Rimpianto inopportuno per la politica estera filo-araba e ambigua con il terrorismo della prima Repubblica
che non ha mai fatto del nostro paese un mediatore, piuttosto un complice
Testata: La Repubblica
Data: 22/12/2004
Pagina: 4
Autore: Daniele Mastrogiacomo
Titolo: Fini a Ramallah, omaggio ad Arafat
L'Italia "aveva abbandonato" il ruolo di "promotore del nuovo processo di pace", dopo "i contrasti sulla seconda Intifada", cioè la condanna del terrorismo, "e la scelta di isolare politicamente e fisicamente l´ex presidente dell´Anp Yasser Arafat", cioè il maggior responsabile del fallimento del processo di pace.
Questa la tesi di Daniele Mastrogiacomo all'inizio della sua cronaca della visita di Gianfranco Fini a Ramallah, a pagina 4 di LA REPUBBLICA di mercoledì 22-12-04.
Evidente è il rimpianto di Mastrogiacomo per una politica estera italiana filo-araba e disposta ai compromessi con il terrorismo che non ha mai favorito la pace e ha sempre precluso al nostro paese la possibilità di esercitare realmente un ruolo di mediazione nel conflitto israelo-palestinese.

( a cura della redazione di Informazione Corretta)

Ecco l'articolo:

GERUSALEMME - L´Italia torna in Medio Oriente e si candida come promotore del nuovo processo di pace. Un ruolo che aveva abbandonato da tempo, dopo i contrasti sulla seconda Intifada e la scelta di isolare politicamente e fisicamente l´ex presidente dell´Anp Yasser Arafat - che ieri Fini ha definito il «Padre della patria per i palestinesi» - rimasto per tre anni prigioniero dentro la Muqata. E il compito di questo cauto ma non certo inaspettato cambiamento di rotta viene assunto dal vicepresidente del consiglio Gianfranco Fini al suo primo viaggio, non solo in Israele ma nei Territori occupati, come ministro degli Esteri del governo Berlusconi. In una giornata scandita da un calendario fittissimo che lo ha visto a colloquio con il premier Ariel Sharon, con il titolare degli Esteri israeliano Silvan Shalom e poi di corsa a Ramallah con il primo ministro Abu Ala e il suo omologo palestinese Nabil Shaath con cui ha firmato un impegno italiano per l´addestramento delle forze di sicurezza palestinesi, Fini parla con cautela delle possibilità di mediazione. Una sfida difficile ma non impossibile. Oggi Fini ne parlerà al King David di Gerusalemme con il premier britannico Tony Blair, anche lui in Israele.
«Esistono le condizioni», ha ribadito il ministro degli Esteri italiano, «per rilanciare il processo di pace. È un´occasione che non intendiamo perdere, nel rispetto della prerogative di entrambe le parti. Molte cose sono cambiate nelle ultime settimane. È cambiata soprattutto una mentalità in Europa. In passato, la comunità europea non si era sforzata abbastanza di capire le ragioni di Israele. Ora, invece, è compreso da tutti che in Medio Oriente non vi sono le ragioni da una parte e i torti dall´altra». E anche per questo oggi Fini renderà omaggio alla memoria di Yasser Arafat alla Muqata: «Sono stato invitato a visitare i Territori dall´Autorità palestinese, sarebbe davvero di pessimo gusto non riconoscere che per i palestinesi, al di là del giudizio che se ne può dare, Arafat è il padre della patria. Ritengo più che normale esprimere, sul luogo in cui è sepolto, il senso di comprensione del governo italiano per il ruolo che Arafat ha avuto e ha nell´immaginario collettivo palestinese».
Ma le condizioni per una ripresa del dialogo e per ricucire le ferite che hanno insanguinato entrambi i fronti per anni, secondo Fini si basano su un assunto che non ammette sfumature: la condanna della violenza, l´isolamento dell´estremismo, la battaglia contro il terrorismo. Fa effetto vedere quel muro di cemento armato che taglia in modo spesso arbitrario territori rivendicati da due popoli vittime della stessa tragedia. Fini lo ammette. Lo ha potuto constatare di persona quando, per la prima volta, ha varcato il check-point di Kalandia. Con la gente che si ammassava alle barriere in un clima di sconforto e di rassegnazione, mettendo in risalto il contrasto abissale tra un paese come Israele che sta affrontando una delle prove più difficili della sua storia, con il ritiro di 8000 coloni dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania, e un popolo che non ha ancora una pur minima forma di Stato. «La barriera», ha detto il ministro degli Esteri italiano, «è una necessità dolorosa, perché da quando esiste, obiettivamente, il numero degli attentati è calato vistosamente. Ma dobbiamo lavorare perché essa non sia più necessaria». La risposta, a parere di Fini, «è nella lotta al terrorismo. Bisogna sradicarlo. E questo significa reprimere, ma anche migliorare le condizioni di vita dei palestinesi». Ecco quindi che si delinea un rapporto di collaborazione concreta tra l´Italia paese promotore in Europa del nuovo processo di pace e l´Autorità nazionale palestinese. Non solo attraverso la riapertura dei canali di finanziamento, un piano di addestramento delle forze di sicurezza palestinesi da parte dei nostri carabinieri, il sostegno attivo di una conferenza intergovernativa , da tenersi entro giugno a Londra, che fissi nuovi puntelli per la Road Map, l´unico progetto già definito e ancora da seguire.
Ma con un impegno da parte dell´Anp rivelato dal ministro degli Esteri Shaath allo stesso Fini. Qualcosa di inedito, che getterebbe le basi definitive per un accordo che i vertici palestinesi vogliono raggiungere prima delle elezioni del 9 gennaio prossimo. Shaath, stando ad indiscrezioni, è stato chiarissimo con Fini: vogliamo trasformare in partiti politici tutti i gruppi che hanno fatto ricorso finora al terrorismo. Si dovrà scegliere e chi non accetterà, resterà fuori. A quel punto, ha sostenuto Shaath, saremmo in grado di imporre misure repressive e di arrivare ad un accordo con Israele. La sfida è appena iniziata.
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