La politica di Sharon ha convinto i palestinesi che il terrorismo non paga
un invito a prenderne atto
Testata: Il Foglio
Data: 10/12/2004
Pagina: 2
Autore: Toni Capuozzo
Titolo: Presepe
Da pagina 2 del FOGLIO di venerdì 10-12-04 riportiamo un articolo di Toni Capuozzo, "Presepe":
La tradizione del presepe, che qui viene messa in forse, sarà ovviamente rispettata nella casa madre, a Betlemme. Dove i cristiani non sono più maggioranza, e dove la loro presenza è minacciata non dalla correttezza politica, ma dall’invadenza di bande islamiche, con il silenzio delle comunità religiose locali, che non hanno mai mancato di porre una sedia vuota alla messa
di mezzanotte, quando Arafat non poteva parteciparvi, chiuso a Ramallah. Che hanno sempre definito l’occupazione armata della basilica della Natività come "assedio" dell’esercito israeliano, che non hanno mai alzato la voce contro la pratica guerrigliera di occupare le case di prima fila, a Beit Jalla,
per sparare sul dirimpettaio quartiere israeliano di Gilò, nella speranza che il fuoco di reazione facesse strage di una famiglia cristiana intenta all’ultima cena, per una parabola perfetta sulla repressione e sull’occupazione.
Tutto questo fa sì che ormai in Cile gli emigrati cristiani di Beit Jalla siano più numerosi dei cristiani rimasti a vivere nell’unica cittadina palestinese dove i cristiani rimangono comunque la maggioranza, ma silenziosa. Sarà un Natale malinconico, quello di Terrasanta, anche se non si spara, anche se non ci sono incursioni israeliane. La piazza è desolatamente vuota, nelle botteghe
la cianfrusaglia del turismo religioso si impolvera invenduta. All’interno della Basilica il calore delle celebrazioni è raffreddato da una lunga polemica, che proprio dall’occupazione in poi ha rinnovato antichi rancori:
i religiosi armeni, e quelli greci, non hanno mai perdonato ai francescani di aver aperto agli occupanti la porticina che collega il loro chiostro alle navate della Basilica, facendo fare un salto di qualità, e di eco internazionale, a un’occupazione che fino a quel punto sarebbe stata semplicemente l’occupazione di un monastero francescano. E in più, il muro si sta chiudendo, con serpentine degne di un ghiribizzo, e attente a includere questo – la tomba di Rachele – e a escludere quello, con il sapore definitivo del cemento. Naturalmente è sfuggito, alla miriade di delegazioni parlamentari europee, che quel muro odioso ha fatto bruscamente calare il numero degli attentati, prima ancora di essere concluso, e questo può essere imputato alla distrazione, o al pregiudizio. Quello che invece non dovrebbe sfuggire è quanto quel muro, che simboleggia la politica di Sharon – anche se nacque da un’idea
di sinistra, in verità – ha prodotto nell’opinione pubblica palestinese. Ce lo racconta un sondaggio reso noto ieri dal Jerusalem Media and Communication Center, e condotto lo scorso fine settimana a Gaza e in Cisgiordania su un campione di 1.200 cittadini palestinesi sopra i 18 anni. Per la prima volta dallo scoppio della seconda intifada, nel settembre di quattro anni fa, la maggioranza – il 52 per cento – si oppone agli attentati contro Israele, giudicandoli controproducenti. Solo cinque mesi fa, a giugno, la percentuale
di chi giudicava negativamente gli attacchi terroristici contro Israele era appena del 27 per cento. Nonostante tutto il 59 per cento degli intervistati si dichiara ottimista sul processo di pace, anche se una robusta minoranza, il 25 per cento, lo ritiene invece morto. Ma il dato più clamoroso è forse quello riguardante gli assetti futuri della Palestina: il 56,7 per cento preferisce la soluzione dei "due Stati", ma al 23,7 piacerebbe la creazione di uno Stato binazionale, cioè qualcosa di più di una convivenza pacifica, e molto di più di un ritiro dei coloni e delle truppe di Tsahal, qualcosa che naturalmente inquieterebbe molto Sharon e chiunque altro, se solo si guardano le tendenze squilibrate dello sviluppo demografico nelle due comunità. Ma è un dato – quel
quarto dei palestinesi che vorrebbero una casa comune – che schiaccia quell’ 8,6 per cento che sogna una Palestina sino al mare, o quel 3,2 che vagheggia uno Stato islamico. Che cosa è successo in questi cinque mesi? Non riusciamo a vedere nessun altro avvenimento, oltre alla determinazione di Sharon, nel completare il muro e por mano allo smantellamento dei primi insediamenti dei coloni, in sfida perfino alla compagine che lo sostiene, se non la morte di Yasser Arafat. Che riposi in pace, e che la sua sedia, nel presepe di Betlemme, venga occupata dal primo che capita.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.
lettere@ilfoglio.it