Un'intervista e una rassegna stampa per
collaborano u.d.g. e Alon Altaras
Testata:
Data: 20/12/2004
Pagina: 8
Autore: Umberto De Giovannangeli - Alon Altaras
Titolo: A Peres dico: un errore il patto con Sharon - Israele partita aperta sui vicepremier - Il premier sarà l'unico a decidere
A pagina 8 L'UNITA' di lunedì 20-12-04 pubblica un intervista di Umberto De Giovannangeli allo storico israeliano Zeev Sternhell, contrario all'ingresso dei laburisti nel governo Sharon.
Contrariamente a quanto sostenuto da Sternhell l'intervista a Shimon Peres a Le Figaro (riportata in "Shimon Peres spiega perché entra nel governo israeliano", Informazione Corretta 20-12-04)chiarisce che il leader laburista ha deciso l'ingresso del suo partito nel governo per realizzare l'obiettivo di un compromesso con i palestinesi. Dall'articolo di Alessandra Coppola del CORRIERE DELLA SERA ("Governo congiunto Likud- Labour in Israele", Informazione Corretta 18-12-04) si evince anche che i laburisti non hanno rinunciato alla difesa della loro politica economico-sociale, e hanno chiesto modifiche alle politiche del ministro delle Finanze Netanhyahu.

Ecco l'intervista, "A Peres dico: un errore il patto con Sharon":

La sua voce critica esce fuori dal coro. Zeev Sternhell, docente di Scienze Politiche all'Università ebraica di Gerusalemme, tra i più autorevoli storici israeliani, non brinda al «matrimonio politico» tra Ariel Sharon e Shimon Peres. «Per la sinistra - spiega Sternhell, autore di numerosi pubblicati in tutto il mondo, tra i quali ricordiamo "Nascita di Israele. Miti, storia, contraddizioni (Baldini &Castoldi) - si tratta di un suicidio politico. In questo modo si porta a compimento un processo di omologazione, culturale oltre che politica, che certo non giova al nostro sistema democratico né darà risposta alle due grandi emergenze - quella sociale e il rilancio del processo di pace con i palestinesi - che scuotono Israele». «Per i laburisti - incalza il professor Sternhell - quello con la destra di Netanyahu, Hanegbi, Livnat, Katz (l'ala oltranzista del Likud presente nel governo, ndr.) è un abbraccio mortale dal quale sarà difficile liberarsi».
Professor Sternhell, come valuta il nascente governo di unità nazionale Sharon-Peres?
«Come una disfatta per la sinistra. Con questa decisione, il gruppo dirigente del Labour ha di fatto accettato di avallare lo status quo, dimostrandosi subalterno alla destra. Il fatto è che il partito laburista è prigioniero del proprio passato, di un bagaglio storico e culturale che lo ha portato, sin dalla nascita dello Stato di Israele, a identificare se stesso con le istituzioni, come se fosse inconcepibile l'idea stessa di poter svolgere una funzione progressiva, di governo, anche dall'opposizione. Questa "sindrome ministeriale" ha sempre più reciso i legami del partito, del suo apparato con la società israeliana».
I dirigenti laburisti sostengono che sia stato Sharon ad avvicinarsi a loro…
«Questa è propaganda autoconsolatoria. Certo, i ministri laburisti faranno sentire la loro voce su questo o quel provvedimento del governo, vigileranno, per quanto gli sarà consentito sul ritiro da Gaza, ma non saranno in grado di proporre al Paese un progetto alternativo in campo sociale, della sicurezza, della pace; non sapranno, oltre che non potranno, contrastare le élite che dominano l'economia in difesa delle fasce sociali più deboli. Protesteranno, certo, ma resteranno subalterni a quella cultura della forza che permea l'azione politica della destra in ogni campo: la forza contro il più debole socialmente; la forza contro i palestinesi e contro gli stranieri…».
Insisto: Shimon Peres ha più volte ripetuto che l'ingresso dei laburisti al governo era di vitale importanza per dare attuazione al piano di ritiro da Gaza.
«Sono stato tra i primi a compiacermi del fatto che l'opposizione laburista avesse sostenuto con i propri voti il piano Sharon. Ma un singolo atto, per quanto importante, non giustifica di per sé l'abbraccio mortale con la destra oltranzista del Likud. Tanto più se si pensa che i più stretti collaboratori di Sharon hanno chiarito che il ritiro da Gaza, dal punto di vista della destra, serve per guadagnar tempo e proiettare in un futuro indefinito qualsiasi discussione su uno Stato palestinese indipendente. Un governo lo si forma su un programma articolato che affronti di petto tutti i nodi che sono alla base del conflitto con i palestinesi; un governo di coalizione nasce dalla comune volontà di dare risposta alla drammatica crisi sociale e morale che investe la società israeliana in ogni suo ambito; una crisi di valori che segna anche l'esercito e che non può essere affrontata parlando di poche "mele marce" da estirpare. Questa crisi per essere affrontata e portata a soluzione ha bisogno di ben altro che di semplici ritocchi, di aggiustamenti parziali. Non basta, ad esempio, chiedere che soldati e ufficiali macchiatisi di crimini contro civili palestinesi vengano inquisiti, senza interrogarsi sulla ragione di fondo - l'occupazione dei Territori e l'oppressione esercitata verso un altro popolo - che sta generando la crisi etica in Tsahal. Il Labour si è dimostrato subalterno alla realtà, ha rinunciato all'idea stessa del cambiamento, ha tolto la speranza a quanti in Israele continuano a credere che quello in cui viviamo non sia il mondo migliore possibile».
La sua, professor Shernhell, è un'analisi impietosa di un tracollo culturale, prim'ancora che politico, del Labour. Qual è, dal suo punto di vista, l'ambito nel quale ciò è più manifesto?
«Senza alcun dubbio è nell'ambito della politica economica e sociale. Il futuro ci dirà se il Labour ha perso la "guerra per la pace"; di certo, alleandosi con l'ultraliberista Netanyahu, ha subito una disfatta nella "guerra" alle povertà. Ciò che è stato strappato nelle trattative di governo, per quanto riguarda le risorse destinate all'assistenza verso i più deboli, bambini e anziani in primo luogo, è davvero poca cosa rispetto all'emergenza sociale che investe Israele, un Paese nel quale 1,5 milioni di persone, vale a dire il 22,4% della popolazione, vive oggi sotto la soglia della povertà. I laburisti hanno dimenticato la verità, "antica" ma sempre attuale, che non c'è libertà senza uguaglianza. Ci saremmo attesi quanto meno che la sinistra ribadisse il principio che è possibile, sia pure gradualmente, cambiare la realtà. Mi sarei aspettato che qualcuno dei dirigenti laburisti affermasse che poiché possiamo generare la povertà e al miseria con le nostre proprie mani, siamo anche capaci di cambiare il senso e invertire la tendenza. Invece il silenzio. Un silenzio assordante. La sinistra scompare dalla scena quando determinate questioni che segnano il presente - la corruzione dilagante nella pubblica amministrazione, la crisi che investe l'esercito, l'influenza crescente delle élite finanziarie sugli indirizzi di politica economica e sociale- vengono messe tra parentesi nel proprio agire, sacrificate in nome del realismo politico per il quale il governo non è più strumento (di cambiamento) ma è il fine stesso a cui tendere».
Sempre u.d.g. firma la cronaca "Israele partita aperta sui vicepremier", che riferisce anche di "scontri" a Gaza (il lancio di missili qassam contro Sderot") e di "palestinesi" uccisi nella risposta militare israeliana contro le postazioni dei terroristi. Il linguaggio di u.d.g è scorretto e fuorviante.
Ecco l'articolo:

Ventuno deputati. Otto diventeranno ministri, altri tre saranno sottosegretari, altri quattro presiederanno commissioni parlamentari. Un sedicesimo sarà nominato capo della lista parlamentare. Più che un patto di coalizione, quella dei laburisti si configura come una «irruzione» nel nuovo governo. Almeno per quanto riguarda i posti. Sulla linea, è tutto da verificare. L’intesa Likud-Labour si basa sulla intenzione comune di realizzare nel 2005 il ritiro da Gaza (che prevede lo sgombero di una ventina di colonie) nonché significative riforme economiche concepite per rilanciare l’economia dopo un periodo di recessione iniziato con l’Intifada palestinese (settembre 2000). Trovato l’accordo sul programma, le ultime scintille tra le due delegazioni hanno riguardato il ruolo del leader laburista Shimon Peres nel futuro governo. Sharon gli ha detto che sarà nominato vice-premier, al fianco di Ehud Olmert (Likud). Ma una delle leggi fondamentali prevede che il primo ministro possa avere un solo vice. Dopo aver deciso di emendare quella legge fondamentale, Likud e laburisti si sono resi conto che occorrerà superare un periodo di settimane - o forse di mesi - prima che l’emendamento sia approvato in terza lettura. Né Olmert né Peres hanno accettato di tenersi nel frattempo in disparte. In aiuto dei dirigenti dei due partiti è giunta però la semantica. Esperti hanno opinato che nulla impedisce a Sharon di affiancare al vice-premier (in ebraico: «Memale makom») Olmert e a un altro vice-premier (in ebraico «Sgan») Silvan Shalom, ministro degli Esteri, un terzo vice-premier, ossia Peres, che riceverebbe la qualifica ebraica di «Mishne»: letteralmente, «sostituto». Se questa formula non sarà trovata in contrasto con la legge fondamentale, il quinto governo di unione nazionale nella storia di Israele prenderà il largo. Domani i 2400 membri del Comitato centrale del partito laburista saranno chiamati ad approvare la intesa col Likud e a scegliere i loro candidati al governo. In attesa del nuovo governo, quello vecchio ha annunciato che nei prossimi giorni libererà 170 detenuti palestinesi. Si tratta di un gesto di amicizia nei confronti del presidente egiziano Hosni Mubarak che due settimane fa ha restituito a Israele un druso che nel 1996 era stato condannato al Cairo a 15 anni di carcere per spionaggio. Nel frattempo è stato annunciato ieri un incontro fra alti funzionari governativi israeliani (guidati da Dov Weisglass) e palestinesi (guidati dal capo del gabinetto Hasan Abu Libdeh) allo scopo di discutere i preparativi delle elezioni presidenziali nei Territori, fissate per il 9 gennaio. Ma nella Striscia di Gaza si continua a combattere. Ieri mattina diversi razzi sparati dal nord della Striscia hanno colpito la vicina cittadina israeliana di Sderot, dove hanno ferito alcune persone. In reazione elicotteri israeliani da combattimento hanno sparato contro obiettivi palestinesi nel nord della Striscia. Altri scontri sono avvenuti anche nel sud della Striscia, dove proseguono i duelli fra l’esercito israeliano e i mortai dell’Intifada ( il bilancio di tre giorni di scontri è di 11 palestinesi uccisi e oltre 60 feriti).
La rassegna della stampa israeliana a cura di Alon Altaras è introdotta da un titolo "Il premier sarà l'unico a decidere" che pone in risalto, tra gli articoli segnalati, quello che maggiormente si presta a confermare le tesi scarsamente fondate di Sternhell ( i laburiti non conteranno nulla all'interno del governo Sharon, vi entrrano per accedere al potere, perseguito come fine a se stesso). Altaras cita anche un articolo di Michael Videlneskj pubblicato su Haaretz, che mette in guardia dal doppio registro delle dichiarazioni di Abu Mazen: di ferma condanna del terrorismo quando sono pronunciate in inglese, di presa di distanza esclusivamente tattica quando la loro lingua è l'arabo.
Una pratica, quella della "doppiezza" sul terrorismo, assai cara ad Arafat, e non abbandonata, a quanto pare, dal suo probabile sucessore.
A questo importante articolo non vengono però nella rassegna stampa dati lo spazio e l'evidenza che avrebbe meritato.
Ecco il testo:

Su Haaretz, Michael Videlneskj, esperto di mezzi di comunicazioni di massa palestinesi scrive un articolo controcorrente. Egli fa notare ai lettori del quotidiano di sinistra che, mentre nella stampa israeliana è stata riportato l'invito di Abu Mazen a porre fine all'Intifada armata, agli attacchi contro i civili, nella stampa palestinese non se ne trova accenno. Anzi: il 15 dicembre egli afferma, in un'intervista a un quotidiano arabo, di non essere contrario alla violenza contro gli israeliani, ma ritiene che sia controproducente in questo periodo. E precisa che il diritto del ritorno dev'essere per tutti i profughi palestinesi. I politici israeliani faranno meglio a seguire con attenzione le affermazioni della nuova leadership palestinese, consiglia Videlnesky. Ai mezzi di comunicazione occidentali e israeliani Arafat diceva una cosa, e tutt'altra a quelli palestinesi e arabi. Abu Mazen sembra aver intrapreso la stessa strada.
Shalom Jerushalmi su Maariv sostiene che questo governo non è di unità nazionale, ma creato solo per portare a buon fine il ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza. Il partito laburista è entrato in un governo nel quale non coprirà nessuna carica importante (Esteri Difesa o Economia). A ritiro completato, questa alleanza cadrà - pensa Jerushalmi - e ai primi del 2006 Sharon indirà nuove elezioni. L'appoggio del partito laburista permetterà a Sharon di attuare il suo piano e ottenere la maggioranza alla Knesset e al governo. I problemi nasceranno se i coloni della Striscia opporranno una resistenza violenta e l'esercito dovrà intervenire, un quadro che farà rinascere nel Likud l'opposizione di alcuni ministri al piano del ritiro. I due traguardi del primo ministro israeliano saranno concordare con i palestinesi ritiro e negoziato e allargare la coalizione agli ortodossi per ottenere maggior sostegno dalla popolazione, conclude Jerushalmi.
Su Yedioth Ahronoth, Ofer Shelach vede nel nuovo governo che giurerà fedeltà giovedì prossimo soltanto un appoggio al primo ministro che sarà, in una coalizione del genere, l'unico a decidere. Sharon non crea antagonismi come Netaniahu e Barak ed è stato abile nel coinvolgere i laburisti per far passare un piano che non aveva l'appoggio del suo partito. Il governo di unità nazionale, precisa Shalach, si fa solo in tempi di emergenza e quelli attuali non lo sono. Il partito laburista, e lo stesso Shimon Peres, dovranno appoggiare quasi automaticamente ogni ritiro israeliano dai Territori e Sharon potrà modificare i piani a suo piacimento. Il vecchio leader sa che l'unica opposizione vera sta dentro il suo partito e che per le prossime elezioni chi lo sfiderà verrà dalle file del Likud.
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