Critiche alla strategia del terrore dall'interno della società palestinese
reportage di Davide Frattini
Testata: Corriere della Sera
Data: 22/12/2004
Pagina: 13
Autore: Davide Frattini
Titolo: I primi no all'intifada armata: "La nostra lotta sia pacifica"
A pagina 13 il CORRIERE DELLA SERA di mercoledì 22-12-04 pubblica un informato articolo di Davide Frattini sulle voci moderate in campo palestinese.
(nota di Informazione Corretta: + Frattini -Ferrari/Coppola = Corriere OK)
Ecco il testo:

Ayed Morar ha uno sfregio sul bicipite sinistro, ricordo di una pallottola israeliana durante la prima intifada. « Tiravo pietre contro i soldati » .
Ayed era un combattente palestinese, un fuggitivo, un ricercato che ha speso sei anni in carcere. Un militante del Fatah, una vita per l'estremismo armato.
Oggi la cicatrice sul braccio è il tatuaggio di un marinaio che non vuole imbarcarsi più. Ogni mattina percorre il sentiero che dal suo villaggio in Cisgiordania scende tra gli ulivi dove gli israeliani stanno costruendo la barriera di sicurezza. Ogni mattina da quasi un anno si siede con le donne e i bambini di Budros davanti ai bulldozer e alle scavatrici.
« Ero uno sconfitto — racconta Ayed , 42 anni — . Adesso ho capito che la non violenza è la strada. L'unico modo per salvare le nostre terre » . Un giudice di Gerusalemme gli ha dato ragione: in gennaio Ayed e il fratello Naim, 50 anni, erano stati arrestati per le manifestazioni, ma il tribunale li ha fatti rilasciare dopo dieci giorni sostenendo che non c'era alcuna prova di legami con il terrorismo. « Se noi palestinesi proseguiamo con gli attentati — continua Ayed — gli arabi e gli islamici ci offriranno il solito supporto di facciata, mentre America ed Europa non potranno essere dalla nostra parte. Se scegliamo la non violenza, il mondo arabo resterà zitto e gli occidentali verranno in nostro aiuto. E' la tattica migliore, ma ci vuole tempo perché diventi dominante: non è come un bottone, che lo pigi e tutto si mette in moto » .
E' il cambio di strategia che Abu Mazen, favorito alla successione di Yasser Arafat nelle prossime elezioni del 9 gennaio, vorrebbe imprimere a tutta la società palestinese.
Per ora ci ha provato con un'intervista ad Asharq Al Awsat , quotidiano in arabo pubblicato a Londra. « L'uso delle armi — ha detto Abu Mazen, 69 anni — è solo dannoso e non porterà alla nascita di un nostro Stato » . Tutte le fazioni estremiste, dai fondamentalisti di Hamas e Jihad fino alle Brigate Al Aqsa, hanno respinto l'appello. « Il problema è che Abu Mazen non può essere il Gandhi di Palestina — sostiene MohammedHourani, membro del consiglio rivoluzionario del Fatah, il movimento predominante — , è un politico onesto ma non ha il carisma necessario. Il Fatah continua a sostenere la rivolta armata in Cisgiordania e a Gaza » .
« Non sarà Gandhi — risponde Abdel Fattah Amayel , ministro della Gioventù fino al settembre 2003 nei quattro mesi del governo di Abu Mazen — ma adesso la non violenza come tattica viene finalmente discussa. Innanzitutto dovremmo riformare i nostri giornali e le nostre televisioni, l'incitamento all'odio deve cessare » .
La maggioranza dei palestinesi sembra credere che l'era post- Arafat possa essere quella della riconciliazione: l' 80% — in un recente sondaggio del centro guidato dal moderato — è convinto che siano cresciute le possibilità di un accordo con Israele e che gli attacchi debbano fermarsi da entrambi le parti.
« L'andamento delle elezioni permetterà di capire se la società può davvero cambiare — spiega , direttore dell'Istituto palestinese per le comunicazioni di massa — . Se il 50% boicotta il voto, significa che la gente preferisce i proclami e gli attentati di Hamas. Se andrà alle urne più del 50% e Abu Mazen verrà eletto, vuol dire che siamo pronti a sostenere i negoziati » .
Il centro di ricerca diretto da Yaghi pubblica il mensile Dialogo e nelle ultime due settimane ha trasmesso un programma televisivo su 10 canali in Cisgiordania per incoraggiare il dibattito sulla non violenza, tra i palestinesi non è mai nato un vero movimento pacifista che si opponesse ai kamikaze. « Il tabù è stato infranto solo un anno fa — spiega Yaghi — .
Per la prima volta poche voci, ancora troppo timide, hanno tentato di opporsi alle bombe. Anche i politici moderati preferiscono rimanere vaghi. Non vogliono far pensare di aver capitolato, di aver ceduto al nemico. Ma non possiamo dire di aver accettato i punti della road map, se Hamas continua le sue operazioni » .
L'università Al Quds a Gerusalemme Est ha lanciato nel 2001 un master in relazioni internazionali che vorrebbe formare dei mediatori, capaci di costruire ponti tra i due popoli. « Nelle nostre scuole — dice il creatore del corso — i programmi educativi non incoraggiano la pace, i libri di testo non condannano i kamikaze. I nostri leader hanno lasciato credere che facendo esplodere un autobus o uccidendo una donna in un ristorante noi avremmo piegato gli israeliani. Invece ci siamo trasformati da vittime in aggressori: sarà difficile cambiare perché questa è una società islamica influenzata dal Corano che invita allo scontro » . è il parlamentare palestinese più votato nel distretto di Ramallah all e elezioni del 1996. Professore di Scienze politiche all'università Bir Zeit, sulla non violenza ha scritto uno studio di 340 pagine. « Ho detto ad Abu Mazen che esprimersi contro la militarizzazione dell'intifada non è sufficiente. Bisogna proporre un'alternativa, dimostrare che abbandonare le armi è il modo migliore di raggiungere gli obiettivi » .
Come per i 1400 abitanti di Budros, che con le loro manifestazioni hanno salvato 3000 alberi di ulivo.
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