Gadi Luzzato Voghera replica, senza convincere, a Giorgio Israel
su un quotidiano che rivendica la propria amicizia per Israele, ma conferma la propria ambiguità
Testata:
Data: 21/12/2004
Pagina: 2
Autore: Gadi Luzzato Voghera - un giornalista - Bobo Craxi
Titolo: Caro Israel, neo-con non è un'offesa - Se Israel ci leggesse - Berlusconi, riportiamo il Medioriente in agenda
IL RIFORMISTA di martedì 21 dicembre 2004 pubblica a pagina 2 dell'inserto "Diplomatique" una replica di Gadi Luzzato Voghera a Giorgio Israel (per il suo intervento "Sinistra e antisemitismo", Informazione Corretta 18-12-04, che a sua volta criticava un articolo di Luzzato Voghera ripreso in "Se la sinistra non vuole lasciare alla destra la battaglia contro il nuovo antisemitismo, non ha che da combatterla", Informazione Corretta 17-12-04).

Ecco l'articolo di Gadi Luzzato Voghera, "Caro Israel, neo-con non è un'offesa":

Vedo oggi su Informazionecorretta.it una garbata critica redazionale al mio intervento sul Riformista e una lunga reprimenda di Giorgio Israel. Se me lo concedete vorrei replicare perché mi pare di non essere riuscito a farmi capire. Innanzitutto, l’origine dell’articolo: il direttore del Riformista mi chiama e mi chiede un articolo sull’Anti-Defamation League perché gli pare importante inquadrare il convegno di Roma. Accetto con piacere e scrivo un articolo che vuole dire sei cose.
L’Adl è la più importante organizzazione internazionale impegnata nel monitoraggio e nell’azione politica contro l’antisemitismo.
L’attuale direttore Foxman è politicamente schierato.
Il convegno di Roma è ben organizzato perché prevede voci bi-partisan.
La lotta all’antisemitismo è un fronte politico su cui si incontrano oggi realtà che solo pochi anni fa erano molto distanti.
La sinistra è ambigua nel suo atteggiamento verso l’antisemitismo.
Il governo italiano xha fatto bene a organizzare il convegno ma potrebbe fare di più, e la questione della Task Force sull’Olocausto lo dimostra.
Opinioni personali, a cui Giorgio Israel risponde attribuendomi un retropensiero che francamente non mi appartiene. Partiamo dal titolo (che non ho scritto io): perché offendersi della definizione «ala neocon dell’ebraismo»? I neoconservative sono una legittima e vivacissima corrente di pensiero politico nata negli Usa che fra i suoi padri annovera Leo Strauss, un ebreo tedesco in fuga dalla Germania nazista che è stato fra i maggiori intellettuali ebrei del Novecento. Foxman è politicamente schierato, e anche questo è legittimo. Non va scritto? E perché, non mi sembra un offesa, è solo una constatazione.
Mi viene rimproverato il fatto di aver attribuito alla lotta all’antisemitismo l’essere divenuta un terreno di incontro politico fra uomini provenienti da percorsi differenti. Anche questa è una critica che non capisco. Trovo legittimo anche questo; la storia dell’antisemitismo moderno è caratterizzata proprio dal fatto che la sua pratica e la sua condanna sono state terreno di incontro di uomini e schieramenti assai differenti. Nel fronte dreyfusardo della fine dell’Ottocento convivevano socialisti, liberali, cattolici moderati che nella normale dialettica politica si trovavano su schieramenti contrapposti. E anche oggi noto che la lotta all’antisemitismo diventa terreno di incontro politico in cui il direttore di The New Republic si trova a concordare con l’analisi di Fini. Dov’è lo scandalo, francamente non capisco.
Israel poi mi accusa di scrivere con "livore". Non riesco a vederlo, e non ho scritto una sola parola che contestasse le parole di Pera o quelle di Frattini o di Fini. Ho scritto, sì, e lo confermo, che la presidenza italiana della Task Force sull’Olocausto è stata deficitaria: è anche quella lotta all’antisemitismo, e non si tratta solo di analisi storica o retorica della memoria: si tratta di mettere in campo strategie educative di lungo periodo, pubblicazioni, produzioni di supporti didattici, insomma tutto quanto uno stato dovrebbe fare se investito a livello internazionale di una responsabilità che ha semplicemente disatteso. Si può ancora avanzare una critica politica in questo paese o è reato di lesa maestà?
Avrei accusato di "collateralismo" l’ala neocon ebraica nei confronti della destra. Non è un’accusa, è una constatazione. Se Israel sente come un’offesa l’aggettivo neocon, è libero di cambiare frequentazioni.
Il resto delle critiche mi sembrano più frutto della foga polemica che del ragionamento pacato. Io, personalmente, non ritengo in alcun modo che gli ebrei siano in maniera "naturale" schierati a sinistra. Non lo ritengo a tal punto che - primo in Italia, a quanto mi consta - sto organizzando a Padova per metà febbraio un seminario universitario su «Ebrei e destra politica in Italia dall’Unità ad oggi». Invito fin d’ora Israel a seguire i lavori e a partecipare al dibattito.
Quel che io pensi poi della sinistra (non solo italiana) e del suo atteggiamento nei confronti di Israele e/o dell’antisemitismo è cosa nota e non rispecchia quel che Israel mi attribuisce. Ho scritto due libri sull’antisemitismo e nel primo (dieci anni fa) scrivevo a chiare lettere che una delle radici ideologiche dell’antisemitismo contemporaneo (sulle tre che identifico) è fondata storicamente e culturalmente nella storia del socialismo e del movimento operaio (il che non significa pensare che sia una radice universalmente condivisa, dico solo che l’antisemitismo non è culturalmente estraneo alla sinistra). L’ambiguità c’è, a sinistra, perché la sinistra italiana è articolata e non rispecchia un solo pensiero. Non me la sento quindi - come immagino vorrebbe Israel - di affermare che la sinistra è antisemita in toto. Libero Israel di pensarlo, per fortuna siamo in democrazia.
La digressione sugli Hezbollah è invece preoccupante, perché sottintende che io abbia un qualche pudore ad affermare che quel movimento sia antisemita. Mi pare proprio di aver scritto che gli Hezbollah sono accusati (dalla Francia) «di fomentare l’odio etnico antisemita camuffandolo da antisionismo». Insomma, ho scritto che sono antisemiti sì o no? Io credo di sì. Oltretutto ho ancora vivo in me il ricordo dei razzi katiusha sparati da quegli amabili figuri sulla mia testa quando lavoravo in un kibbutz dell’alta Galilea nell’estate dell’82, sicché proprio non provo per loro nessuna simpatia.
Per concludere, non capisco cosa in effetti abbia fatto saltare la mosca al naso a Giorgio Israel. Me ne dispiace perché leggo sempre con piacere e interesse i suoi interventi sul Foglio. Mi farebbe piacere che in Italia si tornasse - in generale - a discutere presumendo in chi scrive la buonafede, a prescindere dal fatto che si concordi o meno con le tesi che si esprimono.
Ecco le nostre osservazioni: 1) condividiamo totalmente quanto scritto da Giorgio Israel nel suo articolo 2)il fatto che Foxman sia politicamente schierato non significa che anche l'Adl lo sia, perché anche una persona politicamente schierata può dirigere in modo imparziale un'organizzazione che ha finalità morali e civili che dovrebbero essere condivise da tutte le parti politiche 3)"neo-con" non è, di per sé, un insulto, ma è inteso come tale da gran parte della sinistra italiana, cosa che Luzzato, e chi ha titolato il suo articolo, non può ignorare 4)se non un insulto è sicuramente un'accusa molto grave quella di "un uso politico" del problema dell'antisemitismo; anche ammettendo che l'etichetta neo-con sia utilizzata in modo neutro, non denigratorio, certamente non è neutro, ed'è gravemente denigratorio, ipotizzare la volontà di sfruttare la lotta all'antisemitismo per favorire posizioni neo-conservatrici o genericamente "di destra" 5) l'equivalenza tra "frequentazioni" e "collateralismo", istituita da Luzzato è, come volevasi dimostrare, perfettamente stalinista: al di fuori di una logica totalitaria di sospetto poliziesco, infatti, dedurre da rapporti personali o di collaborazione su specifici temi un'identità di vedute più generale e la collaborazione a un più vasto, e non dichiarato, progetto politico, non ha senso 4)Luzzato non ha scritto che gli Hezbollah sono antisemiti, ma solo che sono "accusati di fomentare l'odio etnico antisemita camuffandolo da antisionismo" 5) non è che tutta la sinistra sia antisionista è antisemita, ciò che è innegabile è che su tali temi sconta un'egemonia culturale delle sue frange radicali che i "riformisti" combattono troppo timidamente, e con deviazioni e sterili polemiche contro chi l'antisionismo e l'antisemitismo lo combatte sul serio. Deviazioni e sterili polemiche di cui l'articolo di Luzzato criticato da Israel è un esempio lampante.

IL RIFORMISTA pone a commento della polemica un breve articolo, intitolato "Se Israel ci leggesse", che stupisce per la sua totale mancanza di pertinenza. Che cosa c'entrano infatti con la critica a un singolo intervento gli articoli (alcuni buoni, altri ottimi, altri ancora criticabili) pubblicati in passato dal giornale?
Viene quasi il sospetto che l'ego di chi ha scritto questo redazionale sia ancora più "smisurato" di quanto egli non voglia ammettere e lo porti a pensare che la collezione completa del RIFORMISTA vada letta come la Bibbia secondo Schleirmacher, vagliando il significato di ogni singola parola alla luce della totalità del testo.
Una richiesta che ci sembrerebbe francamente eccessiva.

Ecco il pezzo:

Ci dispiace, sinceramente, che Giorgio Israel abbia incrociato le lame con Gadi Luzzatto Voghera attraverso Informazione Corretta. Ci dispiace talmente che abbiamo riportato qui la polemica. Non entriamo nel merito, perché offriamo ai nostri lettori il testo di Israel e la risposta di Luzzatto Voghera. Il nostro rammarico non è solo perché riteniamo Israel una persona intelligente e il nostro ego smisurato ci spinge a desiderare che le persone intelligenti ci leggano. Ma perché se si fosse informato su quel che scriviamo fin dalla nostra nascita, forse avrebbe condotto la sua polemica con toni meno sommari e roboanti. Avrebbe scoperto che la storia di Diliberto l’abbiamo denunciata noi per primi. Saprebbe che abbiamo sempre appoggiato Sharon (e l’evoluzione della situazione politica in Israele ci sta dando ragione). O che su antisemitismo e antisionismo non siamo mai stati né «insinuanti» né «sfuggenti». Avrebbe evitato così di lanciare stonati anatemi: «stalinismo», «odiosi», «demonizzatori». Gli amici di Israele (e del sionismo) non sono solo a destra. Il fanatismo dottrinario non fa bene a nessuno, tanto meno a Israele o alla questione ebraica.
L'articolo di Luzzato Voghera sarebbe stato ovviamente criticabile anche se IL RIFORMISTA pubblicasse altrimenti soltanto articoli encomiabili su Israele.
In ogni caso non è così, come dimostra, a pagina 4 dell'inserto, un articolo di Bobo Craxi, "Berlusconi, riportiamo il Medioriente in agenda", nel quale al rimpianto per il "padre dei palestinesi", il terrorista Arafat, si accompagnano le vibranti denunce delle "feroci rappresaglie israeliane" e dei "moderni bantustan" in cui sarebbero rinchiusi i palestinesi.
La pubblicazione di un simile testo, dovuto a un noto "sostenitore di Sharon" come Bobo Craxi, conferma la linea incerta, se non ambigua, del RIFORMISTA sul conflitto israelo-palestinese. Incertezza della quale prendiamo atto con rammarico e con la speranza che si risolva presto in una posizione chiara e univoca, ma che non possiamo ignorare.

Ecco l'articolo:

«E’ passato un mese, ma ancora non ci possiamo credere: ogni mattina passo dalla Mukata a salutare Abu Ammar, anche se lui non c’è più…». Così ci ha detto la figlia più giovane di Abu Jihad, il numero due di Arafat trucidato sotto i suoi occhi dai servizi israeliani. Allo shock per la morte del padre si è aggiunta l’improvvisa scomparsa del padre di tutti i palestinesi, nonostante i pareri concordi di tutta la stampa internazionale si affannino a spiegare che egli ha offerto il suo sacrificio alla possibilità di una nuova pace mentre, in realtà, ha lasciato, insieme al vuoto incolmabile, un clima di dubbi e di incertezze. La dirigenza palestinese non si è tuttavia persa d’animo e ha capitalizzato l’enorme emozione suscitata dalla scomparsa del "rais" per accelerare, così come previsto dalla loro Costituzione, tutti i procedimenti che li porteranno a un voto democratico per eleggere il sostituto di Arafat. Sono stati abili e lungimiranti i dirigenti di Al Fatah, riponendo antiche e non sopite divisioni per scegliere l’uomo che più d’ogni altro rappresenta la nuova credibilità dei palestinesi sulla scena internazionale, Abu Mazen, cercando di garantirsi una cornice internazionale di sostegno attivo, di supervisione alle elezioni presidenziali e a quelle legislative del 9 gennaio. La Commissione europea si è già messa all’opera inviando i primi osservatori "a lungo termine", provenienti da tutti gli Stati membri (della delegazione fanno parte tre italiani in qualità di esperti con un curriculum alle spalle di osservatori nelle operazioni più difficili: Bosnia, Mozambico, Kossovo, Timor…). Gli Stati arabi "fratelli" a parole hanno voluto garantire il loro sostegno con la diffidenza che da sempre li caratterizza.
Ma le incognite sulle elezioni di gennaio sono soprattutto due e sono rappresentate dagli attori principali che si fronteggiano sul terreno: i palestinesi che hanno trovato l’ombrello protettivo dell’islamismo più radicale e che influenzano l’area più popolosa e anche più povera di questa specie di entità nazionale della Palestina. Sono le milizie di Hamas, apparentemente silenziose nel rispetto dei quaranta giorni di lutto per la morte di Abu Ammar, indecise se partecipare o meno alle elezioni presidenziali, certamente interessate a far valere la loro influenza sul voto municipale. Assieme al leader spirituale Barghouti, detenuto in Israele, rappresentano i maggiori ostacoli interni per la nuova leadership palestinese, che cerca di aggirarli promuovendo un giustificato attivismo politico-diplomatico. Le delegazioni dei parlamentari di Al Fatah, grazie a un permesso speciale, varcano il check-point di Ramallah per incontrare i parlamentari israeliani di tutti gli schieramenti politici: «Dovete fare in fretta e per bene, da questa parte pochi stanno spingendo per una soluzione equilibrata del conflitto», ripetono gli esponenti del Likud, resi ostaggi dal crescente peso dei coloni e dall’impressionante, quanto incomprensibile, rapido aumento di insediamenti, di quartieri abitati, ormai si dice, anche da cittadini del mondo venuti da ogni dove, soprattutto dall’ex Unione Sovietica, per contenere o squilibrare il peso demografico delle due popolazioni.
Malgrado Sharon appaia deciso a tirare diritto sulla strada dello smantellamento dei coloni a Gaza e a garantire un governo di unità nazionale destinato ad assumere decisioni impegnative, pesano sul futuro non solo le incomprensioni storiche, quanto le tragedie più recenti e vicine, gli attacchi suicidi che obbligano i cittadini israeliani a una esistenza blindata e le feroci e incontrollate rappresaglie israeliane che hanno circoscritto nei moderni "bandustan", decine di villaggi "arabi", molti dei quali privati non solo della libertà di movimento per gli abitanti, ma anche dei beni di necessità primari - acqua, luce -, che esaspera e rendono la popolazione prigioniera e inerme di fronte a una logica che spinge al "tanto peggio, tanto meglio".
Il console italiano Manduzi con arguzia mi ha ripetuto l’adagio che sembra esser divenuto l’auspicio comune di tante delegazioni internazionali presenti sul terreno: «Riusciranno i nostri eroi questa volta?», mentre con abilità diplomatica cercava di spiegare a Roma che proprio non sarà possibile evitare per il ministro Fini rendere omaggio ad Arafat in occasione della visita ufficiale, visto che riposa accanto al palazzo sventrato della Mukata. Naturalmente, il migliore auspicio è che, alla fine, le condizioni favorevoli generali accelerino i processi di un nuovo negoziato su basi che, allo stato, non appaiono né certe né medesime, ma i tempi medio-orientali non consentono di fare previsioni a breve scadenza, un passo alla volta. Suggerendo al nostro premier la città di Erice come località in grado di ospitare una conferenza internazionale di pace, ritenevo che si potesse nuovamente rimettere l’Italia al centro di questa difficile matassa da districare, conservando un buon ricordo dei politici italiani che hanno aiutato la causa palestinese e la sua internazionalizzazione: «Non dimenticheremo quello che fece vostro padre Bettino per noi» ha ripetuto a me e a mia sorella Stefania - divenuta "mamma adottiva", con la Fondazione Craxi, di settanta bambini palestinesi -, il presidente pro-tempore Fattouh. Anche a me vien da ripetere lo stesso, pensando all’esilio e alla diaspora dei socialisti italiani, poiché la scomparsa di un "rais", qualunque esso sia, lascia sulla terra un vuoto sempre difficile da riempire, e le speranze sono sempre sopraffatte dalle delusioni. Speriamo che questa volta non sia proprio così.
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