Omissioni che ribaltano la realtà e un'intervista acritica
u.d.g. non si smentisce
Testata:
Data: 06/12/2004
Pagina: 8
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Disgelo Egitto-Israele, scambio di detenuti - Le condizioni di Hamas per riconoscere Israele
A pagina 8 L'UNITA' di lunedì 6-12-04 pubblica un articolo di Umberto De Giovannangeli sullo scambio di detenuti tra Israele ed Egitto. Benchè l'israeliano Azzam Azzam sia stato incriminato solo sulla base di un paio di mutande femminili sulle quali avrebbe scritto istruzioni segrete con inchiostro simpatico, sulla base cioè di un'evidente montatura, e i sei egiziani siano stati sorpresi nel corso di un'infiltrazione aramata in Israele, u.d.g. scrive che il primo è stato "condannato otto anni fa a 15 di reclusione per spionaggio da un tribunale del Cairo", mentre gli egiziani sarebbero stati, dubitativamente, "arrestati in Israele con l’accusa di progettare attacchi terroristici".
Vengono anche riportate le affermazioni di chi, in Egitto, è convinto che "lo scambio non è paritario. Tutto il mondo sa che i sei studenti non avevano fatto nulla". Un esatto ribaltamento della realtà che, grazie all'omissione di indispensabili elementi di giudizio, viene avvalorato da u.d.g.

Ecco l'articolo:

Il disgelo passa anche per uno scambio di detenuti. Un disgelo «firmato» Hosni Mubarak e Ariel Sharon. La simultanea scarcerazione ieri del druso israeliano Azzam Azzam, che era stato condannato otto anni fa a 15 di reclusione per spionaggio da un tribunale del Cairo e di sei studenti egiziani, arrestati in Israele con l’accusa di progettare attacchi terroristici, è l’ultima chiara conferma del nuovo corso tra i due Paesi. La svolta appare tanto più significativa perché a determinarla sono due protagonisti della scena politica mediorientale, il premier israeliano Ariel Sharon e il presidente egiziano Hosni Mubarak, che per anni si sono guardati con trasparente ostilità. La svolta era apparsa chiara già nei giorni scorsi quando Mubarak, in una cerimonia pubblica a Port Said, aveva apertamente elogiato Sharon, affermando che era l’unico leader che poteva portare a una soluzione di pace del conflitto tra israeliani e palestinesi, esortando questi ultimi a non sciupare un’occasione preziosa.
A testimoniare la portata del «disgelo», è il comunicato diffuso dall’ufficio del premier Sharon sulla telefonata che questi ha fatto a Mubarak per ringraziarlo della liberazione di Azzam e per le sue dichiarazioni alla stampa egiziana. Ai ringraziamenti di Sharon, Mubarak, secondo il comunicato, ha risposto affermando che la scarcerazione di Azzam «è un gesto che ho fatto soprattutto per lei». Il premier, a sua volta, si è detto convinto che «insieme potremo arrivare a grandi successi per le generazioni future». «Sono assolutamente d’accordo con lei - ha replicato Mubarak - insieme realizzeremo molte cose e le mie intenzioni sono serie». Negli ambienti del governo israeliano si ritiene ora imminente anche la nomina di un nuovo ambasciatore egiziano per al rappresentanza diplomatica di Tel Aviv, da quattro anni rimasta in assenza di un titolare. Il precedente ambasciatore Mohammed Bassiuni fu richiamato in patria poco dopo lo scoppio della seconda intifada palestinese. Una possibilità che il portavoce di Mubarak, Magued Abdel Fattah, non ha escluso. «Tra l’Egitto e Israele - spiega - ci sono relazioni di pace ed è naturale che vi sia un ambasciatore egiziano a Tel Aviv», ma ciò, aggiunge, è legato anche a progressi nel dialogo tra israeliani e palestinesi. Fonti vicine a Sharon ritengono che l’Egitto attenda la conclusione delle elezioni presidenziali palestinesi per nominare un nuovo ambasciatore in Israele, che anzi sarebbe stato già scelto.
Il «volto» del disgelo è quello, sorridente, di Azzam Azzam. Sharon, che forse più di ogni altro premier si era battuto per la sua liberazione, ha telefonato al quarantunenne ex prigioniero, subito dopo il suo arrivo nel Paese, tramite la stazione di confine di Taba sulla costa sinaitica del mar Rosso, per dirgli «Benvenuto a casa. Questo è un momento felice per tutto Israele». Al segretario militare di Sharon, Yoav Galant, che lo ha accolto al confine, Azzam - che prima di essere arrestato al Cairo con l’accusa di essere una spia del Mossad, lavorava per conto di un’azienda tessile israeliana in uno stabilimento in Egitto - ha esclamato: «Grazie per avermi riportato a casa e avermi dato una nuova vita».
Ma non tutti in Egitto apprezzano la mossa di Mubarak. «Il popolo egiziano si infurierà - tuona l’ex-ministro aggiunto degli Esteri Ahmad Abu Khweir - lo scambio non è paritario. Tutto il mondo sa che i sei studenti non avevano fatto nulla». La docente di sociologia Safeya Suliman rincara la dose, richiamando l’incidente nel quale il 18 novembre soldati israeliani uccisero tre poliziotti egiziani sul confine dell’Egitto con la Striscia di Gaza. «Il presidente Mubarak ha accettato - sostiene Suliman - con un semplice colpo di telefono le scuse del premier Sharon per l’uccisione dei tre poliziotti e poi, qualche giorno dopo, gli consegna Azzam su un piatto d’argento».
Sempre a pagina 8 u.d.g. intervista il leader di Hamas Hassam Yusef. Costui, senza contraddittorio accusa Israele di terrorismo e di averlo torturato (una dichiarazione molto poco credibile, sia perché in Israele le istituzioni, in primis la Corte suprema, e molte associazioni vigilano sul rispetto dei diritti umani dei detenuti, sia per la parzialità della fonte, sia per la scarsa convenienza politica di torturare un esponente di Hamas che è stato addirittura liberato prima del tempo, forse con lo scopo di trattare con lui).
Pone poi come condizione per il riconoscimento di Israele che questo accetti del "diritto al ritorno": vale a dire che sia disponibile al suicidio demografico. Poiché u.d.g. non ricorda ai suoi lettori il vero significato della condizione posta da Yusef, li induce a valutazioni errate della portata reale della proposta del leader di Hamas e, di conseguenza, dell'accoglienza che gli israeliani le riserveranno. Ingannevole è anche la seguente domanda di u.d.g.: "Porre condizioni significa però riconoscere, almeno in linea di principio, l'esistenza di Israele. Sbaglio?", alla quale Yusef risponde immediatamente: "No, non si sbaglia". Che Israele esista è un dato di fatto, quello che Hamas ha sempre rifiutato è il riconoscimento del DIRITTO di Israele ad esistere. La mancata distinzione tra i due piani induce il lettore a credere che nella posizione dell'organizzazione terroristica vi sia stato un cambiamento che in realtà ancora non si è verificato.

Ecco l'articolo:

Su un punto gli analisti politici palestinesi concordano pienamente: chiunque sarà chiamato alla successione di Yasser Arafat dovrà comunque fare i conti con Hamas, il più radicato tra i movimenti integralisti palestinesi, primo partito nella Striscia di Gaza, secondo dopo Al-Fatah in Cisgiordania. Una convinzione che ha spinto il candidato ufficiale di Al-Fatah alla presidenza palestinese, Abu Mazen, ad aprire la sua campagna elettorale a Gaza incontrando i leader di Hamas. E tra i leader politici di Hamas, lo sceicco Hassan Yusef è certamente uno dei più autorevoli. Liberato lo scorso 18 novembre da Israele dopo 28 mesi di carcere, Yusef ha subito ripreso la guida del movimento integralista in Cisgiordania. E lo ha fatto con una dichiarazione che, se verrà tradotta in atti concreti, può rappresentare una svolta storica nel dopo-Arafat: Hamas - afferma Yusef - è disposto a prendere in «seria considerazione» la possibilità di vivere in pace con l'«entità sionista» entro i confini del 1967 se «Israele smantellerà le colonie, libererà i prigionieri palestinesi e riconoscerà il diritto al ritorno». Yusef si sofferma anche sulla scelta compiuta da Hamas di non presentare candidati ufficiali alle presidenziali del 9 gennaio: «Avevamo chiesto che il 9 gennaio si votasse anche per il rinnovo del Parlamento e delle amministrazioni locali, ma le motivazioni che sono state offerte per rifiutare questa proposto ci sono parse strumentali. Ma Hamas - aggiunge Yusef - «farà sentire comunque la sua voce», magari sostenendo l'uomo-simbolo della seconda Intifada: Marwan Barghuti.
Molto si discute in questi giorni sulla possibile di una tregua, almeno nel periodo di campagna elettorale. Qual è in merito la sua posizione?
«Le esperienze passate ci dicono che Israele ha sempre approfittato di tregue unilaterali per assassinare dirigenti dell’Intifada. Nessuna tregua unilaterale, dunque, ma se Israele si impegna a fermare gli attacchi contro i nostri civili, lo faremo anche noi. Non uccidiamo perché ci piace, ma per reazione…».
Non tutti in Hamas sembrano d'accordo con la sua posizione. Mahmud al-Zahar (il leader di Hamas a Gaza) ha escluso la rinuncia alla lotta armata.
«In Hamas non c'è alcuna divisione sulla necessità di difendere il popolo palestinese dalla brutale occupazione del nemico sionista e di liberare le terre palestinesi occupate dai sionisti. Ma la lotta armata è al servizio di un disegno politico, è uno strumento e non il fine dell'azione di Hamas. E Hamas deve rapportarsi alla situazione nuova creatasi con la morte del presidente Arafat…».
Deve, in altri termini, fare politica. Anche per ciò che concerne una possibile trattativa con Israele?
«Hamas ha giudicato fin dall'inizio fallimentari gli accordi di Oslo, che hanno rappresentato un cedimento al nemico. La realtà ha suffragato questo nostro giudizio. Hamas non accetterà mai una pace che sa di resa, ma al tempo stesso non intende chiamarsi fuori, sempre e comunque,. da un ipotetico negoziato…».
Insomma, Hamas pone delle condizioni quanto meno per accettare una lunga "hudna" (tregua) con Israele. Sbaglio?
«No, non sbaglia…».
E quali sarebbero le condizioni?
«Lo smantellamento delle colonie, il riconoscimento del diritto al ritorno, il rilascio di tutti i palestinesi detenuti illegalmente nelle carceri dell'occupazione…».
Lei ritiene che Israele possa accettare queste onerose condizioni?
«Israele sembra riconoscere solo il linguaggio della forza e una seria trattativa non potrà che svilupparsi sull'onda di un rilancio della resistenza armata».
Porre condizioni significa però riconoscere, almeno in linea di principio, l'esistenza di Israele. Sbaglio?
«No, non si sbaglia. Quella ventilata da Hamas è una posizione realistica che la Comunità internazionale farebbe bene a non lasciar cadere nel vuoto. Ripeto: se Israele accetta di riconoscere il diritto dei palestinesi a vivere in uno Stato indipendente con capitale Gerusalemme est e sui territori occupati nel ‘67, allora sarà possibile negoziare una tregua di lunga durata e aprire una fase nuova...».
Insisto: il premier israeliano Ariel Sharon ha più volte ribadito che non intende trattare con chi pratica, come è il caso di Hamas, il terrorismo contro civili inermi.
«Israele ha ucciso e ferito migliaia di palestinesi, moltissimi dei quali erano donne e bambini. E questo cos’è se non terrorismo di Stato? La resistenza armata proseguirà fino a quando durerà l’occupazione israeliana. Se un giorno si arriverà a una seria trattativa non sarà certo per gentile concessione di Sharon ma perché Israele avrà finalmente compreso che non è con il terrorismo di Stato che riuscirà mai a piegare la resistenza del popolo palestinese».
Hamas ha deciso di boicottare le elezioni presidenziali …
«Ma al tempo stesso ha annunciato di voler partecipare alle elezioni per il Consiglio legislativo (il Parlamento dei Territori, ndr.) e alle elezioni municipali. E' il segno di una volontà di far pesare il consenso che Hamas ha conquistato a Gaza e in Cisgiordania».
Come valuta la decisione di Marwan Barghuti di candidarsi alle elezioni presidenziali?
«Barghuti è un leader riconosciuto della resistenza all’occupazione sionista della Palestina. Ha tutto il diritto di far valere le sue idee».
Lei è appena stato scarcerato da Israele. Qual è stata la sua esperienza?
«Ho affrontato ciò che ogni detenuto palestinese è costretto ad affrontare: minacce, investigazioni, torture, isolamento. La liberazione di tutti i detenuti palestinesi deve divenire un obiettivo centrale dell’Anp e di ogni fazione palestinese».
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