Il diritto internazionale secondo il quotidiano comunista
e la cancellazione delle ragioni israeliane
Testata: Il Manifesto
Data: 07/12/2004
Pagina: 7
Autore: redazione
Titolo: Abu Mazen a Damasco:Olp e Siria negozieranno uniti
A pagina 5 IL MANIFESTO di martedì 7-12-04 pubblica un articolo redazionale intitolato "Abu Mazen a Damasco:Olp e Siria negozieranno uniti".
Vi si legge che Israele "secondo le risoluzioni delle Nazioni unite deve restituire le alture del Golan alla Siria e i Territori occupati ai palestinesi". Si tratta di un riferimento incompleto e tendenzioso alle risoluzioni dell'Onu che, nella versione originale in inglese, chiedono il ritiro "da" territori e non "dai" territori, e soltanto contestualmente al raggiungimento della pace e della sicurezza per Israele. La differenza è tra un'indicazione circa l'oggetto di un negoziato (lo scambio "pace in cambio di territori") e l'ingiunzione al solo Israele di rispettare il diritto internazionale, senza che debba necessariamente esserci una contropartita. E' questa l'interpretazione falsa e oltranzista del diritto internazionale che IL MANIFESTO vuole avallare.
Si legge anche, a proposito dell'ipotesi di una conferenza di pace a Londra che "l'annuncio è stato gelato da fonti qualificate israeliane che hanno mostrato contrarietà all'idea". Sull'UNITA', a pagina 7, sullo stesso argomento, Umberto De Giovannangeli, nell'articolo "Blair strappa a Bush la conferenza sul Medio Oriente", scrive: "In Israele, ieri, una fonte governativa ha commentato l'articolo del Telegraph affermando che non c'è stata nessuna comunicazione in questo senso tra Washington e Gerusalemme, e che una tale conferenza in questo momento «servirebbe solo a mettere Israele sotto pressione. Ci sembra solo una speranza dei britannici».
Notiamo che il quotidiano comunista omette le ragioni della perplessità israeliana e la presenta come una contrarietà assoluta, anziché limitata alle circostanze attuali, presentando un'immagine di Israele come assestata su posizioni di intransigenza immotivate, che precludono ogni via alla ricerca della pace.

Ecco l'articolo:

Nel giorno in cui nei Territori occupati i sondaggi danno Marwan Barghuti e Abu Mazen testa a testa per le elezioni presidenziali del 9 gennaio prossimo, l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) e la Siria aprono un nuovo capitolo nella storia delle loro relazioni turbolente fin dagli anni `70 e mai migliorate dopo che l'Olp, con gli Accordi di Oslo, nel 1993, riconobbe lo Stato d'Israele. L'uomo che ha assunto la guida dell'Olp dopo la morte di Arafat, il «ministro degli esteri» Nabil Shaat e il premier Abu Ala si sono recati ieri a Damasco, dove hanno avuto uno storico incontro con il governo siriano. Si parla addirittura di una politica comune per raggiungere una pace complessiva con Israele, che secondo le risoluzioni delle Nazioni unite deve restituire le alture del Golan alla Siria e i Territori occupati ai palestinesi. È stato proprio Shaat a dichiarare, al termine dei colloqui: «Noi stiamo cercando una soluzione complessiva, non una parziale, per il conflitto arabo-israeliano». Abu Mazen ha parlato del dopo Arafat con il presidente siriano, Bashar el Assad. «Abbiamo posto sul tavolo tutte le questioni: ciò che la Siria chiede a noi e ciò che noi chiediamo a Damasco», ha dichiarato Abu Mazen. Fonti palestinesi, dal Libano, hanno fatto sapere alla Reuters che Abu Mazen avrebbe incontrato anche Khaled Meshal, uno dei massimi dirigenti di Hamas, residente nella capitale siriana. L'impressione è che morto Arafat, in un momento di mancanza di strategia e debolezza militare, tutti i partiti palestinesi cercchino l'unità e un dialogo costruttivo con la Siria. Con il gergo della diplomazia l'ha ammesso lo stesso Abu Mazen, dichiarando alla Reuters: «La situazione israelo-palestinese (usando il termine «situazione», non «conflitto», ndr) e la situazione israelo-siriana richiedono forme di coordinamento e consultazione in modo tale da evitare che Israele sfrutti le nostre posizioni differenti. Quindi vogliamo camminare fianco a fianco». Sempre ieri il Daily Telegraph ha annunciato una conferenza di pace per il Medio Oriente, a Londra all'inizio del 2005. Ma il governo britannico ha definito «prematuro» parlare di questa riunione e l'annuncio è stato gelato da fonti qualificate israeliane che hanno mostrato contrarietà all'idea. Intanto dai Territori occupati, a poco più di un mese dalle presidenziali del 9 gennaio prossimo, sono arrivati tre sondaggi che danno Marwan Barghuti, il prigioniero palestinese più popolare nonché candidato a succedere ad Arafat, e Abu Mazen impegnati in un testa a testa, sempre che Barghuti non si faccia convincere dal Fatah a ritirare la sua candidatura. Il nuovo capo del partito, Faruk Qaddumi, ha lanciato altri strali contro il giovane Marwan: «Barghuti deve ritirare la propria candidatura oppure dimettersi e presentarsi come candidato indipendente, altrimenti lo costringeremo a lasciare il suo incarico», ha dichiarato Qaddumi, che vive in esilio a Tunisi.

Il sondaggio dell'Università di Bir Zeit (1.198 intervistati) attribuisce il 35% a Barghuti e il 34% ad Abu Mazen. Più o meno le stesse cifre del Palestinian center for policy and survey research del politologo Kalil Shikaki (1.320 interpellati) che dà il 38% a Barghuti e il 40% ad Abu Mazen. Molto diversi i dati forniti dal palestinian center for public opinion, che ha ascoltato 997 persone: 40% ad Abu Mazen e 22% per Barghuti. Ma tutte e tre le indagini concordano nel rilevare che l'appoggio ad Abu Mazen è in crescita. Barghuti resisterà alle pressioni del partito o si ritirerà?
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