Dittature, fanatismo e vittimismo all'origine del mancato sviluppo del mondo arabo
un' interessante risposta di Paolo Mieli nella rubrica delle lettere
Testata: Corriere della Sera
Data: 21/12/2004
Pagina: 43
Autore: Paolo Mieli
Titolo: Per svilupparsi il mondo arabo deve essere meno vittimista
A pagina 43 del CORRIERE DELLA SERA di martedì 21 dicembre 2004 Paolo Mieli risponde alla lettera di un lettore che "Per svilupparsi il mondo arabo deve essere meno vittimista".

Ecco i testi della lettera e della risposta:

C'era un passaggio poco chiaro nella risposta che lei, caro Mieli, ha dato a un lettore a proposito dei progressi africani in direzione della democrazia.
Lei ha fatto riferimento al saggio di Guglielmo Verdirame dove si constata che i progressi di cui ho testé detto nel continente nero, non sono stati seguiti da qualcosa di analogo nei Paesi arabi. Dopodiché però lei — o più probabilmente Verdirame — non ha approfondito questa circostanza con qualche comparazione che sarebbe stata oltremodo utile.
E' una realtà, infatti, che i Paesi arabi, pur essendo infinitamente più ricchi dal momento che dispongono della risorsa petrolio e pur avendo alle spalle una grande civiltà, sono meno democratici di quelli africani. Dario Valtolina Milano

Caro signor Valtolina, la colpa del mancato approfondimento di questo tema è interamente mia ancorché imputabile a ragioni di spazio. Verdirame invece, nel saggio di cui ho parlato la volta scorsa, si è occupato con attenzione delle differenze, sotto il profilo democratico, tra Paesi arabi e africani. In aggiunta ai casi di cui ho già detto, per sottolineare che il punto non è l'islamismo ha ricordato che, restando in Africa, in Mali il presidente Alpha Omar Konaré non si è ricandidato alle elezioni presidenziali del 2002, rispettando la Costituzione che prevede un massimo di due mandati presidenziali. Konaré non ha fatto ricorso a colpi di Stato, a riforme costituzionali dell'ultima ora né a nessun altro escamotage per restare aggrappato al potere: il suo partito ha perso le elezioni e l'opposizione guidata da Amadou Toumani Touré gli è succeduta alla guida del Paese. Il Mali è un Paese musulmano sebbene dalla storia e dalla cultura politica molto diversa dai Paesi arabi nordafricani e mediorientali. Perfino nello Zimbabwe di Mugabe — proseguiva Verdirame — nonostante la brutalità della repressione politica, il potere giudiziario è riuscito a mantenere la propria indipendenza erigendosi a difesa intransigente delle libertà e dei diritti dell'individuo: è del primo maggio 2003 la decisione della Corte Suprema che ha dato ragione a due giornalisti mandati in galera da Mugabe, dichiarando incostituzionale la legge sui media che imponeva restrizioni alla libertà di espressione. Nell'Africa subsahariana, ci sono diversi Stati che, se paragonati ai Paesi arabi del Medio Oriente, rappresentano un successo sotto il profilo del progresso democratico compiuto negli ultimi due decenni, pur avendo questi Paesi indicatori socioeconomici (reddito pro capite, tasso di alfabetizzazione, acqua potabile) incidenza più brutale che nei Paesi arabi. Quanto alle multinazionali, esse operano tanto in Africa che in Medio Oriente e non hanno, come vorrebbero far credere i semplificatori dell'antiglobalizzazione, un'agenda politica liberticida: democrazia e libertà non sono un lusso per i ricchi. «La maturità politica dell'elettorato nei Paesi dell'Africa subsahariana dovrebbe servire da lezione», osserva il saggista per poi chiedersi: «Perché gli elettori di Kenya, Mali, Sudafrica, Botswana hanno saputo evitare l'errore di votare per i partiti antidemocratici, come invece hanno fatto gli algerini? Perché nell' Africa subsahariana non è nato una sorta di fascismo in versione africana paragonabile all' estremismo di matrice islamica che galvanizza le masse arabe?». La sua risposta è che «una ragione importante sta nel fatto che molti africani non hanno ceduto alla tentazione del vittimismo; il mondo arabo, invece, deve fare i conti con un vittimismo cronico, che consente di addossare ogni responsabilità agli americani o agli israeliani; un vittimismo che rende la cultura politica così ottusa da poter tollerare le più grosse contraddizioni». Per esempio? Nei Paesi arabi si manifesta a favore dei «fratelli» palestinesi «oppressi» dagli israeliani, mentre decine di migliaia di palestinesi nati in Libano si vedono negati i diritti fondamentali: non possono esercitare le professioni libere, non possono iscriversi all'università, non possono ereditare (molti palestinesi lasciano i loro beni in eredità ad amici libanesi con la promessa, spesso non mantenuta e priva di valore giuridico, che questi diano poi i lasciti ai loro parenti). E, sulla scia di queste osservazioni, a me sembra che un minore vittimismo accompagnato da un maggiore rispetto dello spirito di non contraddizione sarebbe un buon punto di partenza per il riscatto del mondo arabo.
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