Shimon Peres spiega perché entra nel governo Sharon
in un' intervista a un giornalista di Le Figaro
Testata: Corriere della Sera
Data: 20/12/2004
Pagina: 13
Autore: Patrick Saint Paul
Titolo: Peres: «La soluzione dei due Stati è l'unica possibile»
A pagina 13 il CORRIERE DELLA SERA di lunedì 20-12-04 pubblica un'intervista di Patrick Saint Paul di LE FIGARO a Shimon Peres, che riportiamo:
L'accordo pareva ormai raggiunto, i ministri decisi, quando il nuovo governo di unità nazionale israeliano (il Likud di Sharon, i laburisti di Peres e i religiosi di «Uniti nella Torah) è stato bloccato dall'ennesima lite. Motivo del contendere: la nomina di Shimon Peres a vicepremier. Osteggiata dai duri del Likud, che hanno individuato un «problema costituzionale» (il Paese non può avere due vicepremier) per rifiutarla.
Sulla strada di Sharon c'è così un nuovo ostacolo da rimuovere.
Shimon Peres, voi laburisti state per tornare al governo con il Likud. Perché, visto che l'ultima esperienza si è risolta in una sconfitta elettorale?
«Non abbiamo perso le elezioni perché facevamo parte di un governo di ampia intesa, ma perché Sharon aveva deciso che non esisteva una controparte palestinese. Da qui è nato il disimpegno unilaterale. E' questo che ci ha distrutto. Ora i laburisti devono chiedersi: conviene di più essere la terza forza nel governo o la sesta in Parlamento? Quando si è al governo, si può influenzare il corso delle cose. Oggi vogliamo garantire l'applicazione del ritiro da Gaza».
Abu Mazen è un interlocutore?
«Credo di sì. Spetta a Sharon spiegare chiaramente la sua posizione».
Il disarmo di Hamas è una precondizione per riprendere il dialogo con Abu Mazen, o basta una tregua?
«È nell'interesse di Abu Mazen disarmare questi gruppi. Se non lo farà, lo schiacceranno. Ha detto che la strategia del terrore danneggia i palestinesi, diamogli fiducia. Crede di poter disarmare Hamas negoziando? Bene. Ma dispone di 30-40 mila poliziotti, sarà più convincente se assumerà il comando di una forza ben organizzata». Il ritiro da Gaza può favorire il rilancio del processo di pace e la creazione di uno Stato palestinese?
«Per la prima volta in Israele esiste una maggioranza, in Parlamento e nell'opinione pubblica, favorevole alla creazione di uno Stato palestinese. Io preferisco un piano mediocre appoggiato da una maggioranza, a un progetto brillante senza sostegno maggioritario».
Come garantire la sopravvivenza economica di Gaza se resta chiusa da Israele, senza porto, né aeroporto?
«Gaza dovrà avere entrambi. Israele deve assicurare libertà di movimento verso l'Egitto. C'è bisogno di un collegamento con la Cisgiordania, magari con la ferrovia. Comprendiamo che non è nel nostro interesse lasciare che a Gaza si muoia di fame».
È stato un errore storico costruire colonie?
«Sì. La carta delle colonie è incompatibile con quella della pace».
Il piano di pace porterà allo Stato palestinese nei confini del 1967?
«È da tanto che la soluzione dei due Stati è la sola opzione. Già Ben Gurion era favorevole. In realtà, esistono due possibilità. Perdere la terra, per garantire che gli ebrei restino in maggioranza. O mantenerla tutta e perdere questa maggioranza. Anche Sharon ha ammesso che non può vincere le leggi demografiche».
Arafat era l'unico ostacolo alla pace?
«All'inizio, no. Ma ha preferito compiacere il popolo anziché guidarlo. Non credo abbia dato il via alla stagione del terrore, ma non l'ha fermata».
Cosa resta oggi di quello che ha realizzato con Yasser Arafat e Yitzhak Rabin?
«A Oslo, abbiamo costruito una relazione che non esisteva. E abbiamo creato una carta, quella del 1967, alla quale i palestinesi hanno accordato il loro sostegno. Entro i confini del 1947 la pace non avrebbe avuto la minima opportunità. Certo, ottenerla richiede più tempo del previsto. Ma la mia generazione ha la responsabilità di realizzarla, assumendo decisioni difficili, per regalare ai giovani una vita meno complicata».
Patrick Saint-Paul 5 Le Figaro Agenzia Volpe(traduzione di Maria Serena Natale)
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