Pubblichiamo due cronache corrette delle vicende politiche interne israeliane: "Sharon vince la sfida il Likud dice si ai laburisti" di Aldo Baquis, da LA STAMPA di venerdì 10-12-04:Ariel Sharon è riuscito ieri a ottenere a larga maggioranza dal Congresso del Likud l’autorizzazione a includere nella coalizione di governo i laburisti di Shimon Peres. Il 62 per cento dei tremila membri del Congresso - che ad agosto avevano clamorosamente bocciato quella prospettiva - hanno deciso di dare via libera al premier per costituire una nuova coalizione di governo, mentre il 38 per cento si sono opposti. Sullo sfondo della crisi politica la decisione di Sharon - rimasto alla guida di un governo molto minoritario - di realizzare nel 2005 un ritiro totale dalla striscia di Gaza che include lo sgombero forzato di ottomila coloni. Ai 3000 membri del Congresso il premier ha proposto di dar vita a un governo allargato che si basi sul Likud (40 seggi sui 120 della Knesset) e che includa i laburisti (21 deputati), nonché una o due liste confessionali ortodosse forti complessivamente di altri 20 deputati.
Con questa coalizione Sharon ritiene di essere in grado di poter guidare il Paese fino alle politiche del novembre 2006. Entro quella data vuole completare il disimpegno dai palestinesi (malgrado la contrarietà dei deputati ortodossi e di buona parte del Likud stesso) e realizzare (malgrado la contrarietà della corrente sindacale dei laburisti) una profonda riforma economica messa a punto dal ministro delle finanze Benyamin Netanyahu.
Nella visione di Sharon il fattore-tempo è determinante. Ai compagni di partito ha detto di non temere nuove elezioni politiche. Ma il Paese - a suo parere - necessita una razionalizzazione dell'impiego delle proprie limitate risorse: in primo luogo occorre lo sgombero dei coloni che «a Gaza non hanno un futuro» e che dovranno essere assistiti nel loro trasferimento in territorio israeliano. Peres è sulla stessa lunghezza d'onda. «Si è creata una formidabile occasione di pace» ha detto ieri. «La contraddizione - ha aggiunto - risiede nel fatto che mentre nuove possibilità diplomatiche si dischiudono, il nostro sistema politico traballa». Non solo il Likud è lacerato da una profonda scissione ideologica. Gli stessi laburisti attraversano un periodo non facile per le profonde rivalità esplose fra i dirigenti. La leadership di Peres (82 anni) è contestata con toni sempre più aspri da personalità come l'ex premier Ehud Barak e l'ex ministro Matan Vilnay. Oggi Sharon offrirà formalmente a Peres di entrare al governo, domenica i laburisti esamineranno in dettaglio la offerta.
Ai compagni di partito, Peres ha spiegato che sarà necessario ridurre le loro ambizioni personali. Il leader del Likud ha già chiarito che sono inamovibili i ministri-chiave: Silvan Shalom (Esteri), Netanyahu (Finanze) e Shaul Mofaz (Difesa). Secondo Peres, i laburisti devono accontentarsi di dicasteri minori «perché l'interesse nazionale esige che il ritiro da Gaza avvenga nel 2005, senza che si sprechi tempo in diatribe o risse». Sottovoce, aggiunge che per lui il ritiro da Gaza è solo il primo passo per la realizzazione del Tracciato di Pace: ossia la costituzione graduale di uno stato palestinese. Per questa ragione sarà opportuno che i laburisti restino al governo fino alle elezioni politiche del novembre 2006. Ed è appunto questa la maggiore preoccupazione che serpeggia nella destra del Likud: che alla lunga Peres riesca a pilotare il governo verso un ritiro da gran parte della Cisgiordania.
Segnaliamo che Baquis si sofferma sulle intenzioni di Peres, che vuole entrare nel governo per attuare un ritiro da parte della Cisgiordania e non solo da Aspetto, questo, non trattato dagli altri quotidiani.
E "Likud pronto ad aprire ai laburisti", di Graziano Motta, da AVVENIRE:Ariel Sharon è uscito vittorioso dal secondo scontro in pochi mesi con il massimo organismo rappresentativo del suo partito, il Likud, sulla formazione di un governo con i laburisti, necessario preludio all'attuazione del suo controverso piano di ritiro di soldati e coloni dalla Striscia di Gaza e da quattro insediamenti della Cisgiordania. Il Comitato Centrale del partito al governo ha approvato la proposta con il 60 per cento di voti favorevoli.
Il 18 agosto il premier fu sconfitto due volte su altrettante analoghe mozioni. Ieri la situazione si è presentata diversa ai circa tremila membri del comitato centrale, convocati nel parco dell'Esposizione di Tel Aviv. Soprattutto perché con la morte di Yasser Arafat si è modificato lo scenario politico del conflitto; e se fra un mese, il 9 gennaio, le elezioni dovessero confermare l'attuale leadership provvisoria di Abu Mazen, Sharon intende concordare con lui il piano di ritiro e poi riprendere i negoziati.
Prospettiva caldeggiata dalla comunità internazionale con il rilancio della Road map e con le iniziative di Gran Bretagna ed Egitto di riunire una Conferenza internazionale. Intanto, Stati Uniti e Unione Europea hanno dato tre milioni di dollari ciascuno per lo svolgimento delle elezioni e si sono ripromessi di esaminare, dopo il loro svolgimento, la richiesta dell'Autorità nazionale palestinese di aiuti di quattro miliardi e mezzo di dollari scaglionati in tre anni.
Sollecitando i membri del comitato centrale a recarsi a votare, e a votare stavolta per la sua richiesta di formare un governo con i laburisti e uno-due partiti confessionali, Sharon ha detto: «Ho bisogno di una coalizione grande e stabile per assicurare a Israele i grandi successi che ci attendono l'anno venturo. La posta in gioco è importante. E il piano di disimpegno da Gaza è la priorità delle priorità. Non permetterò ad alcuno di privare la nazione di questi successi». Che tali però non vengono percepiti dai suoi oppositori, per i quali «l'essenziale è restare fedeli ai valori del Likud», cioè opporsi allo smantellamento e all'abbandono dei villaggi - negli anni e con il sostegno dello stesso Sharon - nell'Eretz (la Terra promessa); essi hanno denunciato vigorosamente «l'artificiosa minaccia» di ingovernabilità del Paese sbandierata da Sharon, avendo il premier una maggioranza parlamentare di 40 seggi (su 120) così forte da poter ricostituire, hanno detto, un governo «con gli alleati naturali», ovvero con i partiti nazionalisti e confessionali. Tuttavia, le loro possibilità di successo sono state compromesse dalla defezione del capo-corrente, Benjamin Netanyahu, passato nel campo di Sharon. Hanno pure tentato, ma invano, ricorrendo alla magistratura, di far rinviare di una settimana il congresso e di presentare una mozione concorrente a quella di Sharon.
Intanto, ieri, l'ufficiale israeliano che il 5 ottobre svuotò il suo caricatore sul corpo di una bambina palestinese di 13 anni, già uccisa dai suoi uomini, è comparso davanti alla Corte marziale per la prima udienza di un processo per uso illegale di armi, violazione del codice militare, abuso di potere e intralcio della giustizia. Il Comandante R. (il suo nome non è mai stato rivelato) è stato denunciato dai suoi stessi soldati che avevano sparato sulla bambina mentre andava a scuola a Rafah, nel sud della Striscia.
Anche Motta dà una notizia che non si trova altrove: la prima udienza del processo del comandante incriminato.
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