la deontologia professionale per cogliere l’occasione
di criticare Israele. Questo emerge
da una tesi di laurea discussa lunedì scorso
alla facolta di Scienze della comunicazione
dell’Universita la Sapienza di Roma. Il neolaureato
(con 110 e lode) Ariel David ha illustrato
i risultati di un anno di ricerca alla
commissione presieduta dal professor Alberto
Abruzzese. David è partito dal caso di
Riccardo Cristiano, corrispondente Rai che
si era "scusato" con l’Autorità palestinese,
con una lettera su carta intestata, per la trasmissione
(dei concorrenti Mediaset) in cui
erano state trasmesse le immagini del linciaggio
di due soldati israeliani a Ramallah.
"Volevo capire se era un caso individuale, e
raro, o se si trattava di un fenomeno generalizzato",
ha detto David al Foglio.
David ha basato la sua ricerca su un campione,
analizzando Tg1, Tg2 e Tg3 di prima serata
– dal 10 al 16 di ogni mese – per un anno,
fra il giugno 2003 e il maggio 2004. La durata
complessiva dei servizi sul medio oriente
analizzati è di tre ore e trenta minuti, la durata
per servizio è di oltre un minuto e trenta
secondi. "In genere i servizi che seguono il
conflitto israelo-palestinese sono ‘bollettini
di guerra’, oltre l’88 per cento dei servizi riguardano
fatti di cronaca", ha detto David.
"L’informazione dal medio oriente non può
che essere povera di fatti condivisi e ricca di
opinioni e versioni dei fatti contrastanti", ha
proseguito, citando la carta deontologica interna
Rai: "Per rispettare i principi deontologici
di pluralismo e imparzialità il giornalista
deve riferire i contrastanti punti di vista
dando conto delle diverse opinioni esistenti
ed evitando di contrabbandare come punto
di vista della generalità quello che è semplicemente
il punto di vista di una parte".
Nel campione analizzato si nota però che,
nel 9,1 per cento dei casi, opinioni o versioni
dei fatti palestinesi sono presentati come
"dati di fatto". E che solo nell’1,1 per cento
dei casi analizzati un’opinione o versione dei
fatti israeliana non è stata attribuita. "Il rispetto
dei criteri di completezza e obiettività
devono essere garantiti" continua David, non
solo in merito ai contenuti: "Deve risultare
evidente anche nella modalità della comunicazione
radiotelevisiva del servizio pubblico",
come stabiliscono le regole della Rai. La
ricerca dimostra invece che la Rai dà più
spazio a esponenti palestinesi. Le opinioni
palestinesi, attraverso interviste a fonti ufficiali
dell’Anp, coprono il 26,1 per cento, mentre
interviste con fonti ufficiali israeliane arrivano
soltanto al 14 per cento delle opinioni
attibuite agli israeliani. E le interviste con
membri di organizzazioni terroristiche palestinesi
hanno occupato il 6 per cento dello
spazio dedicato alle opinioni palestinesi.
La tesi analizza anche le immagini e i termini
usati dai corrispondenti. Spiega David:
"Termini come ‘rappresaglia’ o ‘rastrellamento’
evocano significati ben precisi a livello
connotativo. Soprattutto in Italia essi sono
spesso utilizzati per caratterizzare le stragi e
gli arresti indiscriminati compiuti dall’esercito
tedesco durante la Seconda guerra mondiale.
Utilizzare questi termini per la descrizione
delle operazioni militari israeliane è
un’opinione di parte controversa in quanto
contrasta con la posizione degli israeliani,
che affermano, in genere, che le operazioni
militari prendono di mira obiettivi precisi
coinvolti nelle attività terroristiche".
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