Quattordici giovani israeliani provano a spiegare al mondo il loro paese
al di là della disinformazione e dei pregiudizi
Testata: Corriere della Sera
Data: 10/12/2004
Pagina: 13
Autore: Alessandra Coppola
Titolo: Sfida in tv per 14 ragazzi. Vince chi spiega meglio l'immagine di Israele
A pagina 13 il CORRIERE DELLA SERA pubblica un'interessante articolo di Alessandra Coppola su un 'iniziativa volta ad affrontare i problemi di "immagine" di cui, a causa del pregiudizio, della disinformazione e del potere dell'ideologia, soffre lo stato di Israele.
Esterno giorno, spiaggia di Tel Aviv. Una bionda in bikini cammina lungo la riva, un ragazzo la guarda seduto sull'asciugamano: lui tenta d'abbordarla, lei non ci sta, ma nel respingere le avances si distrae e va a sbattere contro un palo. Voce fuori campo: «Certo, Israele è un posto pericoloso». La bionda ricompare con un cerotto sulla fronte. «Se pensi di sapere tutto su Israele, ripensaci».
L'idea piace, lo spot da sessanta secondi sarà trasmesso da Mtv Europa (11 milioni di spettatori), e la squadra dei ragazzi approderà senza perdite alla puntata numero quattro, la prossima settimana.
Succede ogni mercoledì alle 20.45 sul Canale Due della televisione dello Stato ebraico, ed è difficile immaginarlo sulle reti di qualunque altro Paese. Il genere è molto di moda, il reality show, ma la prova da superare è assolutamente irripetibile lontano da qui: vince chi riesce a spiegare Israele al resto del mondo.
The Ambassador, si chiama il programma, modellato sul più famoso The Apprentice , l'apprendista, in cui il magnate Donald Trump sulla rete americana Nbc assegna dei compiti agli aspiranti uomini d'affari e mette in palio alla fine un posto di lavoro. Anche qui si vince un contratto negli Stati Uniti, ma si tratta di un incarico da portavoce per un'agenzia non profit che si occupa di promuovere l'immagine del Paese in America.
Compito non facile, come sa Ofra che nella puntata numero uno ha pensato di dire: «Israele non ha mai preso nulla a nessuno», scatenando un boato di disapprovazione dalla platea degli studenti dell'Università di Cambridge, Gran Bretagna. Eliminata. Meglio Tzvika Deutsh, secondo la giuria, che ha provato a spiegare così il suo Paese agli inglesi: «Immaginate che una partita del Manchester sia cancellata perché lo stadio è minacciato dai razzi sparati dai miliziani. Per la gente di Manchester potrebbe essere solo un brutto scherzo. Ma per gli abitanti della città israeliana di Sderot questa è la realtà».
Ai blocchi di partenza gli aspiranti «ambasciatori» erano 14, sette uomini e sette donne, tutti giovani intorno ai 25 anni. Ma le ragazze hanno perso le tre sfide andate in onda finora, e sono ridotte a quattro. Dalla settima prossima, Tzvika, il capellone con la kippah rossa che sta diventando uno dei più popolari nella squadra maschile, passerà nella formazione femminile, per riequilibrare la sfida. E già si prevedono guai, perché le donne sono piuttosto divise e in lotta le une contro le altre. In particolare, è scontro aperto tra Yael e Dafna. E anche questo è un tema che altrove sarebbe incomprensibile: Dafna è olà, immigrata, arrivata nel Paese dall'Olanda dieci anni fa. «E' una mezza israeliana — l'ha attaccata Yael —. Può rappresentare qualunque altro posto tranne che questo». Lacrime agli occhi, Dafna ha provato a difendersi: «I cittadini di Israele vengono quasi da ogni parte del mondo... è un Paese fatto di molte facce...». Yael ha ribattuto che una questione di «apertura» e «calore»: l'olandese è una ragazza fredda. Dafna «offesa» ha risposto che «non è la personalità a rendere israeliani, ma l'educazione e la cultura». E alla fine ha minacciato di lasciare il programma. E' probabile che non lo faccia: il presidente della giuria, Yoram Peri, ex capo dei servizi segreti interni, l'ha convinta a ripensarci.
Il compito dei tre giurati — oltre a Peri, ci sono l'ex portavoce dell'Esercito, Nachman Shai, e la giornalista di punta del secondo canale, Rina Mazliah — è di dirimere gli scontri interni, ma soprattutto di scegliere chi, nella squadra perdente, deve lasciare il programma. «Una decisione non molto divertente da prendere — dice al Corriere Rina Mazliah — sono tutti ragazzi in gamba, molto motivati. E poi, è solo un gioco, certo, ma l'argomento è importante».
«La principale preoccupazione della nostra società — ha spiegato Yoram Peri — è che non sappiamo spiegarci bene». Il punto, secondo l'ex capo dello Shin Bet, che ora insegna Comunicazione e Politica all'Università di Tel Aviv, e che gli israeliani sbagliano approccio: non entrano nel merito dell'argomento, si concentrano su quello che credono che gli interlocutori stiano pensando. E così finiscono per non farsi capire. Se vogliono diventare «ambasciatori», i ragazzi del suo programma devono esprimersi bene, certo, ma devono anche essere capaci di rispondere alle domande più insidiose. Senza tirarsi indietro o gridare ai pregiudizi.
Questo sì che è un bel programma, ha scritto Calev Ben-David, editorialista del Jerusalem Post : «Non solo perché è buona tv, ma anche perché si rivelerebbe un metodo più efficace di quelli attualmente in uso per scegliere i portavoce di Israele». Vista la situazione politica, il suo suggerimento è di farne anche un altro di questi reality show all'israeliana e chiamarlo The Prime Minister : posta in gioco la poltrona di Sharon.
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