Intervista acritica al ministro degli Esteri dell'Anp
che accusa Israele di non volere la pace, ma non spiega cosa siano disposti a fare i palestinesi per rilanciare il dialogo
Testata: Corriere della Sera
Data: 21/12/2004
Pagina: 10
Autore: Alessandra Coppola
Titolo: Spero che Berlusconi venga anche a Ramallah
A pagina 10 del CORRIERE DELLA SERA di martedì 12 dicembre 2004 Alessandra Coppola intervista Nabil Shaat, ministro degli Esteri dell'Anp. Shaat sostiene che "il governo israeliano non ha ancora preso una posizione di pace, non contribuisce alla ripresa del dialogo".
Alessandra Coppola non replica, come avrebbe potuto e dovuto, citando i gesti compiuti da Israele per favorire la ripresa del dialogo: dall'annunciato ritiro dalle città palestinesi durante le elezioni alla liberazione di 170 detenuti palestinesi. Né chiede a Shaat quali siano, per contro, i passi già compiuti dai palestinesi in direzione della pace: se, per esempio, la nuova dirigenza sia disposta a rinunciare al "diritto al ritorno". Una nota di redazione, in compenso ci informa che "il premier israeliano ha parlato del 2005 come «un anno di opportunità» per la pace, ma anche sottolineato che in un accordo finale punta all'annessione di tutte le colonie in Cisgiordania e a non dividere Gerusalemme". In realtà il piano di ritiro di Sharon riguarda, in una fase successiva a Gaza, anche insediamenti situati in Cisgiordania.

Ecco l'intervista:

Oggi Fini, presto Berlusconi. Il ministro degli Esteri palestinese Nabil Shaat, al telefono da Gaza, si dice «molto contento» della visita dell'omologo italiano. E, nell'idea che si stia aprendo «una nuova fase positiva» con i vicini di Mediterraneo, rilancia: «Vorrei che venisse qui anche il premier Silvio Berlusconi».
Eppure, negli ultimi anni di vita di Arafat, le relazioni con Roma avevano attraversato un momento difficile: nel viaggio in Terra Santa del giugno 2003 il presidente del Consiglio italiano non aveva incontrato il raìs, in linea con l'idea israeliana e statunitense che non fosse un interlocutore valido. E non aveva visto neanche l'allora premier Abu Mazen.
Un precedente negativo per le relazioni italo-palestinesi...
«Io guardo alla storia molto lunga del rapporto tra i nostri due popoli. Un rapporto che non comincia e non finisce oggi, e che spero abbia anche un lungo futuro. L'Italia è un Paese mediterraneo, un buon vicino, siamo sempre stati ottimi amici e non ritengo che i problemi che ci sono stati nel corso dell'ultimo governo Berlusconi possano essere considerati una rottura dell'amicizia. Per questo, appena è stato eletto, ho invitato Gianfranco Fini a Ramallah. E sono molto contento che sia arrivato. Non mi interessa di che partito politico fa parte, io penso solo alla relazione strategica tra italiani e palestinesi. Anche il ministro Franco Frattini era molto interessato, ma non è mai venuto. Fini ha subito accettato e credo che questo sia un buon segnale. Sarei veramente molto contento se anche Berlusconi rispondesse positivamente all'invito».
Che ruolo ritiene possa avere l'Italia in questa nuova fase della storia palestinese?
«L'Italia è un Paese europeo, mediterraneo, buon amico degli Stati Uniti, fa parte della Nato e del G7.
Può avere grande influenza in tutti questi contesti. Può fare pressioni su Washington perché capisca che non può esserci la pace senza l'istituzione di uno Stato palestinese accanto a quello israeliano, nei confini tracciati nel '67. E in questa direzione l'Italia può anche usare la sua influenza con Israele».
Domani arriva nella regione anche il premier britannico Tony Blair. Che cosa pensa della sua proposta di una Conferenza internazionale dopo le presidenziali del 9 gennaio?
«Noi vogliamo che la Conferenza sia l'occasione per rilanciare la road map, vogliamo che siano fissate delle tappe precise, delle date certe per il processo di pace. E poi chiediamo aiuto per il popolo palestinese, anche finanziario. Ogni contributo è bene accetto».
A un'eventuale Conferenza di Londra, però, Israele ha già annunciato che non parteciperà, perché, dice, l'incontro sarà centrato sul sostegno alla ripresa economica e alle riforme politiche palestinesi . Affari nei quali lo Stato ebraico ritiene di non dover entrare.
«La verità è che il governo israeliano non ha ancora preso una posizione di pace, non contribuisce alla ripresa del dialogo. Il discorso che Sharon ha tenuto alla Conferenza di Herzliya (giovedì scorso, ndr) era di fatto una negazione della road map (il premier israeliano ha parlato del 2005 come «un anno di opportunità» per la pace, ma anche sottolineato che in un accordo finale punta all'annessione di tutte le colonie in Cisgiordania e a non dividere Gerusalemme, ndr). Israele continua a rifiutare ogni passo in direzione della pace e ogni reciprocità nel percorso con i palestinesi».
Lei è a Gaza anche per portare avanti, insieme agli altri leader palestinesi, i negoziati con Hamas e con la Jihad islamica per una «hudna», una tregua. Come procedono i colloqui?
«L'intesa per il cessate il fuoco non è stata raggiunta. Ma io sono ottimista e ora anche il presidente dell'Olp Abu Mazen, terminati i suoi impegni diplomatici, tornerà a occuparsi della questione in prima persona».
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